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Per tutto il tempo che le campane accompagnarono col suono lento ed uguale il funerale della vittima, Giacomo non fece che ricamare i suoi pensieri nella cenere del camino, stando seduto, coi piedi sulla pietra, col braccio appoggiato al ginocchio, colla testa appoggiata al palmo della mano, nella penombra crescente della fredda cucina.
La gente, che per un bisogno logico dello spirito non può fare a meno di cercare alle cose che accadono la ragione che le muove, avrebbe potuto domandargli che significato voleva avere per lui questo matrimonio in articulo mortis, tanto in faccia a Dio, come in faccia agli uomini: e che cosa accomodava, che cosa giustificava, che cosa santificava? E non sapendo trovarla questa ragione, la gente poteva supporre ch'egli vi avesse almeno qualche particolare vantaggio.
Fortunatamente Giacomo non era più obbligato a rispondere a nessuno, nemmeno a sé stesso. Viaggiando molto lontano nella dolorosa esperienza, egli era uscito molti passi dalla strada delle ragioni solite e camminava, calpestando le idee accessorie, con un sentimento ignoto al senso comune, verso una Idea, che metteva finalmente nel suo spirito la pace dell'uomo vittorioso.
Nella coscienza del suo dolore cercava di misurare le forze, come chi sa che dovrà rimettersi in cammino al nuovo spuntare del dì per una via maestra, dopo aver perduto molto tempo e stancate molte illusioni in un labirinto di sentieri dirotti ed oscuri. Sì, non senza qualche meraviglia, assisteva egli stesso all'umiliazione del suo orgoglio. Non senza qualche curiosità andava cercando da dove gli venisse questa pace insieme a tanta forza di rassegnazione, di umile rinuncia, quasi di consacrazione de' suoi mali. Non gli veniva certo dalla cenere del suo libro abbruciato; non dall'eloquenza del vecchio prete, che gli aveva parlato di leggi immutabili; non dalla necessità, che stringe e costringe i piccoli bisogni e i piccoli egoismi umani in un affamato sofisma.
Era tanto immerso in questa ricerca che non si accorse subito, quando i suoi, di ritorno dal funerale, dopo aver lasciata Celestina sotto la neve, rientrarono a poco a poco, in silenzio, e presero posto, chi qua chi là, nella stanza già annerita dall'ombra della sera.
Insieme a quelli di casa entrarono anche gli uomini e le donne di servizio, coi lavoratori delle fornaci, e tutti presero posto, come gente vinta, sulle panchette, sui sacchi, sui trespoli accostati al muro. Il vecchio Manetta venne a cercare il suo posto sulla pietra stessa del camino, ai piedi del sor Giacom.
‑ Vedi, Giacomo? ‑ disse la voce sonora dello zio prete, mentre la mamma Santina attaccava una lampadina accesa davanti a un quadretto. ‑ Siam qua tutti a recitare il rosario per quella figliuola, che è morta come un angelo, col desiderio che si perdonasse: va bene, Giacomo?
Questi mosse una mano e cercò quella grossa e forte dello zio.
Allora il prete sedette a capo della tavola e, levata una corona dalla tasca, intonò il primo atto dei misteri dolorosi colla sua voce alta e vigorosa, che andava avanti come per aprire una strada: e dietro seguivano confusamente, più intralciate e nascoste, le altre voci diverse, proprio col disordine di un branco di pecore, che si affollano dietro un pastore grande e robusto.
Giacomo per le sue convinzioni filosofiche non poteva rispondere a una preghiera non sua. Tuttavia tutte le volte che il prete, con un accento quasi di maggior insistenza, ripeteva: Requiem aeternam dona ei, Domine... non sapeva rifiutarsi d'associare la sua voce e la sua volontà alle altre, che invocavano la pace alla poverina.
«Chi può dire» pensava in cuor suo «che i morti non ascoltino le voci dei vivi? Non aveva egli già avviata l'opera della pace, quando aveva benedetta col suo amore l'agonia della disgraziata? Celestina era morta colla consolazione che l'amor del suo Giacomo la seguisse anche di là. In questa certezza aveva sorriso all'oscuro mistero, come se col morire non l'aspettasse il letto umido della fossa, ma l'amplesso dello sposo.
‑ Et lux perpetua luceat ei... ‑ ripeteva il coro delle anime sincere. E Giacomo, che si lasciava trascinare dalla forza di tante voci umane, come da un'onda, che lo sospingesse molto lontano, scopriva finalmente che anche a lui questa nuova pace veniva dall'opera dell'amore e della pietà. Col non rifiutare a lei una benedizione aveva provveduto anche a sé: perché il bene che fai è quello che ti porta. In questa coscienza dell'uomo buono e benefico, insieme alla pace, siede la santità della vita.
‑ Et lux perpetua luceat ei... ‑ ripeteva il coro degli umili. Egli intanto non cessava dal meravigliarsi, vedendo come nessun apparato di dottrine occorreva a produrre questi dolci miracoli; ma basta a raggiungere i più alti ideali un'anima semplice, che affidi a un affetto sincero. Nessun sapiente aveva sorriso mai alla morte con tanta dolcezza come Celestina nell'ora estrema. Egli le aveva schiuso un paradiso. Così la forza degli affetti ci riporta alla natura: e per questa via, non per altre, ci accostiamo a Dio e Dio ci viene incontro.
‑ El lux perpetua luceat ei... ‑ rispondeva il filosofo nella pia umiliazione del suo spirito. ‑ La Scienza? ‑ chiedeva poi a qualcuno, che andava allontanandosi da lui. ‑ La Scienza, che non può mai essere più grande del nostro orgoglio, sta di contro alla verità della vita come un piccolo e ruvido scoglio di contro all'immensità dei mare. Oh le infinite estensioni del mare! Il mare ha forze inesauribili, che non si consumano per urtare che facciano contro un povero sasso.
Tocca a chi ha avuto la visione dell'infinito, tocca a chi sente dentro di sé il fluttuare divino di quest'onda instancabile, il purificare le miserie della terra e risanare i deboli, che il destino condanna alle angustie dell'egoismo.
Tutta l'umanità dotta ed indotta naviga per questo misterioso mare senza sponde. Forse è una barca sola, che ci trasporta tutti nella direzione di una Volontà; e poco importa che tu segga a prora o a poppa. Ben poca cosa è qualche passo, che tu muova sul ponte della barca nella direzione del viaggio comune o nel senso inverso. Tutti approderemo o prima o dopo alla stessa riva.
Il Manetta, che stava, come si è detto, seduto sulla pietra del camino, stretta la lucida testa nelle mani ruvide e logorate dalla terra, quando tutti si mossero per rispondere al de profundis, si alzò dolorosamente anche lui, e tentennando, cercò di inginocchiarsi in terra. Giacomo, a cui parve che il povero vecchio si umiliasse per lui, gli porse la mano, che il fornaciaio strinse nella sua e si recò al petto con pietosa tenerezza. E, dal modo col quale il vecchio servo prese a rispondere al salmo, il padrone vide lo sforzo affannoso d'un'anima, che vola al soccorso di un'altra.
Giacomo s'intenerì. Nuove lagrime presero a scendere inaspettate nei solchi inariditi, in cui eran passate le lagrime dell'odio e della disperazione. Il gran discorso del vecchio lavoratore gli ripassò nel cuore, e con un senso quasi di rimorso si domandò: «Che cosa ha procurato a costui la filosofia da Talete in poi? ben ha potuto talvolta seminare il disprezzo degli uomini e indurre la disperazione nei cuori; ma tutte le statue di Aristotile non valgono un pezzo di pane. E tutta la psicologia non vale le lagrime d'un orfanello. Va, va, o filosofo, semina l'idea tua nell'opera tua.»
Improvvisamente si sentì battere un gran colpo alla porta.
‑ Chi è? ‑ chiese don Angelo, interrompendo la salmodia; poi soggiunse nel silenzio generale: ‑ Andate a vedere.
La Lisa un poco esitante si mosse, tirò il paletto dell'uscio e aprì un battente, che lasciò passare, insieme a un soffio d'aria cruda, un leggiero fantasma di luna.
- Un telegramma ‑ disse la voce del procaccia.
- È per te, Giacomo ‑ soggiunse la Lisa, mentre Angiolino si accostava colla lampadina.
Giacomo colle mani che fuggivano ruppe il dispaccio, lo scorse cogli occhi, poi con voce accorata, che sentiva la mortificazione, lesse in modo che tutti potessero intendere:
«Povero babbo morto oggi alle cinque. Preghi e faccia pregare per lui, per noi. Enrichetta.»