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Or che l'orgoglio è pago e che le strette
Corser dei fidi amici e alfin respira
La bella, che ti spinse alle vendette,
Or che pende la spada e cessa l'ira,
Che a te discende per antica vena,
E rossa la tua gloria il mondo gira,
A te vien la mia Musa e una serena
Notte invoca di stelle all'agitato
Spirto sfuggito agli aspri colpi appena.
Umile ancella essa si pone a lato
Del letto, e mentre van ombre e perigli
Ti chiama al sonno il canto delicato.
A nova luce tu al mattino i cigli,
O signor, aprirai; ma se ghermiva
La morte il core coi feroci artigli,
A ben più nera e lacrimosa riva
Or scenderesti, ove il fratel si duole
Della ferita che il tuo ferro apriva.
Ivi non scende a colorire il sole
Vita son morte tutte le parole.
Nella palude senza fine amara,
Lugubre navicel, cerca e non trova
Ove sbattuta approdi ivi una bara.
E allora, o ciechi, il dolce amor che giova,
Che negli umani affanni il sole accende
Di vita in questa così breve prova?
Perchè da un cieco alto mister si scende
In questa valle inermi pellegrini,
Se nella rete sua l'odio ci prende?
Non come esigui e vani moscerini
Nascemmo intorno a un lume a far ronzio,
Ma per toccare agli ultimi gradini
D'un sacro tempio, ove il mortal desio
Trova riposo, dove l'uom sicuro
Di sua coscienza si abbandona in Dio.
Sia pace dunque, almen nel picciol muro
Che c'imprigiona in una mesta sorte,
Dove il sangue che cade è fango oscuro.
Tramontan presto le giornate corte
Del vivere ed ancor bianca è la sera,
Che già bussa nell'anima la Morte.
Allor ci sarà buona la preghiera
Dell'opra nostra, se con lampa accesa
Ci accompagni sull'ultima scogliera;
L'ira non già, non la fraterna offesa,
Non la vendetta, non dell'odio il vanto,
Non la minaccia, che sull'urna stesa
Nella tenebra eterna ulula il pianto.