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UN «CASO»
I
Ai «Fossi», laggiù dietro la via larga e popolosa della Ferrovia, terminava il mercato dei panni. Le mercantesse si sbandavano. Alcune pigliavano per la strada della marina, altre si indirizzavano alla Via Nolana, dalla quale si levava, nel lontano, un fitto polverio bianco. Altre infilavano l'arco aragonese di Forcella e si cacciavano, a gruppi di due o tre, coi lor mucchi di panni in capo, ne' vicoletti della Vicaria o ne' labirinti di quelli della Duchesca ove, qua e là, sotto il sole di agosto, i rigagnoletti e le pozze luccicavano di riflessi metallici.
Lentamente il mercato si vuotava. Era cominciata tardi la vendita, verso il tocco, e terminava alle sedici, nell'ora del sole alto. Era andata avanti assai fiaccamente: le voci della malattia s'udivano un poco da per tutto, le note di cronaca del Roma e i bollettini si leggevano da gente commossa e paurosa or qua or là, d'avanti a' bassi e dentro alle botteghe e nella via stessa, ove si radunavano capannelli di popolani impensieriti. Certo più della paura poteva la necessità: ma, da una settimana, il mercato de' panni languiva. Le donne di Cardito, di Pugliano, di Pomigliano, d'Acerra lo avevano addirittura abbandonato, esse così tenere di coltri di seta gialla, di seta verde, imbottite di bambagia, trapuntate a mostaccioli, orlate di frange barocche argentate. E invano andavano su e giù le venditrici: davanti ai mucchi di pantaloni a quadrelli, di giacchette di velluto stinto, di corpetti rabberciati e di grembiali di ogni forma, provenienze misteriose della miseria, della morte, del furto, nessuno si soffermava. Nessuno comprava. Nell'inutile va e vieni perfino veniva a mancare la voglia di gridar la mercanzia: moriva in un sussurro l'alto vocìo de' buoni giorni di vendita, e nell'afa insopportabile, sotto la sferza del sole, era tutto uno sfinimento. Dalla strada della Ferrovia la cupa eco del passaggio de' grandi carri carichi di pellame, o di botti o di carboni, delle vetture d'albergo, dei carretti d'erbaggi delle paludi s'affievoliva: tutto quel transito pareva che non seguisse più come prima. Risuonava, soltanto, a tratti, la cornetta rauca d'un tramwai due, tre volte: squillavano i campanellini di un carretto solitario e, finito quel suono, pareva più alto il silenzio.
Due o tre ancora delle mercantesse si aggiravano per la via dei Fossi, occupata da un chiarore abbagliante. A una a una disparvero anche esse. L'ultima veniva in sulla piazzetta, lentamente, come trascinandosi. Era un gran donnone: forte, alta, bruna. Il sudore le rigava le guance dalla fronte, le imperlava sotto gli occhi la fine epidermide, le riluceva sul labbro superiore, segnato da una fitta pelurie. In braccio ella si recava una pila di que' comuni berretti a visiera di panno, che gli sbarazzini amano di portare di sghembo: e uno de' berretti, per ripararsi dal sole, s'era proprio posto in capo.
Com'ella giunse allo spiazzato si arrestò: passava, tra due carabinieri, un giovanotto ammanettato. Andava alle carceri della Vicaria. L'ammanettato la salutò con un lieve cenno del capo e si fermò un momento anche lui e levò le mani incatenate, avvicinando la faccia al panno della manica, lì ove il braccio si piega. Passò e ripassò le gote sudate sul panno, soffregando forte. I carabinieri, aspettando, guardavano la donna e sorridevano. Poi ripresero la loro via. La berrettaia si rimise in cammino. Scavalcò un mucchio di pietre accatastate lì nella piazza per un guasto del selciato e, a un tratto, apostrofò il cocchiere di una vettura da nolo, il quale s'appisolava al sole, in serpa, in quel luogo quasi deserto.
- Salute e bene... - sbadigliò quello, rizzandosi in serpa e raccogliendo le redini che gli erano cascate su' piedi - E voi dove ve ne andate?
- Dove, figlio? A casa, cuore mio bello. Che ci resto a fare quaggiù? Non s'è venduto uno spillo!
- E io che son qui da mezzogiorno a bruciarmi al sole! Poc'anzi m'ha preso il sonno...
L'altra sgranò tanto d'occhi e scosse la testa.
- Ieri cento e due casi. Mio marito ha letto il giornale.
Seguì, daccapo, il silenzio. Improvvisamente la mercantessa si licenziò, col suo sorriso bonario.
- Così vuol Dio. Dunque, buona giornata, Rocco!
- Buona giornata anche a voi - disse il cocchiere.
E si chinò un'altra volta a raccogliere le redini che gli erano scivolate di su le ginocchia.
Una voce femminile lo chiamò, dal lato del marciapiedi.
- Cocchiere!...
Rocco si volse. Era una signorinella pallida e piccola con certi grandi occhi neri lucenti, vestita di nero: qualcosa tra la maestrina e la cameriera di buona famiglia.
- Montate! - disse Rocco - Dove andiamo? Ella rimase in forse un momento. Poi disse:
- Alla Posta.
La vettura si mise in moto. A un tratto il cocchiere gridò:
E con la punta della frusta picchiò, per celia, sulla spalla della berrettaia, che rincasava a piccoli passi.
- Vado alla Posta - disse Rocco.
- Avete visto? - sorrise la berrettaia, scansandosi - V'ho portato fortuna.
Più in là, presso il Castello del Carmine, il cocchiere si girò indietro sulla serpa:
La piccola pallida lo guardò come smarrita. S'era tutta rimpiccinita e rincantucciata in un angolo della vettura. Le sue mani tormentavano la pezzuola.
- Alla Posta?... Sì... certo... m'aspetterete...
E ancora mormorò qualche cosa che il vetturino non intese - e si gettò indietro come abbandonandosi...
II
Quale viaggio strano, faticoso, irresoluto, in quell'afa ardente e insopportabile! Dove si andava? Si andava da per tutto: Rocco Longo era sfinito, era sfinita la sua bestia e anche pareva che la vettura malconcia a un tratto si dovesse sfasciare. S'andava in giro da tre o quattro ore. Da prima la signorina s'era voluta fermare alla Posta e lì, allo sportello delle lettere, avea chiesto una lettera che non aveva avuta, che non c'era. Palpitante, incerta, s'era trascinata fino alla vettura, e quasi vi s'era lasciata cascare su' cuscini.
- Dov'è l'albergo delle Tre Rose?
- E chi lo sa? Voi non lo sapete?
- A Porto.
La vettura avea preso per Piazza Francese e s'era ficcata ne' vicoli di Porto. Ai Lanzieri la sconosciuta scese d'avanti alla porta d'una delle tante miserabili e tristi locande del quartiere. Dalla serpa Longo domandò:
- V'aspetto?
E come ella pareva indecisa il vetturino soggiunse:
- Bene, andate pure: io vi aspetto.
Da' Lanzieri erano andati alla Marinella e dalla Marinella ai Mercanti, e appresso alla Giudecca, al Vico Coltellari, a Rua Catalana. Ella, a ogni sosta, si precipitava dalla vettura, si cacciava in un palazzetto e riappariva poco dopo muta, livida, con gli occhi pieni di lacrime. Risaliva a stento in vettura: s'afferrava alla serpa talvolta. L'ultima volta Longo dovette aiutarla. Per via la udì singhiozzare.
Si volse.
- Ma che avete dunque!
Ella mormorò:
- Nulla... nulla.
Annottava. A un tratto Longo sentì che ella gli batteva lievemente, in punta di dita, sulla spalla.
Difatti, ove andava Longo, con la sua vettura polverosa, con la sua rozza affamata e zoppicante, sognando in serpa e guidando macchinalmente la bestia? Egli si arrestò, e si guardò intorno. Erano sulla via nuova, deserta e buia, dell'Arenaccia. Sulla destra si disegnava confusamente l'immane tettoia della stazione ferroviaria, nera nera: i grandi occhi immobili delle locomotive, rossi, verdi, giallognoli, ammiccavano nell'oscurità. Un fischio acuto e breve ruppe il silenzio: l'aria vibrò tutta al fragore d'un treno che passava sulle piattaforme metalliche. Dalla via si vide il treno svolgersi rapidamente, e trascorrere, come un gran serpe nero che scompariva nella notte.
III
La giovane disfece il nodo della sua pezzuola e ne cavò un pezzo da due lire.
- Questo m'è rimasto - mormorò.
Longo era sceso di serpa. Guardò appena le due lire, al lume del fanaletto, e le gettò in grembo alla giovane.
- Ma scherzate? Che mi mettete in mano? Due lire?... Andiamo, non ho voglia di scherzare!
Ella balbettava:
- Sull'anima di mia madre che m'è morta ieri l'altro...
- Ma che! - fece Longo - Ora mi si mette a giurare! V'ho portato in giro per quattro ore di seguito e il meno che mi spetta son cinque lire! Su! O mettete fuori le cinque lire o vi porto alla questura com'è vero il santo ch'è oggi!
Nel silenzio della strada la sua voce minacciosa suonava chiaramente. La signorina nascose la faccia tra le mani.
- Andiamo! - disse Longo - Spicciatevi!
Ella singhiozzava:
- Ascoltatemi... Io non sono di Napoli... Sono di Nola... Non sono pratica... Ho perso tutto e mia madre m'è morta, ieri l'altro... Avevo... lui... Un giovane... Capite?... E mi son messa a ritrovarlo. M'ha lasciata. Voi avete visto: non l'ho più trovato... Lasciata!... Abbandonata! Abbiate compassione... Non ho più nulla... Perdonatemi!...
Longo, con le braccia conserte, la guardava.
La sconosciuta soggiunse, piano, come parlando a sè stessa:
- Sono stata tradita... Era un cameriere d'albergo... L'albergo delle Tre Rose ai Lanzieri, dove siamo stati... Non v'è più... Partito... Sparito... Non v'è più...
Longo si mise a frustare il selciato e a bestemmiare.
Ella supplicava:
- È vero... Avete ragione... Perdonatemi...
D'un subito il cocchiere le si appressò, l'afferrò pel braccio e le fece:
- Com'è vero Dio, stasera prendo un guaio per voi! Chi vi conosce? E avete scelto la vettura mia e me per correre appresso al vostro uomo? Ma lo sapete voi che due lire non mi bastano neppure per l'avena al cavallo, e me l'avete ammazzato!
Ella mormorava:
- Perdonatemi... perdonatemi...
- Così fate, voialtre! - urlò Rocco - Così ingannate la gente, razza di bagasce!...
All'improvviso le piantò sulla spalla la mano larga e pesante, e si chinò sopra di lei che s'era gettata addietro sui cuscini.
- Almeno... - sogghignò - Ch'io vi veda in faccia, carina! Come siete in faccia?... Bella... brutta...? Vediamo un poco...
Ma si ritrasse, spaventato. Ella era diaccia: un sudore gelido le veniva giù pel volto e le bagnava pur le mani, che tremavano convulsamente.
Longo, sbalordito, la scosse:
- Signorina... signorina!... Che avete?... Non v'impaurite... Non vi voglio far niente...
La giovane s'irrigidiva. De' conati di vomito la facevano sobbalzare sul cuscini, gli occhi già quasi le diventavano vitrei.
- Ho freddo... - mormorò - Ho freddo... Muoio...
- Ah, Cristo! - urlò - Un caso fulminante!...
Si voltò, si guardò intorno, assalito da così vivo terrore che per due o tre secondi i suoi movimenti ne vennero paralizzati. La sconosciuta seguitava a torcersi e rantolava:
- Freddo... freddo... Oh mamma!...
E come lo vide fuggire a gambe levate per l'Arenaccia, si levò quasi in piedi nella vettura, con un ultimo sforzo, e stese un braccio.
Ricadde. Si ripiegò sui cuscini: v'annaspò con le dita raggranchite. E al sereno cielo che si popolava di stelle palpitanti e la vedeva morir sola, nella notte, levò uno sguardo disperato.
Balbettò ancora:
Dopo un po' il cavallo affamato si mise a nitrire e a battere sul selciato la sua larga unghia ferrata.
Poi fece un passo, poi un altro.
E si rincamminò, portandosi lentamente la piccola bruna, immota, per l'oscurità, verso la nascosta rete dei binari...