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Giovani amici e giovinette in pianto
Precedono il trionfo della Morta
Per l'ampie strade. Il ciel ride giulivo,
Mentre lenta si avanza la coorte
Dal dolor disarmata, a cui la rigida
Non conosciuta man ha tolto il vivo
Fiore d'una speranza. Erra il profumo
Per l'aria delle mille rose bianche,
Che per amor di lei voller morire
Sulla pallida testa. Il popol scarso
Che stette all'ombra delle case in questo
Giorno chiaro di festa, al venir lento
Guarda del carro, e guarda i fiori e i bianchi
Visi delle compagne e - Addio, mia cara....
Dice ciascuno in cor, chè ognun ritiene
Sua figlia ogni fanciulla che si avvia
Al camposanto. In ogni giovinetta
Vita che muore ognun sente morire
Sè stesso, o almen di sè la più ridente
Memoria e coll'ignota si accompagna
Bara che passa quasi lagrimando.
A questo incanto
Giova il saper che bella era e gentile
La verginella ora caduta in grembo
Alle funebri rose e giova il dire;
«Questa che passa avea libata appena
La gioia che fa bello ogni sorriso
Ora bruna volò di triste augurio
Intorno al capo giovanil che dorme
Senza rughe e senz'ombre. Inesplorato
Enigma a lei fu della vita il senso
E amor (l'antico tempestoso affanno)
Non fu per lei che un sogno mattutino.
Col suo pensier il suo bel corpo passa
Come puro alabastro al culto eterno
Di purissimi spiriti. Non cadde
Per forza, no, di vento o di tempesta,
Ma come si disfiora un ramoscello
Nel chiaro specchio d'un ruscello vivo,
Sì che la vita sua continua e scende
Di core in core in una fresca idea
Di giovinezza».
*
* *
A quante più leggiadre
Candide fantasie passan nei sogni
Dei poeti gentili il nome presta
E le sembianze un'innocente morta,
Che poi ritorna rivestita e ardente
Di gloria a noi. Così non cadde il sogno
Nel triste verso il nome di Nerina:
Così per voi tra i vivi si perpetua
Il culto della Grazia, o a noi rapite
Ancor ridenti nell'esiguo fato
Di pochi aprili!
*
* *
Si smarrì tra gli avelli, ove più folti
Erano i gigli nelle nivee tombe,
Sentì voci tornar come di canto
Dolcissimo e fuggir vide una luce
Palpitante nel sasso, in cui rifulge
Il nome delle belle adormentate
Nel silenzioso oblio. - «Noi siam le vostre
Sopite illusioni ma non spente -
- Dicevano le voci - e nei scolpiti
Nomi fermiamo l'ideal che fugge.
Noi la bellezza siam che mai non ebbe
Dal tempo insulto o da infedeli amanti,
Noi siam la vostra giovinezza immota,
O padri stanchi e declinanti, e il vostro
Giovine core a custodir siam morte:
Per voi serbiamo in ogni tempo un fiore
Di bel ricordo e allo scoccar dell'ora
Ultima, allor che la speranza cade,
Da questi tabernacoli di marmo
Angeli vostri usciamo luminose
Di nostra luce a rischiarare a voi
La tenebrosa via, per cui sì triste
È l'andar soli e l'arrivare ignoti».