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Il tuo bel giovinetto Aldo partìa
Per la terra dei mali un dì d'aprile,
Mentre di rose rubiconde e bianche
Fiorìa tutto il giardin: e ancor fiorisce
Maggio che lui già d'Africa il deserto
Preme sepolto... e non avea vent'anni,
Povera madre! - il tremolante bacio
Tu non sentisti allor che sull'arcione
Ei balzò vigoroso e via si tolse
Dalla soglia paterna e dagli sguardi
Delle pallide amiche. Oh almen se morta
Fossi e discesa innanzi a lui, tu prima
Ad aspettarlo sull'oscuro ingresso,
Ombra ridente, non vedrei te folle
Nella vedova casa andar vagando
Senza pianto a cercar, ombra mai viva,
L'orme sanguigne del tuo figlio ucciso.
Mai non si sazia l'egra fantasia
Che si specchia nel reo sogno (se un sogno
La reità può vincere del vero)
A rinnovar le non mai viste scene
Di dolor, di terror, di scempio atroce.
Quando dall'ambe quando dagli acuti
Inesplorati sassi, ove s'infranse
Non la menzogna, ma d'Italia il cuore,
Fur visti uscir neri nugoli densi
Di vive fiere umane e scender quasi
Torrenti nel fragor cupo dell'armi
A travolger le candide coorti,
Il segreto a cercar della fiorente
Lor giovinezza coll'immondo ferro.
A quest'assalto d'indomati affanni
Arde la fronte. Una vampa ti assale,
Misera donna, qual di sabbie aduste
Pregne di sangue. Nell'odor del sangue
Balzi la notte esterefatta e scalza
Discendi a supplicar qualche rugiada
Dal ciel che brilla immobile sul capo.
*
* *
Pace, fratelli, alle materne angoscie
Pace preghiamo! e se la pace è tolta
Alle torbide voglie, alti dal cielo
Preghiamo i sonni all'umido guanciale,
Fin che sugli occhi placido discenda
Come lento crepuscolo l'oblio.
*
* *
Ecco dorme la madre: e per incanto
Dagli assopiti sensi ecco fiorire
Una verde vision di spessi ulivi,
Tra cui sen viene in veste più che neve,
Reggendo il tronco d'una spada infranta,
Il suo bel giovinetto Aldo, più bello
Dell'Arcangelo in viso e più raggiante.
«Da una terra di sogni, ove non giunge
«Che il sospir delle madri, a te ritorno,
«Madre - egli dice. - Ivi l'eterno ulivo
«Della pace frondeggia e a te un germoglio
«Ne reco intesto a una stillante lama
«Prendi, mia cara, e nella sacra terra
«De' padri miei la morbida radice
«Spargi ed il pianto delle oneste donne
«Le sia ruscello. A seminar l'ulivo
«Ti porgo il ferro della fredda lama,
«Che penetrò quest'ossa e vi si ruppe.
«Ove del bianco ramo esce in tenera
«Ombra, rinasce il suon delle canzoni,
«Danzano i cuori, il negro sen la terra
«Schiude al tesoro del crescente pane,
«Ritorna il lento faticoso ardire
«Del ben oprare, che il furor di pochi
«Sgomina spesso e il vaniloquio assorda:
«Dell'umano alvear vola il ronzio
«Lieto, frequente, a sparger la dolcezza
«Che il sacro fiore della vita emana.
«Olio stilla il bel ramo e il lume scende
«Dalle lampade ai libri, ai miti altari,
«Alle nebbie dei secoli. Di questo
«Amabile arboscel sparsa la via
«Fu di Cristo quel dì che al mondo sparse
«La nuova legge, ah non compiuta, e invano
«Scritta nel libro, o sacerdoti, e in oro
«Scolpita invan nelle marmoree imposte,
«Se vivente non sia legge dei cuori.
«A voi madri, a voi spose, a voi sorelle,
«Serbato è il seminar questa di pace
«Viva radice all'ombra dell'amore,
«Che per voi crescerà grande coi rami
«Sopra le case e le dormenti culle;
«Ma non si posi il sacrosanto bacio
«Della donna sull'orma empia del sangue,
«Nè il dolce amplesso la fatica onori
«Di chi sogna lo strazio empio dei corpi
«E il fluttuar del sangue e le nequizie
«Noi per sempre
«Caduti il lacrimar poco ristora,
«Ma ne ravviva il pio pensier dei vivi,
«Se dal nostro morir tranno argomento
«Di futura giustizia. Anche la morte
«È un proceder avanti, è un mite sogno
«Che rispecchia gli eventi ancor non nati,
«Se dalle tombe sanno estrarre i vivi
«L'idea sepolta e dispiegarla al sole.»