Salvatore Di Giacomo
L'ignoto

TOTÒ CUOR D'ORO

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

TOTÒ CUOR D'ORO

 

 

I

 

Due disgrazie, una più terribile dell'altra, colpirono, tre anni fa, nel febbraio, il mio amico artista Totò Galiero. Morì improvvisamente un suo zio presso il quale Totò mangiava, beveva, e scriveva le sue poesie lagrimose, i suoi sonetti pieni d'anima, come dicono adesso, i suoi straziantissimi drammoni, brani d'un cuore esulcerato, ch'egli, con un sorriso amaro, gettava di volta in volta a quel cane del pubblico. E un male misterioso - lo scoppio, a sentire i medici, d'una latente infermità nervosa che finiva per molto stranamente esprimersi - gli annebbiava in tale maniera la vista da nascondergli a un tratto e completamente ogni miseria umana.

Gli amici, figurarsi se rimasero atterriti da questo duplice disastro! Coglieva il poeta sentimentale, il pietoso scrittore del «Calvario d'una derelitta», l'espositore commosso delle privazioni degli oppressi, Totò Galiero, il vero socialista della penna, soprannominato fra noi «Totò cuor d'oro» per le rare e nobili qualità della sua psiche.

La povertà! La cecità! Ci pensate voi? Roba da far rabbrividire, veri castighi tremendi. Ed ecco per un anno la Vedetta Letteraria, L'Humanum, il Giornale del Socialismo Artistico privati, deserti dei versi e della prosa del nostro buon Totò. Ed eccolo sparito, seppellito chissà dove, muto per tutti, ma impavido, stoico, certamente, e con quell'animo forte che posseggono le creature fatte come lui, ritto di fronte alle sue due immani sventure.

Dopo un anno da questi fatti dolorosi, mentre una sera leggevo tranquillamente il processo Dreyfus, la posta mi recapitò, fra l'altre, una lettera sulla cui busta era scritto, con calligrafia evidentemente muliebre, il mio nome.

Io non sono un donnaiuolo, non intrattengo corrispondenza epistolare con le ammiratrici del mio nobile ingegno, non eccito gli scambii spirituali con le letterate. Quella calligrafia donnesca mi sorprese, dunque, e m'intricò. Apersi la busta, guardai in fondo alla breve letterina e vi lessi con meraviglia non poca la firma del mio amico Totò! per , non ricordando la sua triste infermità d'occhi, mi domandai perchè mi scrivesse a quel modo, servendosi di quelle pattes de mouche così peculiari a un sesso che non era il suo. Poi mi risovvenni della fatale necessità ch'egli aveva di ricorrere a un'altra mano per le sue epistole, e nello spirito mi rimase soltanto la curiosità di conoscere per quale ragione egli affidasse la sua corrispondenza a una donna. La lettera, per altro, me lo spiegò subito.

«Conoscete, mio caro amico, l'ex monastero di Santa Patrizia, nella vecchia Napoli, ricoverante famiglie povere e vergognose della loro povertà, antichi impiegati pensionati e pinzochere e attori decaduti? Lo conoscerete certamente. Ebbene, io son , anzi qui, in questo decrepito locale: secondo corridoio del secondo piano, terza porta a sinistra. Vado dal medico ogni tre o quattro giorni e aspetto, pazientemente, l'operazione alla quale egli mi dovrà sottoporre e che, dice lui, riescirà completamente. Le mie condizioni finanziarie non sono, ahimè, mutate. Se spero di riacquistar la vista non così spero di potere trovar presto un posticino, un'occupazione quale che sia, tanto, insomma, che mi dia da vivere. Pazienza! Sapete d'altra parte, che cosa veramente desidero? Una vostra visita. Verrete dunque? Vi aspetta il vostro affezionatissimo Galiero. Ave!

«P.S. - La mano che vi scrive questa lettera è quella d'una buona vicina che mi fa da segretario. Il cuore è sempre quello del vostro Totò. Arrivederci

Povero Totò! Non misi tempo in mezzo e andai a trovarlo nel vecchio monastero di Santa Patrizia. Era una di quelle uggiose, piovigginose, grige giornate di marzo che vi mettono la tristezza in cuore e l'umido nelle ossa. Trovai Totò del suo solito umore quasi allegro e fu egli stesso, anzi, che avviò la conversazione per via non funebre.

- Guarirò - mi disse - Il dottore me l'ha proprio assicurato. L'operazione sarà dolorosa, sarà lunghetta, ma io tornerò a vedere.

- Ma davvero?

- Oh! Ne sono certissimo. Lo sento, ecco. E sento che al mio cuore tormentato è riserbata la più alta, la più gentile delle soddisfazioni. Quella di poter vedere, di poter ringraziare non solo col vivo della mia voce, ma col baleno del mio sguardo commosso la più santa delle creature di questo mondo, colei che durante la mia infermità non s'è mai per un momento solo allontanata da me, che m'ha prodigato tutte le sue cure, tutto il suo affetto, tutta la sua bontà! Oh! le sarò ben riconoscente, amico mio! Ora io non desidero di vedere che per lei, per lei solamente!

Parlava forte. La sua voce s'era riscaldata e tutta la sua persona vibrava.

Mi parve di udire un fruscìo di gonne, fuori la porta della celletta. Qualcuno che forse origliava , nella penombra, ora s'allontanava in fretta.

E Totò mi parlò della sua vicina, a lungo. Un angelo. Tutti i giorni gli portava il caffè, gli sedeva accanto, lo consolava, gli leggeva i libri e i giornali, gli scriveva le lettere, badava alla sua biancheria, gli spazzolava gli abiti...

- Dunque un idillio?

- Mah! - fece lui, sorridendo.

- Bella?

Totò sorrise ancora, amaramente. E io m'accorsi della mia storditaggine. Che poteva sapere, il povero cieco, del fisico dell'angelo? Ma egli continuava a narrarmi di tante piccole circostanze sentimentali per cui pensai che almeno nell'anima di lui, se non davanti agli occhi suoi, la figura della misteriosa benefattrice doveva essere impressa come una delle più delicate e suggestive.

- Mi scriverete ancora qualche volta? - chiesi al mio amico sul punto di lasciarlo.

- Ma certamente. Spero di potervi presto annunziare la mia guarigione.

- E la felice soluzione del vostro idillio - soggiunsi.

- Chissà?... - disse lui.

 

 

II

 

Passarono da quel giorno sei o sette mesi. Notizie di Totò, durante tutto quel tempo, io non avevo più potuto apprendere poi ch'ero dovuto partire, appena qualche settimana dopo di averlo visto, per la Germania. Lassù, di volta in volta, mi si rifaceva vivo il ricordo de' miei amici di Napoli e spesso, nella nebbia nicotinizzata di qualche birreria di Magonza o di Heidelberg, tra' fumi del prosciutto caldo e del saüercraut, la ideale e dolorosa figura di Totò Galiero mi appariva come quella d'un personaggio poetico e tragico, e degno di quella nordica letteratura.

Tornato a Napoli trovai, fra le parecchie che il mio portinaio aveva avuto la splendida idea di serbarmi per tre mesi nel suo casotto, una lettera di Totò. Questa volta egli scriveva manu propria, con la sua bella calligrafia chiara e grande, indizio, come osservano i grafologi, d'una passionalità generosa.

«Sono guarito! - annunziava la lettera - Vedo! Vedo

Nient'altro.

Evviva! Ma dove ottenere più precise notizie, dove potermi congratulare con quel poveretto, dove poterlo riabbracciare? Corsi all'ex monastero di Santa Patrizia, infilai daccapo quel lungo e oscuro corridoio che m'aveva guidato alla cella di Totò e con una indescrivibile emozione picchiai al numero 40.

Mi venne ad aprire un vecchietto che aveva fra mani un berrettino tondo intorno al quale egli stesso andava cucendo un nastro di felpa. Dallo schiuso della porta s'intravedevano un lettuccio basso, una vecchia sciabola e due grandi stivaloni appesi al muro, e attaccati alle pareti delle immagini sacre, delle fotografie, un ritratto di Ferdinando II. La stanzuccia mi parve quella d'un qualche militare giubilato, d'un solitiero, come dicono a Napoli: il vecchietto aveva ancora l'aria marziale, un bel paio di bianchi baffi rialzati e addosso una giacchetta soldatesca, abbottonata fino al mento.

- Scusi, Totò Galiero?

Egli esclamò, sorpreso:

- Come! Chi?...

- Domando perdono. - soggiunsi - Galiero. Ha forse sloggiato?

- Da un pezzo! - disse lui.

- Sono un suo amico. Venivo a vederlo. A congratularmi con lui anzi, che, pare, ha riacquistato la vista... Lei... scusi, ne sa niente?... Vedo che occupa la sua stanza...

Il vecchio mi continuava a sgranare gli occhi in faccia, e taceva.

- Lo conosce? - insistevo - È pure un suo amico, lei?

- Io!? - urlò, come se gli avessi dato uno schiaffo.

Vi fu un silenzio. Ero confuso, non sapevo più che dire e quasi facevo per salutare il vecchietto e andarmene. Egli si volse addietro per riporre il berrettino e l'ago su un tavolinetto. Poi uscì nel corridoio, mi prese per mano, silenziosamente, e mi condusse rimpetto, d'avanti a un'altra porticella. Si chinò a guardare pel buco della serratura e mi fece atto perchè lo imitassi. Guardai dentro anch'io.

V'era una giovane donna, bruttina, piccola, biondiccia, seduta per terra - al sole che la illuminava tutta - accanto a uno di que' grossi cestoni ne' quali le povere madri napoletane, le donne del popolo, mettono a dormire i loro piccini. La piccola bionda si chinava su quella culla e di volta in volta agitava la mano per cacciar via qualche mosca.

- Ha visto? - disse il vecchietto.

Non capivo e non sapevo che cosa rispondere. Allora egli, nel corridoio scuro, avvicinando quasi alla mia la sua faccia, mormorò:

- Il suo amico ci ha lasciato questo grazioso ricordo. Ah, non sa nulla? Bene, glie lo dico io. Partito... Il signor Galiero è partito per l'America, coi denari dell'eredità d'uno zio prete... Capisce?... E lei, non ne sapeva nulla?

Sorrideva, ma con tal sorriso che mi gelò il sangue. Le sue mani scarne tremavano.

- Totò Galiero! - esclamai - Totò ha fatto questo!...

- Già: - disse il vecchietto, continuando a sorridere e rincamminandosi verso la sua stanza - Totò Galiero ha fatto questo. Ha fatto una madre. E te l'ha piantata col figliuolo. Che? Bello! Magnifico! Grandioso! Per gratitudine, l'ha fatto. Quella è la signorina che lo ha assistito durante tutta la sua infermità...

Fece ancora due passi e si volse.

- Totò cuor d'oro, se non mi sbaglio - esclamò - Totò cuor d'oro!... Il poeta! Accidenti! Totò cuor d'oro!

Sulla soglia della sua stanza mi salutò con la mano.

- La riverisco, sa! E lei me lo riverisca!

Suonò una risata ironica, sghignazzante, terribile. Il vecchio sparve nella sua camera.

La porticina si chiuse, sbattuta forte.

 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License