Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Vecchie storie

NEI BOSCHI.

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NEI BOSCHI.

 

Chi non conosce i boschi dell'alto Milanese, detti boschi di Saronno, di Mombello, di Limbiate, può immaginare una stesa di selve, sopra un terreno disuguale, una volta incolto e oggi piantato a pini silvestri e a qualche rovere, che è quanto la terra, oltre le eriche e il bruco, può sopportare. Queste piantagioni non sono molto antiche e appunto per ciò, non sono molto note. Della maggior parte si ricordano i nostri padri d'aver veduto i primi germogli, quando ancora quel nudo tratto di paese non era che una nuda sodaglia. Oggi il bosco è maturo, non dirò per i ladri, che non vivono più per i boschi, ma per tutti coloro che amano le meste solitudini e sognano sempre, quando sono in un luogo, di trovarsi in un altro.

A me questi boschi ricordano per esempio, certe solitudini dell'antica Caledonia: e il più bello si è che in Caledonia non ci sono mai stato. Ma non si è letto inutilmente a dodici anni una dozzina di romanzi del Walter Scott, seduti all'ombra di un'antica quercia, o anche solo sul pianerottolo della scala. Se non è come in Scozia, vi son tratti nei boschi di Limbiate che potrebbero essere trasportati in Scandinavia e allora è ancora più bello per chi ama viaggiare a piedi.

Le piante d'un verde scuro perenne, di un fusto magro e diritto, che si apre a larga piuma o a ombrello, collocate a migliaia l'una presso l'altra in una disposizione quasi simmetrica, e così per l'estensione di cinque o sei miglia: i viali che tagliano questi eserciti di piante e si prolungano, si sprofondano nel verde a perdita d'occhio: le forre di altissime erbe filiformi dove non entrano che i bracchi: la terra gialla, rotta da immensi crepacci dove la picchia il sole: molle, melmosa, scivolante come il sapone dove l'acqua stagna: gli scoli d'acqua piovana che scendono a formare pozze, paludi, laghetti, e fin dei laghettoni perenni circondati da conifere con increspature e piccole tempeste sconosciute al mondo, come quelle delle anime modeste: e poi aggiungete un silenzio profondo, non interrotto nemmeno dal solito stormire delle fronde (il pino è taciturno) e i celestiali e mistici dell'aria al disopra di tanto verde, e le fiamme vaganti del tramonto veduto attraverso alle fessure del bosco.... tutto ciò voglio dire, mi ha tante volte trasportato fuori di me in una regione dove io sento che son vissuto un'altra volta, forse diecimila anni fa.

Oh la poesia, amici, è pur la dolcissima cosa! Voi uscite un mattino d'autunno, con un libro, mettiamo Aleardo Aleardi, nella tasca del carniere, col fucile ad armacollo, col vostro cane che vi saltella innanzi, girate dietro le case, pigliate verso il cimitero vecchio, date un'occhiata a quei poveri morti e a quella croce bianca dove da cinquant'anni dorme una contessina morta.... No, no, non è poesia.

Io fui innamorato a sedici anni di quella contessina, ed è una storia che ho promesso di contare qualche volta. Io l'ho seguita attraverso alle ombre del bosco, più contento quanto più le nebbie del novembre entravano fra le piante a rannuvolare i contorni della selva.

Una mattina, giusto sui primi di novembre, mentre io correvo prima di colazione attraverso la pineta, pensando al mio futuro poema sulla Risurrezione dei Morti, fui a un tratto arrestato da una fiamma che si agitava in fondo, e che stentava quasi a rompere il velo bianco e gelato dalla nebbia. Anche Pill, il mio cane da caccia, si fermò su quattro piedi, col muso in alto, e la piccola coda piena di meraviglia. La Cherubina mi aveva detto prima ch'io uscissi di casa che si sarebbe fatta colazione alle undici, più tardi del solito, perchè si aspettava mio fratello coi parenti della sposa.

Da due giorni si lavorava in cucina a preparare quella colazione, che doveva essere un banchetto di Sardanapalo con un piatto di selvaggina e un brodo ristretto che pareva giulebbe. L'importanza d'una casa si conosce a tavola e mio padre voleva, come si dice, far colpo su della gente un po' materiale.... Ma sono cose che non hanno nulla a che fare con quella fiamma che, come ho detto, si agitava in fondo al bosco e che stentava quasi a rompere il velo fitto della nebbia.

Strano un fuoco nei nostri boschi! Man mano che io mi avvicinavo, la fiamma si faceva più distinta, e già si potevano vedere nel chiarore rosso del fuoco disegnarsi alcune figure radunate in cerchio come a un tristo complotto di negromanti.

La solitudine e la selvatichezza del luogo che s'internava in una specie di crocicchio: quelle ombre ballonzolanti sul fusto delle piante al mobile ed acceso riflesso della fiamma fumosa e resinosa, avrebbero ben potuto far credere a un convegno di malviventi, se dopo alcuni passi non avessi riconosciuto le gambe lunghe e magre del signor segretario comunale, e accanto a lui la figura tozza del console e due o tre guardie campestri.

Il console s'era seduto in adorazione del fuoco sopra un pezzo di tronco. Battistino, una delle guardie campestri con un ginocchio a terra cercava di far saltare un carbone acceso nel buco della pipa, mentre il signor Boltracchi, il segretario, scaldava le parti meno rispettabili della sua persona, voltando le spalle al focolare, colle gambe aperte come un compasso. Quella brava gente si trovava da qualche ora nel bosco e col freddo del novembre e coll'erba bagnata di guazza, sentiva volontieri il beneficio d'una scaldatina.

Il console quando mi vide, toccò l'orlo del cappello colle due dita e disse:

- Riverisco, sor avvocato.

Il buon uomo era un mio contadino e nella sua semplicità sentiva un grande rispetto della mia persona.

- Che cosa fate, la polenta? - domandai.

- È per cagione di quel Gasparino della Vela, - rispose il console con quel linguaggio lungo che è proprio dell'alto Milanese.

- Che cosa ha fatto Gasparino della Vela?

- È morto.

- Era malato?

- Da un mese, sor avvocato, un poco di pellagra, ma bisogna dire che gli sia andata ai visceri del capo.

- Se non ho sentito a suonare l'agonia.

- Si muore anche senza la campana, - interruppe Battistino colle parole mozze di chi ha in bocca una pipa corta che gli abbrucia quasi le palpebre.

Il signor Boltracchi mi accennò col pollice sopra la spalla qualche cosa alla sua destra. Guardai e vidi il mio Pill quasi stecchito sulle sue quattro gambe, che tremava tutto sotto la sua pelle.

A un nuovo cenno del Boltracchi feci un mezzo giro sopra di me, guardai indietro presso le piante e allora scorsi sul terreno molle per la pioggia del prima, un non so che, coperto da una stuoia di carro e da una gualdrappa logora, e sotto un po' di paglia. Da uno dei lati uscivano due piedi lunghi, magri, infangati, colle unghie lunghe, due brutti piedi che parevano quelli della morte, i piedi insomma del morto.

- O Dio, che cosa è stato?

Il console stendendo le sue mani alla fiamma, continuò col suo tono naturale:

- Gli è venuta addosso la scalmana, si vede. Stamattina, la va bene? mentre la sua donna era a messa aprì l'uscio, traversò l'orto e nudo come è uscito dal ventre della sua mamma, prese la via dei boschi.

- Dev'essere passato dal laghettone di Mombello.

- Ci sarebbe rimasto, se fosse passato, perchè l'acqua è alta. Invece si vede che ha traversato il vallone della Merla, si è cacciato nei boschi vecchi di Lenzano e andò a finire alla pozza del Vetro. Qui ha creduto di poter traversare, ma c'è rimasto preso al vischio.

- C'è una terra che par giusto liscivia.

- Son passato ieri dalla pozza del Vetro e non c'era un barile d'acqua.

- Ne è venuta un poco stanotte.

- Si è mandato ad avvisare il sindaco e il maresciallo, - disse il segretario voltandosi davanti alla fiamma.

- Non era vostro parente? - dimandò Battistino al console.

- Ha sposato una mia sorella, sicchè lascia tre figliuoli. Uno è soldato.

- Adesso potrà venire a casa, se è morto il vecchio....

- La legge non permette se non ci sono dei minorenni, - disse gravemente il signor Boltracchi.

Pill, coll'unghie tese, col muso avanti, rigido come un cane di legno, non cessava di fiutare il morto.

- Lo sa la sua donna?

- Quando è tornata dalla messa che era ancora bujo, verso le cinque, la va bene? trovò l'uscio aperto. Allora capì che il suo Gasparino era scappato, perchè aveva tentato un'altra volta, di scappare. Si mise a gridare, a chiamar gente. Venne un ragazzo dei Melgoni a dire che aveva veduto un uomo nudo come un verme che correva nei boschi e che era Gasparino della Vela. Allora si è cominciato a cercare nel bosco e si sono trovati dei passi freschi colla pianta delle dita. Cerca di qua, cerca di , poi abbiamo incontrato voi Battistino, la va bene?

- Io venivo da Bovisìo, dov'ero stato a portare un paio di stivali al calzolaio, perchè mi mettesse le calcagna e giungo alla pozza del Vetro, quando mi par di sentire un scialacquamento come fa il mio cane quando ha caldo ed entra nella pozza a lavare le pulci. Ho creduto anzi che fosse il Pill del signor avvocato, che viene volentieri incontro quando sa che vado per i boschi. Anzi mi fermai e chiamai forte: Pill.... Torno a sentire un ciuf-ciuf nell'acqua. Pill! dove sei?... e fischio, così.... mentre vado verso la pozza dietro il rumore....

Battistino, prese la pipa colla sinistra, e mandò un sibilo acuto da cacciatore che risuonò per tutta la solitudine. L'altro villano, che non aveva mai parlato e che conobbi per il Rosso, sorrise colla sua faccia cretina di ranocchio.

- Pill.... Non sentendo più nulla, vado giù verso la pozza e trovo quel povero cristiano in un boccale d'acqua tutto impastato come un mostro nella melma, che aveva trovato la maniera di annegare.

- È la pellagra che mette una sete d'inferno.

- Capita spesso alla bassa che i malati si buttano nel pozzo.

- Vi sarete spaventato, Battistino.

- Non è la prima volta. L'anno scorso vi ricordate quel matto di Mombello che scappò dallo stabilimento e che s'impiccò fra due piante? L'ho visto pel primo una mattina di gennaio. Era arrampicato sopra un pino altissimo dove attaccò la corda; poi andò sopra un'altra pianta più alta e attaccò l'altro capo, e Dio sa come potè impiccarsi a mezz'aria all'altezza d'un campanile.

- I matti hanno una gran forza.

- M'è toccato vederlo tra il chiaro e il fosco. Il freddo aveva gelata anche la corda e il matto pareva di vetro.

- La Bortola del sarto ha vinto cinquantasei lire coi numeri del matto.

Il Rosso rise ancora gonfiando gli occhi slavati.

- Quello era un conte diventato matto per i liquori.

- Chi troppo, chi nulla....

- C'è qui il maresciallo.

Venne anche il sindaco e il dottore. Il cadavere fu scoperto. Pareva una mummia ingiallita. La creta gli riempiva ancora la bocca e i forellini del naso.

Pill pareva diventato di sasso e guardava il morto con occhio lagrimoso.

Povero Gasparino! lo si sarebbe detto un fossile di tremila anni, e nel suo freddo abbandono non si scorgeva che una tenue espressione d'ironia agli spigoli della bocca. Non era certo la creta che lo faceva ridere.

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Pill mangiò poco quel giorno.

 

 

 



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