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LITANIE VECCHIE E LITANIE NUOVE
Nell'ore languide dei caldi estati,
Mentre ronzavano
Api e farfalle d'oro nei prati,
E nella nitida chiesetta il sole
Non altro udivasi che un susurrare
Poi nulla, Attonita nel paradiso,
Bianca la tonaca e bianco il viso,
La pia badessa, dicendo l'Ave,
In un soave
Sonno chiudeva le luci stanche
Entro una nuvola di cose bianche.
Il rossignolo nella foresta.
Facea la siesta.
Nella sua vecchia cassa di legno.
*
* *
Cangiano i tempi: crollano i santi
Se alcun ne resta, come si vede,
Su per i canti,
È dell'intonaco più forte il merito
Che della fede.
Stridon le macchine, stridono i garruli
Anima torna d'un mondo fossile
E pei comignoli urla e si spande.
Due mila ruote
Indemoniate da cento spiriti:
Balzan gli scheletri delle sepolte.
*
* *
I tempi nuovi filano i vecchi,
Dai denti striduli degli apparecchi
«O Pane, o Pane, o bianco o giallo,
Dal primo fallo d'Adamo e d'Eva
Confitto in l'ugola l'uomo solleva.
Oggi non basta di un'età casta
La salmodia:
E l'orazione:
«Te a mattutino, te a mezzogiorno
E te a compieta
Chiama una gente irrequieta,
Che in mezzo ai vortici degli arcolai
Tesse la tela dei lunghi guai:
Ave, boccone, cotto nel forno!
«Sudore e lagrime inteneriscono
Che il dente macina della malsana,
«O Pane, o Pane, o giallo o nero,
Ave, spes unica. Se tu ne manchi,
Cedono i fianchi, cedon le braccia,
E nella macina il cor si schiaccia.»
*
* *
Così risonano nel rombo immenso
Del giorno e salgono, monache pie,
In mezzo a nugoli di nero incenso.
Ma s'io ritorno per il sentiero
Quando la bianca luna si specchia
Mi par d'intendere, o monacelle,
Le campanelle
Che ancor vi chiamano a salmodia:
*
* *
A queste note,
Che d'una morta speranza parlano,
Del cor io sento strider le ruote