IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
‑ Guarda, fa piano; è Celestina...
La Lisa alzò le mani, aprì la bocca e rimase senza fiato, immobile, senza poter trovare tra cento parole, quella che valesse ad esprimere in una volta la meraviglia, il disprezzo, la gelosia e anche un certo senso serpeggiante di compassione, che suscitò in lei l'improvvisa presenza di madamisella in casa sua.
‑ Ha una febbre terribile, ‑ continuò sottovoce Giacomo ‑ va ad avvertire la mamma; fate scaldare un letto.
«Quando son malate...» ebbe una gran voglia di dire la Lisa; ma dalla faccia di Gesù crocifisso, con cui le aveva parlato Giacomo, capì che non era il momento di pigliarsi di queste soddisfazioni di stomaco. Tornò di sopra e cinque minuti dopo le due donne rientrarono insieme.
‑ Sicuro ch'è malata questa pover'anima... ‑ disse pietosamente la mamma Santina tenendole una mano sul capo. ‑ Il meno che si possa fare è di metterla subito in letto e di chiamare il dottore. Mentre raccolgo un po' di brace nello scaldino, tu Lisa, prepara il letto nella stanza di Giacomo. Da dove vien fuori questa povera martire?
La Lisa, che, dalla roba giudicò lo strapazzo della creatura, non osò replicare, ma tornò di sopra a stendere un materasso sul letto, nella stanza che occupava Giacomo prima di passare in quella dello zio prete, sforzandosi di vincere colla furia dei movimenti un'agitazione, in cui il suo risentimento bisbetico si azzuffava col presentimento pauroso di qualche nuova disgrazia.
‑ Non ci manca che questa ‑ cominciò a brontolare dentro di sé, mentre stirava i lenzuoli sul letto. ‑ Càpita in una bella condizione, se Dio vuole! Se si deve giudicare dalle scarpe e dalle calze, madamisella non ha viaggiato in carrozza, ma ha camminato abbastanza per arrivare a tempo per farsi curare da noi, come se non ne avessimo abbastanza dei fastidi nostri; già, finirà col guastare anche quelle poche feste di Natale. Questo, si sa, è l'ospedale degli invalidi. Finito l'uno, comincia l'altra, e noi, s'intende, ci dobbiamo prestare per tutti, gratis et amore, se dobbiamo guadagnarci un bel posto in paradiso. Per loro il buon tempo, la filosofia, i buoni bocconi, i complimenti, la corte dei signori, e quel che segue, fin che il buon tempo dura; quando la festa è finita, si torna a casa a farsi curare; e allora allon donc, tocca a noi far pezze della pelle per medicare le loro piaghe. Sarebbe bella che, dopo aver fatto quello che ha fatto, madamisella venisse a morir qui, proprio a tempo per liberare da ogni obbligazione quei bravi signori, che l'hanno rovinata! uscir lei dai fastidi e lasciar a noi le spese del funerale. Non mi stupirei che lo facesse, perché è sempre stato nel suo carattere di guastare le combinazioni...
Mamma Santina entrò in quella collo scaldino. Pallida e tremante di emozione, quando la Lisa cominciò a voler far sentire le sue ragioni, troncò ogni discorso col dire:
‑ Fosse la figlia di nessuno, quel che importa è che la povera figliuola sia assistita; non sei cristiana?
‑ Non neghiamo la nostra carità nemmeno ai cani; ma io direi di scrivere subito, a buon conto, allo zio prete, per avvertirlo del fatto e per indurlo a conchiudere qualche cosa con quella benedetta contessa. Sapete che Giacomo non è uomo da risolvere una questione. Teme sempre di mancar di rispetto alla gente, la quale poi lo ripaga nel bel modo che s'è visto; e non vorrei che, a furia di aver misericordia agli altri, ci riducessimo a morir noi disperati come ladri. Se questa disgraziata deve ammalarsi in casa, bisognerà pure che qualcuno pensi alle medicine. Sarebbe bello che toccasse a noi di far la penitenza de' suoi peccati...
La Lisa non avrebbe finito così presto dal predicare, se la mamma, facendole un vivo segno colle mani, non l'avesse avvertita che Giacomo stava per entrare.
Questi s'era presa Celestina sulle braccia e raccogliendo le sue forze a un'estrema fatica, veniva su per la scaletta col peso lento della persona, che rovesciata sulla sua spalla, nel languore pesante di un corpo morto, lasciava cadere le braccia incapaci in un desolante abbandono. I capelli umidi e sciolti scendevano sul volto, velando i lineamenti già irrigiditi e mettendo una striscia quasi funebre sul candore marmoreo, mentre i piedi ignudi, che uscivano dalla povera gonna, davano alla giovine una tristezza d'infinita miseria, di vittima spenta che portassero a seppellire.
‑ Come l'hanno conciata, pover'anima ‑ scappò detto alla Lisa, quando, deposta sul letto la malata, dette mano a svestirla; e male resistendo alla violenza della naturale compassione, gli occhi le si fecero grossi di pianto.
Giacomo ordinò con tono frettoloso e sostenuto che la mettessero a letto, mentre egli andava a chiamare il dottore. Uscì e corse, così come si trovava, a capo nudo, col petto mezzo scoperto, in cerca del Brandati.
Celestina si lasciò svestire senza dar segno di vita. Era un letargo di piombo fuso e colato in un corpo di ghiaccio.
‑ Non vede domattina ‑ pronosticò don Angelo crollando malinconicamente la testa.
‑ Nel suo stato lo strapazzo fu troppo ‑ soggiunse la levatrice, che il dottore aveva dovuto far venire in fretta.
‑ Santa Madonna, che brutto Natale! ‑ La Santina nascose il volto nel grembiale, e dopo aver asciugati gli occhi grondanti, si volse al prete: ‑ Glielo dite voi, don Angelo, a quel povero figliuolo?
‑ Dov'è?
‑ Dabbasso, in studietto. Da ventiquattro ore non par più un uomo vivo.
Lo zio prete scese lentamente la scaletta e andò in cerca di Giacomo. Lo trovò nello stanzino, che serviva di studio, seduto in una vecchia sedia di cuoio, col capo curvo e colle braccia incrociate sul petto, cogli occhi fissi sul suolo, in una attitudine di attonita tranquillità.
Nella luce grigia, che entrava dai nudi vetri della finestra, che dava sulla vignetta, il suo volto reso quasi trasparente dai mali, compariva ancor più delicato e giovanile. Ma tutta la testa, sotto il cespuglio d'una chioma fatta folta e lasciata incolta, aveva un'espressione di bellezza forte e resistente.
Di fuori il vento strappava i rami della vecchia vite appoggiata al muro, e nella bianchezza della neve svolazzavano per la vignetta alcuni corvi. Il cielo attraverso agli alberi e ai pergolati spogli appariva d'un azzurrino purissimo; e in quel cielo fermo e lieto, che si sprofondava nell'infinità, pareva che lo spirito di Giacomo attingesse le ragioni della sua persuasione.
Don Angelo, nel passare dalla cucina, vide Battista in un angolo tra la credenza e il muro, in piedi, colle spalle appoggiate al legno, colle braccia nascoste sotto il gabbano, col testone basso, in un'attitudine di colpevole punito. Angiolino invece, che non poteva star fermo nelle sue smanie dolorose, dopo essere uscito cinquanta volte a cercare un sollievo al suo patimento in qualche occupazione materiale, s'era messo a sedere sopra un sacco di cruschello e stava lì, colla testa curva sui ginocchi, coi pugni stretti, colla gola strozzata da un dolore furioso, che non osava farsi sentire. Insieme alla pietà per la povera Celestina e per il povero Giacomo, fremeva in lui un rancore che non voleva morire; e intanto gli pareva che qualche cosa di vivo e di palpitante si distaccasse dal cuore. Senza che egli potesse capire, in Celestina, più che la sorella, rimpiangeva lo svanire d'un misterioso incanto.
Dopo il pieno scampanare della benedizione, un lungo silenzio si diffuse per la casa, per la corte spopolata, per tutta la campagna lucente al sole. Una luminosità gioiosa si spargeva in quel pomeriggio di Natale senza nuvole e senza nebbia e correva sulle creste dei monti, che riflettevano splendori d'argento nella tremula trasparenza dell'aria.
Raggruppati su un vecchio trave, accanto al muro del portico, il Manetta e alcuni uomini delle fornaci discorrevano accorati con mezze frasi nel tenore morto d'un suffragio. Parlavan di lei, di Giacomo, del caso, dei mali, che vengono senza farsi cercare; poi da capo a crollar la testa ed asciugar gli occhi col ruvido palmo della mano. Una volta fece una rapida comparsa tra il chiaro e il fosco il signor della Rivalta; domandò qualche notizia e scomparve colla stessa furia. Forse c'era a casa chi lo aspettava con ansiosa curiosità. Forse correva anche lui dietro a un suo incanto... Sulla loggetta era un rapido incontrarsi di donne che non parlavan più per rispetto alla morte.
‑ Giacomo, ‑ disse la voce grave di don Angelo con quell'intonazione un po' alta ed estranea, di cui si servono i preti, quando sentono di parlare in nome di una forza superiore ‑ abbi pazienza, povero Giacomo; per lei forse è meglio così. Non andiamo a investigare la volontà di Dio, ma lasciamola passare. Puoi venir di sopra?
‑ Le avete detto il mio pensiero? ‑ chiese il nipote con voce altrettanto ferma.
‑ Gliel'ho detto. Quasi non voleva accettare; ma quando capì che per lei non c'è più nessun'altra speranza in questo mondo e che non potrebbe avere da te una consolazione più grande, ha detto con gioia di sì. Ma bisogna far presto.
Giacomo si mosse sotto la guida d'un segreto pensiero, che lo sorreggeva. Il vecchio prete, che nei suoi settant'anni maturi poteva dirsi stagionato contro i tocchi della tenerezza, gli passò il braccio nel braccio e volle accompagnarlo su per gli scalini.
‑ Allora faccio venire i testimoni ‑ disse quando furono sulla loggetta. Giacomo entrò nella stanza vicina, e ne uscì pochi minuti dopo coi capelli ravviati e con indosso il vestito nero, pronto per la cerimonia. Ebbe ancora un assalto di smarrimento momentaneo; ma il Brandati e lo zio lo presero in mezzo e lo menarono nella stanza della moribonda.
La mattina le avevano portato la Comunione. Ardevano ancora sul tavolino le due candele benedette in mezzo ad alcuni fiori, che Angiolino s'era fatto dare dal giardiniere del Ronchetto. Alcune donne stavano in ginocchio, accanto al muro, col viso in lagrime. Battista e Angiolino, ai piè del letto, parevano non veder più nulla.
‑ Voi siete i due testimoni ‑ disse ai due giovani la voce di don Angelo, che conservava in mezzo a quello scompigliato silenzio un'intonazione d'ordine e di comando. Si mise al collo la stola rossa, aprì un libro dagli orli dorati, fece il segno della croce.
Dopo aver letto sottovoce alcune preghiere in latino, si chinò sull'assopita, per dirle piano all'orecchio:
‑ Celestina, figliuola, c'è qui il tuo Giacomo, che ti vuole sposare.
La giovane aprì languidamente gli occhi, li girò per la stanza. Un umile sorriso scosse e tremolò sulle sue labbra riarse dalla febbre infettiva, che la divorava.
‑ Mi ascolti, figliuola? ‑ tornò a dire don Angelo. Essa fece colle palpebre un piccol segno di sì. E il prete con accento più sostenuto: ‑ È contento il qui presente Giacomo Lanzavecchia di sposare la qui presente Celestina Benetti?
‑ Sì ‑ rispose Giacomo con un'espressione e un tono di voce che, sfuggendo di mezzo ai brividi dell'anima, risonò con una dolcezza singolare.
‑ È contenta... Sei contenta, Celestina, di sposare il tuo Giacomo? ‑ sussurrò don Angelo, curvandosi un poco sulla testa della malata, mal resistendo anche lui questa volta alla violenza delle cose.
La morente, che seguiva coll'occhio luminoso la santa cerimonia, disse un «sì» chiaro, ridente, che radunò tutte le speranze sfiorite della povera anima sua.
Stese la mano stanca, mentre la mamma Santina, che non riusciva a inghiottire tutte le sue lagrime, cercava di mettere nella mano di Giacomo il vecchio anello d'oro, che le aveva dato quarant'anni fa il suo Mauro.
Il figliuolo, il quale non vedeva innanzi a sé che un barbaglio di cose bianche, aiutato dai vecchi, che mescolavano colle sue le loro mani tremanti, mise l'anello nuziale nel dito della sua promessa. Poi si lasciò cadere in ginocchio e restò come morto. Celestina sollevò la mano e gliela posò sul capo.
‑ Quod Deus coniunxit homo non separet ‑ recitò il prete, ritrovando la sua voce naturale. Poi continuò le altre parole del rito mentre cercava di avvolgerli nella sua benedizione.
Piangevano tutti, in silenzio, non senza qualche segreta consolazione. Celestina, fissati gli occhi in viso alla mamma Santina, parve chiedere qualche cosa. La mamma sollevò un poco colle mani la testa di Giacomo:
‑ Perdona, Giacomo ‑ disse con un filo di voce ‑ perdona, perdona...
Fu questo l'ultimo sforzo d'una vita che fuggiva già lontano come fugge un'ombra all'avvicinarsi di una gran luce.
Don Angelo senza pensare a cambiar stola, voltò alcune pagine del libro, che contiene in poco spazio l'eterna leggenda delle gioie e dei dolori che passano, e cominciò a leggere le orazioni degli agonizzanti, a cui risposero i presenti, stando inginocchiati.
La poverina spirò ai primi tocchi dell'avemaria sul finire di quel Natale che doveva essere per lei così bello e così felice.
Giacomo si alzò e venne condotto fuori. Non piangeva. Un sentimento di serena convinzione, starei per dire di umiltà soddisfatta, gli permetteva di essere il meno scosso e il meno turbato di tutti. Sentiva confusamente che qualche cosa era finito, per cedere il posto a qualche cosa di più grande, che non avrebbe potuto trovar posto poco prima nell'anima sua.