Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Vecchie cadenze e nuove

PARTE III GLI INTIMI SENSI

SUL CAMPO DELLA BATTAGLIA

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PARTE III

 

GLI INTIMI SENSI

 

 

 

SUL CAMPO DELLA BATTAGLIA

 

I.

 

Venimmo al bivio e: - Qui - disse la guida

(Un veteran tedesco) - qui si ruppe

La legion dei francesi. Entro la fossa,

A cui bevono i prati, a cento a cento

Incalzati cadevano travolti,

Dai nostri. I moribondi brancicando

Tiravan dentro i vivi e senza ponte

Vi passò lo squadron della Gran Guardia

Coi pesanti cavalli. Altri sul posto

Disceser dei caduti e novamente

Si contrastò, fin che si vide il mucchio

Emergere dei morti e far parete

Ai combattenti. Allor fu che dal colle

La mitraglia tedesca e morti e vivi

Spazzò via come volano le stoppie

Per il campo al soffiar dell'uragano.

Un bel colpo, perdio! ma finalmente

Verso sera potè l'imperatore

(Che Dio salvi) passar colla sua scorta.

 

*

*  *

 

Proseguimmo pel campo. Essa era pallida

Come uno spettro e nella mia mettendo

La sua mano e coll'altra i lembi sparsi

Stringendo della veste: - Ahimè! - proruppe -

Non lasciar che mi afferrino codesti

Poveri morti!

 

*

*  *

 

 Il veteran cortese,

A cui già sorridea dei quattro marchi

Il lucente ideal, seco ci trasse

Verso un ponte e: - Di qui - disse segnando

Colla man la via lunga che discende

La sodaglia - passò dopo la rotta

Il sesto fanteria, quando improvviso

Si ruppe il ponte al saltar della mina;

Pel diavolo, un bel colpo! Ancor si scava

E trovan ossa e ciondoli e nell'oro

Chiusi sottili ricciolotti d'oro.

 

*

*  *

 

La meschina, la man sempre nascosta

Nella mia, balbettò tutta tremante:

 - Quali voci usciran quindi di notte

Da queste zolle? e come sboccia ancora

Da tanto sangue un fiore?

 

*

*  *

 

Il veterano

Ci condusse a veder il freddo ossario

Che raduna gli avanzi. Ergesi in vetta

Al poggio, in mezzo ai pallidi cipressi

La smorta cripta, a cui salì per breve

Scala color di cenere. Un disteso

Leon sta sulla porta e va dicendo:

Qui riposa il valor. Escono a fregio

D'eroico stil sull'orlo delle lunghe

Finestre i nudi teschi degli eroi

Avidamente per le vuote occhiaie

Beventi il sol. Intorno scende e tace

La mal colta campagna e tace un bosco

Pien di sinistri agguati e di rimorsi.

Ella si strinse anche di più vicina

Al mio cor timorosa e mentre l'

Del buio cimitero cigolava

Sui rauchi chiovi a palesar la ridda

Degli stinchi, inciampò sulla soglia,

Quasi in un fiero ed insolente oltraggio

Che l'afferrasse: - Oh! lascia ch'io mi sieda -

Disse - qui sui gradini all'aria e al sole:

Non per questo siam nate.

 

*

*  *

 

Il veterano

Tutta sapea di quelle tibie infrante

L'epica istoria, e ballottando i crani

Nella tremula man, tutta mi sciolse

La leggenda dell'odio ch'ei ricanta

Per quattro marchi ed un bicchier di birra

Com'è descritta in violente note

Sopra la scorza logora dell'ossa.

 

 

 

 

II.

 

 

La man levata a maledir proruppi

Allor dall'infocata ira travolto:

 - Il sol piombi feroce su quest'erbe

Polverose, rivolo discenda,

rugiada sull'arida sodaglia

A ristorar la maledetta creta,

Che di sangue fremente un giorno ingorda

S'inebriò. Tal sia. Possa ogni campo,

Che vide un giorno scempio scellerato

Far di natura e dell'umano affetto,

Inaridir così nelle sue glebe!

Sia maledetto il pan che da una spiga

Sanguigna spremi e possa a' tuoi figliuoli

Sapertriste, che ciascun lo sputi

In terra e sia di vermi anche ribrezzo!

Non dei nidi di festa, non di molle

Usignol suoni il pianto ove il ruggito

Corse d'umane belve e scese il ferro

La vita a lacerar nei palpitanti

Visceri umani!

 

*

*  *

 

Consacrato altare

È il cuor dei figli al naturale amore,

Ove il trofeo dei padri si conserva

E pendono le pie vostre corone

Sempre verdi di preci e di sospiri,

Povere madri; ma vi reca il piombo

Rovina e morte. Maledetta taccia

L'aria che intese e gli ultimi raccolse

Arsi singhiozzi. Rondine non spieghi

Per la maligna landa irta di scheltri

Le memorie del mar liete e del cielo,

Ma sol vi gracchi la nera cornacchia

Dai tristi auguri e vagoli l'irsuto

Can che la bava della febbre asciuga

Nelle amare ginestre. Ove la buona

Pietà fu morta, cessi anche il profumo

Dei fiori sacri alla pietà dei morti,

Dei fiori sacri al crine delle spose,

Dei fiori onde l'altar si veste e ride.

 

*

*  *

 

A queste mie singhiozzanti parole

Essa mi porse lagrimosa il volto

E singhiozzando meco: - Oh! non per questo

Siam nate - mormorò - non per comporre

I figli nostri trucidati e rotti

Nell'empia sabbia! non per questo il duolo

Del crear ricerchiamo e le vigilie

Ansiose delle culle e non di baci

Infiniti copriamo i tenui corpi

(Divino incanto) e non le picciolette

Mani atteggiam nei lacci d'una dolce

Preghiera di perdon! non per nutrire

Del latte nostro una terra selvaggia

Cerchiam l'amore giovinette e tutta

Sveliam la grazia dei sorrisi e il sacro

Mister della bellezza. O sciagurate!

Tutto il tesor dei seminati grani

Per le valli del mondo un sol non vale

Grano d'amor che germini nel core

D'un tuo dolce fratel. Ma se di tante

Vedovate il dolor una non pesa

Ragion di ferro, e per le figlie nostre

Meglio è morir di spasimo nei tetri

Asili delle vedove speranze,

Maledetta la man che in sen ci pone

Il cuore e in mezzo al cor il mesto affanno!

 

*

*  *

 

- Viva l'imperator! disse il canuto

Veterano: e baciò stretta nel pugno

La mercede che a lor frutta la gloria.

 

 

 


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