Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Vecchie cadenze e nuove

PARTE I I SEGRETI PENSIERI

AD UN GENEROSO SIGNORE

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AD UN GENEROSO SIGNORE

 

Mugge dall'ampio casolar la mandra,

Che bianco fiume a te versa di latte,

Donde poi tragge il tuo castaldo un aureo

Fiume al palagio: ma ti sforzi invano

Esser contento. Oh perchè mai si adira

Coscienza quasi vergognosa e freme

Il cor, quando tu vedi a un pigro nume

Fumar dell'opra altrui la valle e il piano?

 

Balzan veloci i tuoi cavalli al caldo

Schioccare delle ferze e corre il suono

De' tuoi cocchi tra i pallidi tuguri,

Ove il popol si annida, ultimo gregge.

Ma se dall'alto ai neri tetti il guardo

Volgi, che stanno come pietre al sole,

Ah delle cose il tuo pensier ravvisa

L'intimo error e la spietata legge.

 

Non versa a te l'oblìo della menzogna

Il vin che invecchia nelle oscure celle,

Dolce vendemmia degli antichi tralci,

Che ruppe ai padri il tedio doloroso:

al gioco cerchi o alla superflua mensa

O al tripudio di Venere danzante,

Come de' pari tuoi l'agile sciame,

Contro all'acerba Idea sonno e riposo.

 

No, tu sei giusto. L'armonia del vero

Suona com'arpa dall'esatte corde

Nel tuo spirto magnanimo ed aperto

Al caldi venti dell'affetto. Il trono

Su cui ti diede di seder la sorte

Non per stolto dominio, e ben lo sai,

Fu a te largito o per sollazzo al volgo,

Ma sol per esser regalmente buono.

 

Tu sai come maturi entro il suo solco

L'opra dell'uomo, che non dorme al rezzo:

Sai come, esempio al pigro, anzi rampogna,

Il miel dall'arnia che più freme fili:

Rompe il sasso la stilla e schiude il ferro

Alla marmoree ninfe il passo e il volo:

Sai come scorra, spola entro il traliccio,

L'umana volontà dagli aurei fili.

 

Già di natura tra i più fitti arcani

Leggesti fanciulletto, allor che in traccia

Dei boschi andando e dei deserti monti,

T'era saggia maestra la formica.

Allor ti apparve l'inquieto affanno

Delle cose operanti ed il segreto

Della Vita, che a palmo invidia a palmo

Il campo al ferreo piè della Nemica.

 

Fu tuo dolor la stretta onde si duole

Nella viscida ragna il moscherino

E del morente grillo entro la tana

Miserasti tu la sorte:

Tu non del tuo, ma del dolore altrui

Doloroso ti muovi e guardi e temi

Non il tuo danno, ma l'ingiuria e il fato

Che all'umil giusto fa men giusto il forte.

 

Già con medica man indi mirasti

Degli anni in sul fiorir (quando più scorre

Amore ai sensi rugiadoso e molle)

A far incontro al Mal colpi leggiadri:

Sì che l'opra si spande, e come il sole

Spazza la nebbia in fondo alla palude,

È luce ove tu scendi, è vita, è pace,

È perdono, è sorriso almo di madri.

 

E a te letizia corre incontro e ride,

Se dal palagio tra gli scossi campi

Al lavor de' tuoi servi arrechi il dono

Della parola che le voglie esorta.

Oprar con loro anche t'è bello e senti,

Quando poi siedi co' tuoi figli a mensa,

Uscir dal pane un pio savor di fame

Ai denti ignoto della gente morta.

 

 

 


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