ODE A
VERDI
Febbraio
1887.
Se
ricordi, il luogo è questo
Dove un giorno al suon di spade
Saltellanti per le strade,
E fra pali insanguinati,
Dei Crociati
Intonasti il pio lamento,
Che le cento
Dell'Italia torri scosse,
Ed i morti sobbalzare
Fece all'orlo delle fosse.
Era pien
di gridi il vento,
Pieno il mare:
E venìa per le lontane
Terre il suon delle campane
Calde ancor della battaglia.
O momento!
Il cader delle tue note
Era maglio che percote,
Era incendio entro la paglia.
Morta è
l'aria. Più non viene
De' tuoi numeri prigione
Mista al suon delle catene
D'Israello la canzone.
Tace il monte e tace Scilla
Che balzò, divino Araldo,
Del tuo Vespero alla squilla.
Chiuso è il cielo. Sui gradini
Dell'altar spenta è la face
Dell'Idea
Che agli italici destini
Nel crepuscolo splendea.
Nella cenere dei morti
Vedi i gelidi risorti
Ricercar, se sopravanza,
Una brace
Per accender la speranza.
«Dare,
avere - avere e dare»
Ecco l'inno che borbotta
Or la gente al santo Affare
Curva e ghiotta
Sul messale a conteggiare;
A noi figli di mercanti
Bella musica è il tintinno
Del marengo quando rotola
Nella ciotola.
«Dare,
avere - avere e dare»
Questo è il santo intercalare,
Questo è l'inno,
Che prostrato gracchia il coro
Fra gl'incensi al vitel d'oro.
Già nel
tempio, ove solea
Sparger fiori ed ire sante
La bell'arte, una platea
Fescennina adora inchina
L'Elefante.
Cerco invan pudor di gota
Ove ignuda salta e strilla
una gallica sibilla
A sè stessa sola ignota.
Se dal
ciel ove dimori
Nella luce benedetta
Della gloria, in mezzo ai cuori
Non ci scagli una saetta,
O Signor degli alti canti,
Una gente di mercanti,
Che non canta e che non prega,
Farà tempio la bottega.
Ma tu
puoi, tu che raccogli,
Eco eterna di natura
Nella mano
Il fragor dell'uragano;
Tu che togli
Alle selve, al mar, all'etra
L'armonia che scande i cieli;
E tra i fili della cetra
Tu che Dio soffermi e sveli;
Tu che cinto d'alti canti
Quest'erranti
Muse ancor ritorni a noi;
Sì, tu puoi,
Stretta in man l'antica tromba,
Trarne un suon aspro di rame,
Che ci tolga dallo strame,
Che ci svelga dalla tomba.
La
coscienza antica e sorda
Più non ha che questa lenta
Delle sette ultima corda:
Se a temprar l'affetto e il canto
Una mano non si attenta,
Onde scorra agile e pia
Della vita l'armonia,
Sul liuto, ahimè! del core
Il dolor va senza pianto,
Senza voce erra l'amore.