Michele Amari
Storia dei Musulmani di Sicilia

LIBRO PRIMO.

CAPITOLO VII.

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CAPITOLO VII.

 

Basta a gittare uno sguardo su la carta geografica per comprendere come, occupata l'Affrica propria dai Musulmani, la Sicilia fu involta in continua guerra. Dapprima servì di scala alle spedizioni con che il governo bizantino provossi a difendere l'Affrica: in fatto s'adunavano in Sicilia le armate che ripigliarono Barca del seicento ottantotto, e Cartagine del seicento novantasette, come abbiamo narrato. Ma stanco l'Impero a sì pochi sforzi, e sconfitta da Hassân-ibn-No'mân la terribile reina dei Berberi, i Musulmani incontanente ripigliarono l'assalto, con infestar le isole italiane. Principiarono da Cossira, ch'oggi s'addimanda Pantellaria; isoletta ferace, spaziosa, comoda di porti, e situata, come pila d'un ponte che dovesse congiungere la Sicilia e l'Affrica, a sessanta miglia dalla prima e quaranta dalla seconda. Però Cossira fu, di tutti i tempi, luogo rinomato nelle guerre che si travagliarono tra i due paesi. Molti Cristiani d'Affrica vi s'erano rifuggiti, già il dicemmo, dalle armi musulmane, e, afforzatisi nell'isola, vissero sicuri finchè gli Arabi di quelle parti non ebber agio di pensare alle cose del mare. Ma verso il settecento dell'era volgare, Abd-el-Melik-ibn-Katân, venendo forse d'Egitto, andò a gastigare que' sudditi contumaci, come al certo li chiamavano i Musulmani; s'insignorì dell'isola, e ne spianò le fortezze. Mandavalo, al dire di Bekri, il califo Abd-el-Melik-ibn-Merwân245: ed è evidente che questa fazione fosse il principio d'un gran disegno, attribuito da alcuni scrittori a Musa-ibn-Noseir.

Ed era di rinnalzare la potenza che la schiatta semitica avea fondato in quelle medesime regioni quindici secoli innanzi, la quale non avea ceduto che alla virtù di Roma. Narra un de' primi cronisti arabi che Musa, venuto a Cartagine, sentendo dir dai paesani berberi delle antiche imprese navali di quel popolo, si deliberasse a ritentare tal via246; sì come poi occupata la Spagna gli lampeggiò alla mente di tornare in Oriente a traverso la terraferma di Europa; imitando e avanzando Annibale. Altri vuole che Hassân-ibn-No'mân, predecessore di Musa, avesse pensato già prima alla guerra navale; sì che per comando o assentimento del califo s'era cominciato a sgomberare il canale tra il mare e la laguna di Tunis, per acconciar questa a porto da e farvi un arsenale247: e avean messo mano a tai lavori, o alla costruzione delle navi, artigiani copti chiamati a posta d'Egitto248, indifferenti o forse lieti di lavorare ai danni de' lor antichi signori bizantini. Qual che si fosse l'autore del disegno, il tempo in cui vi si diè principio si può circoscrivere a quattro o cinque anni tra il seicento novantotto e 'l settecentotrè; e la opportunità della scelta è evidente, poichè quella lagunadifendevole assicurava l'armata musulmana dalle superiori forze navali dei Greci; oltrechè a Tunis non v'era sospetto, come a Cartagine, d'una popolazione cristiana che desse aiuto o almeno avvisi al nemico. Musa, se non cominciò, affrettò l'opera al certo; comandò di fabbricar cento navi249; e non aspettò che fossero fornite250, per muovere un assalto contro la Sicilia; istigandolo invidia e cupidigia, che poteano pur troppo sul grande animo suo.

Perchè un'armata egiziana era testè venuta, quasi sotto gli occhi del capitano d'Affrica, a far preda su le terre dei Cristiani. 'Atâ-ibn-Rafi', della tribù di Hudseil, condottiero dell'armata, proponendosi d'assalire la Sardegna, era entrato nel porto di Susa a far vettovaglie; quando ebbe lettere di Musa, che l'ammonivano ad aspettar la primavera e non affrontar le tempeste di quella stagione; ch'era, credo io, l'autunno del settecentotrè. Odorandovi l'invidia, 'Atâ non dette ascolto al consiglio, e salpò, e giunse ad un'isola di Silsila, come leggiamo nel MS. unico d'Ibn-Koteiba: sia che gli Arabi d'allora abbian dato tal nome a Lampedusa o altra isoletta vicina; sia, come parmi più probabile, che si tratti della Sicilia e i copisti n'abbian guasto il nome. Gli Arabi d'Egitto fecervi grosso bottino d'oro, argento e gemme; ma al ritorno, un turbine di vento li colse presso le costiere d'Affrica: onde molte navi perirono, tra le quali quella di 'Atâ; altre qua e arenarono. E Musa, risaputolo, mandava incontanente una man di cavalli a percorrere le spiagge; prendere i legni e i marinai campati al naufragio; e condurre gli uni e gli altri nell'arsenale di Tunis251. Entrato poi l'anno ottantacinque dell'egira (13 gennaio a 31 dicembre 704) Musa bandisce la guerra sacra sul mare; voce ch'ei vi andrà in persona; trasceglie i più arrisicati e forti uomini dell'esercito e il fior della nobiltà araba, e li fa montare su l'armata; che niuno ne rimase in terra, al dir dei cronisti. Quando le navi erano in punto di salpare, Musa si fe' recare l'insegna del comando, e inaspettatamente l'annodò alla lancia che tenea in mano Abd-Allah suo figliuolo; affidando alla fortuna del giovane questa che fu la prima impresa navale dei Musulmani d'Affrica, e che addimandossi la spedizione degli illustri, per la chiara fama de' guerrieri che v'andarono. Sbarcarono del settecentoquattro in Sicilia, ove presero una città della quale non sappiamo il nome; ma solo che, scompartito il bottino, toccassero cento dinâr d'oro a ciascuno, che vi si contavano tra novecento o mille uomini252; onde la somma, aggiuntavi la quinta del principe, torna quasi ad un milione e settecento mila lire253. Non andò guari che Musa fe' uscir di nuovo l'armata d'Affrica sotto A'iiâsci-ibn-Akhial, il quale irruppe in Siracusa (705), dicono i cronisti arabi, forse nella parte della città che rimaneva in terraferma, ovvero in qualche sobborgo, e tornossene sano e salvo e con gran preda254.

L'anno poi che principiò la guerra di Spagna (710), Musa mandò le navi in Sardegna; all'arrivo delle quali gli abitatori della città capitale non trovaron altro riparo che di gittare in fondo al porto tutto il vasellame d'oro e d'argento, e nascondere il danaro e le minutaglie più preziose nella cattedrale, tra le tegole e il soffitto. Ma, occupata la città, un Musulmano, bagnandosi in mare, inciampava in un piatto d'argento; un altro, saettando una colomba che svolazzava nella chiesa, colse un'asse del soffitto, onde caddero alquante monete d'oro: così, al dir dei cronisti musulmani, si scopersero i tesori occultati. Stendonsi poi nel narrare le magagne dei soldati che saccheggiando frodavano la parte del califo, del capitano e dei compagni; onde, per timore d'esser frugati nei panni, chi spezzò la lama della scimitarra per nasconder l'oro nel fodero, rimettendo l'elsa al suo luogo; chi sparò la carogna d'un gatto e ripiena di danaro la gittò dalle finestre d'un palagio, per ripigliarla all'uscita. A tal corruzione generale mescolavansi i terrori religiosi, e non la frenavano. Rimontati in mare i predoni, dice Ibn-el-Athîr, udissi una spaventosa voce: "Sommergili, o Dio!" e incontanente il mare tranghiottiva que' ribaldi; e, come ad accusarli, rigettava su la spiaggia i cadaveri con le cinture zeppe di moneta255.

Per dieci anni l'ardente cupidigia dei soldati e dei capitani si sfogò in Spagna; indi si volse di nuovo ai nostri paesi; poichè sappiamo che Mohammed-ibn-Aus, oriundo di Medina256, avea fatto preda e prigioni in Sicilia l'anno settecentoventi, quando, tornato in Affrica, fu preposto al governo in luogo di Iezîd, ucciso dai Berberi, come sopra accennammo. Il movimento poi di questi popoli ammorzò l'impeto degli Arabi contro la Sicilia. L'isola fu assalita il settecentoventisette da Biscir-ibn-Sefwân della tribù di Kelb, capitano d'Affrica, il quale tornò con gran copia di prigioni257; ma par trattasse col governatore bizantino un accordo che poi non si fermò, o non si osservò258. Venuto a morte Biscir, e succedutogli 'Obeida-ibn-Abd-er-Rahmân della tribù di Soleim, tentava la Sicilia con parecchie spedizioni. L'anno medesimo ch'ei capitò in Affrica, che fu il centodieci dell'egira (15 aprile 728 a 3 aprile 729), mandò in corso con l'armata un Othman-ibn-abi-Obeida; il quale sbarcato in Sicilia spiccava una schiera di settecento uomini, condotta dal proprio fratello Habîb; e questi, scontratosi col patrizio bizantino, lo ruppe e messe in fuga. Onde 'Obeida, con maggior disegno, l'anno appresso (4 aprile 729 a 24 marzo 730), allestiva centottanta barche, e inviavale a dirittura in Sicilia con Mostanîr-ibn-Habhâb; il quale per incapacità o sventura frustrò le speranze del capitano d'Affrica. Posto l'assedio ad alcuna città, tanto aspettò che sopravvenne l'inverno; e allora, partitosi con prosperi venti, ma assalito da una tempesta nel tragitto, perdè per naufragio tutta l'armata, da diciassette barche all'infuori; in una delle quali egli stesso approdava a Tripoli. Il che risapendo 'Obeida, volle dare, dice il suo biografo, un gastigo a Mostanîr e uno esempio agli altri. Commise a Iezîd-ibn-Moslim, governatore di Tripoli, di mandargli incatenato sotto buona scorta il condottiero che avea fatto perire per oscitanza i Musulmani; e avutolo in Kairewân, lo fece frustare sopra un'asina per la città; poi per lungo tempo vergheggiarlo ogni settimana; e sì il tenne in prigione finch'ei resse la provincia259. Thâbit-ibn-Hathîm di Ordûnn in Siria nel centododici (25 marzo 730 a 13 marzo 731), e Abd-el-Melik-ibn-Katan nel quattordici  (2 marzo 732 a 19 febbraio 733), vennero anco a far bottino e prigioni in Sicilia, e salvi se ne tornarono in Affrica; al par che Abd-Allah-ibn-Ziâd, che infestò il quattordici stesso la Sardegna. Ma l'anno appresso (20 febbraio 733 a 8 febbraio 734), Abu-Bekr-ibn-Soweid, mandato da 'Obeida in Sicilia, perdeva alquante navi, distrutte dal fuoco che lanciaronvi i Bizantini260. Infelice al paro un'altra impresa, ordinata il cento sedici (9 febbraio 734 a 29 gennaio 735) da 'Obeid-Allah-ibn-Habhâb, il quale passò allora dal governo d'Egitto in Affrica, in luogo di 'Obeida che gli avea sì crudelmente svergognato il fratello. Le genti di 'Obeid-Allah che venivano sopra la Sicilia, imbattutesi nell'armata greca, ebbero dura battaglia e d'esito incerto; poichè i Greci sconfitti recaron seco loro molti prigioni musulmani; e tra gli altri un Abd-er-Rahmân-ibn-Ziâd, il quale non fu liberato innanzi il centoventuno (739). Del centodiciassette (735), 'Obeid-Allah facea depredar di nuovo la Sardegna da un nipote del famoso 'Okba-ibn-Nafi' per nome Habîb-ibn-'Obeida, chiaro anch'egli per vittorie su le remote rive dell'Atlantico e in cuor del continente affricano, nel Sudân261. Intanto, ingrandito l'arsenale di Tunis e apparecchiate assai maggiori forze che per l'addietro, e fattene venire anco di Spagna, 'Obeid-Allah le affidava ad Habîb, e scagliavale un'altra fiata su la Sicilia, con evidente disegno di conquisto. Sendo l'Affrica aspramente turbata a quel tempo, pare che il governatore musulmano si fosse deliberato alla impresa allettato da pratiche che avesse in Sicilia, ove Leone Isaurico tormentava troppo le coscienze e le borse dei popoli.

Sbarcato Habîb del centoventidue (740), e afforzatosi com'ei pare in un campo, come soleano fare i Musulmani quando prendeano ad occupare alcun paese, mandava intorno i cavalli col proprio figliuolo Abd-er-Rahmân; il quale ruppe quanti gli veniano allo scontro, e corse vittorioso in Sicilia, dicono i cronisti musulmani, più largamente che niun altro condottiero. Appresentatosi sotto le mura di Siracusa, Abd-er-Rahmân sconfisse le genti uscite a combatterlo; strinse d'assedio la città, e spirovvi tanto terrore, che un potè cavalcare egli stesso fino ad una porta, e percossala con la spada in atto di minaccia, lasciovvi il segno. Calaronsi infine i cittadini a pagar una taglia. Doma la capitale, Habîb volgeasi a soggiogare il rimanente dell'isola; quando fu premurosamente richiamato in Affrica, ove i Berberi s'erano sollevati di nuovo, cogliendo appunto il destro di questa impresa di Sicilia262. L'isola dunque fu salva mercè quella ribellione.

In mezzo alle fiere vicende che poscia intervennero in Affrica, Abd-er-Rahmân, occupata questa provincia, come altrove s'è detto, ripensò alla Sicilia. L'anno centotrentacinque (17 lug. 752 a 5 lug. 753), allestita un'armata e gastigati i Berberi di Telemsên, andò in persona, o, com'altri vuole, mandò il proprio fratello Abd-Allah all'impresa di Sicilia e poi di Sardegna; nelle quali fu fatto molto guasto e stragi e preda e prigioni: durevoli acquisti no; non concedendolo le deboli fondamenta della dominazione d'Abd-er-Rahmân in Affrica. Il governo bizantino potè quindi, avvertito da tal nuova minaccia, afforzare validamente le due isole, e massime la Sicilia che più gli premea; rizzare un castello, così scrivono i Musulmani, sopra ogni roccia atta a difesa; e ordinare un'armata che guardava que' mari, e quando il potea, corseggiava sopra i mercatanti musulmani263. Tra così fatti provvedimenti e le turbolenze che non cessavano in Affrica, la Sicilia ebbe respitto dai Musulmani più di mezzo secolo.

Le ultime incursioni erano state aggravate da una crudele pestilenza. Già fino dal settecentodiciotto avea menato strage nell'armata del califo che assediava Costantinopoli264. Proruppe indi in Affrica dal settecentoquarantaquattro al settecentocinquanta265, e verso il medesimo tempo in Sicilia e Calabria, donde si credè che si appigliasse alla Grecia; e del settecentoquarantotto spopolò Costantinopoli e il Peloponneso266, mentre non men fiera ardea tra il Tigri e l'Eufrate267. Nei paesi cristiani commossi allora dalla lite delle immagini, non si potea far che cotesta calamità non le fosse apposta. E perchè gli Iconoclasti, distruggendo ogni altro obietto di culto, serbavan la sola croce, il volgo ortodosso la prese in uggia: vide apparire, su le vestimenta, le case e i tempii, crocette negre a migliaia, non più simbolo di riscatto, ma segno di pestilenza e marchio dell'ira divina268.

Si rannoda infine alle scorrerie de' Musulmani nel bacino centrale del Mediterraneo un episodio di storia letteraria, di assai momento nella penuria di quella età. Narra una leggenda che tratta a Damasco una torma di prigioni cristiani delle isole, mentre altri era venduto, altri, non sappiamo perchè, serbato al patibolo, notavasi tra loro un bel giovane italiano per nome Cosimo, al quale i miseri compagni si gettavano ai piè, chiedendo li raccomandasse a Dio. I Barbari, che non comprendeano perchè tanto si onorasse un uomo di sì poca età e povero aspetto, maravigliati lo interrogavano dell'esser suo; ai quali rispondea, esser frate e dotto in filosofia cristiana ed antica: e in ciò dire gli si empiean gli occhi di lagrime. "E perchè piangi, tu, che hai ripudiato ogni bene di quaggiù?" domandollo allora un cittadino fattosi innanzi. E Cosimo a lui: "Altro non m'accora," rispose, "che d'avere studiato indarno. Ho speso la gioventù," continuava, "ad apprendere rettorica, dialettica, morale, fisica, aritmetica, geometria, musica, astronomia, teologia greca e teologia nostrale: ma a che pro, se or debbo morire oscuro, senza che abbia a chi lasciare tal retaggio?" - "Datti pace, o fratello, che ti troverò io gli eredi" replicò il cittadino, ch'era cristiano, facoltoso, grato al califo, e padre del giovanetto Mansur, notissimo poi sotto il nome di San Giovanni Damasceno. E il buon uomo, comperato immantinente il prigione, lo emancipò, e affidògli il figliuolo e un altro fanciullo che avea adottato; i quali felicemente apparavano le dottrine del maestro, e il primo ne salì a quella fama che ognuno sa. Tanto leggiamo nella vita del Damasceno stesa due secoli appresso, sopra certi ricordi arabici269; e, stralciando gli ornamenti del compilatore, non v'ha ostacolo ad accettare il fatto. Secondo la ragion dei tempi, torna ai primi anni dell'ottavo secolo; ond'ei pare che il monaco Cosimo fosse caduto in man dei Musulmani in Sicilia, forse nella spedizione degli illustri ricordata di sopra; dopo la quale ei sarebbe stato condotto al califo, tra i sessantamila prigioni che gli mandava Musa conquistatore dell'Occidente. Rinforzano tal supposto le frequenti comunicazioni, e potremmo dire la promiscuità che correa tra i monasteri di Sicilia e que' della terraferma independente dai Longobardi, negli ultimi venticinque anni del settimo secolo.

 

 

 





245  Bekri, nella raccolta Notices et Extraits des MSS., tomo XII, p. 500, Quest'autore non assegna altra data che il califato di Abd-el-Melik-ibn-Merwân; il quale durò venti anni, dal 685 al 705. Ma senza timor di errore ne possiam togliere i primi tredici anni, quando gli Arabi aveano ben altro da fare in Affrica che perseguitare i rifuggiti di Pantellaria. Non trovandosi ricordato in questa fazione il nome di Musa, è probabile che seguisse prima della sua venuta in Affrica, la data della quale per altro è dubbia. Fa cenno di questa impresa, forse su l'autorità di Bekri, il Tigiani, Rehela, nel Journal Asiatique, août-sept. 1852, p. 80; e aggiugne essere state allora occupate le isolette vicine all'Affrica.



246  Ibn-Koteiba, Ahâdîth-el-imâma, presso Gayangos, The history of the Mohammedan Dynasties in Spain, tomo I, Appendice, p. LXVI.



247  Le varie opinioni degli eruditi musulmani sono esposte da due diligenti compilatori: Tigiani, Rehela, nel Journal Asiatique, août-sept. 1852, p. 65 a 71; e Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani), Histoire de l'Afrique, traduzione francese, p. 1, a 20. - Ho detto "sgomberare" e non, come gli scrittori musulmani, "scavare" il canale, poichè noi sappiamo che questo e la laguna esistevano ne' tempi antichi. Veggasi a tal proposito una nota del traduttore del Tigiani, M. Rousseau, op. cit., p. 69, 70.



248  Tigiani, op. cit., p. 69, dice che il califo comandò di inviarsi dall'Egitto ad Hassân duemila Copti, tra uomini e donne, perchè si servisse dell'opera loro, e che Hassân distribuì quelle famiglie tra Râdes, presso Tunis, e gli altri porti dell'Affrica. Indi si vede manifestamente che fossero artigiani.



249  Tigiani, Rehela; Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani); e Ibn-Koteiba, Ahâdîth-el-imâma, ll. cc.



250  Lo argomento da ciò, ch'ei mandò in Sicilia mille uomini soltanto, non ostante il cominciato apparecchiamento di sì grande numero di legni, i quali, per piccioli che fossero, doveano portare almeno una cinquantina d'uomini ciascuno, e però una forza totale di 5,000 uomini o più.



251  Ibn-Koteiba, Ahâdith-el-imâma, MS. del professor Gayangos, fog. 69 recto e verso, e versione inglese in appendice al Makkari, The history of the Mohammedan dynasties in Spain, tomo I, p. lxvj. L'erudito orientalista di Madrid, mandandomi copia di questo squarcio di testo per lettera dell'11 maggio 1854, ha corretto in alcune parti la detta sua versione. Quanto all'isola assalita, sul nome della quale io gli esposi i miei dubbii, egli crede doversi ritenere la lezione del MS.; perchè pochi righi appresso la voce Sicilia vi è scritta con lettere diverse. Nondimeno io inclino all'opinione contraria, riflettendo che tal variante possa provenire da una delle due sorgenti alle quali par che Ibn-Koteiba abbia attinto questo racconto. In una di quelle il nome di Sicilia potea per avventura essere scritto con la sin in luogo di sad e la Caf (XXII lettera) in luogo di Kaf (XXI lettera); nella qual forma Sikilia, facilmente si può confondere con Silsila. Io ho veduto appunto Silsila chiaramente scritto su la Sicilia in una ottima carta geografica in pergamena, delineata nel 1600 da Mohammed-ibn-Ali-es-Sciarfi, da Sfax, posseduta dalla Biblioteca imperiale di Parigi.

                Mi conferma nel mio supposto la Cronologia di Hagi-Khalfa, MS. di Parigi, ove leggesi, nell'anno 82, una impresa in Sicilia di 'Attâr-ibn-Râfi'; poichè, non trovandosi questo fatto in Ibn-el-Athîr, è verosimile che Hagi-Kalfa l'abbia tolto da alcun MS. d'Ibn-Koteiba più corretto che quello del professor Gayangos.



252  Ibn-Koteiba, fog. 69 verso, MS. del professor Gayangos, il quale, mandandomi cortesemente copia di questo passo, ha corretto la lezione, da cui risultava un errore nella sua versione inglese posta in appendice all'opera di Makkari, The history of the Mohammedan Dynasties in Spain, p. LXVII, seg.; Ibn-Scebbât, MS., p. 38 e 39, che cita, abbreviandolo in su la fine, il medesimo passo d'Ibn-Koteiba; Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani), Histoire de l'Afrique, traduzione francese, p. 14 e 57, e MS., fog. 6 recto, e 14 verso.



253  Ragiono il dinâr secondo il valore del metallo, il cui peso medio 14 lire e 50 centesimi.



254  Ibn-Koteiba; Ibn-Scebbât; Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani), ll. cc.; ed il Baiân, p. 27, citando Ibn-Katân. Ibn-Koteiba porta positivamente la data dell'86, ossia 705 dell'era volgare.



255  Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 47 verso, anno 92; Nowairi, MS. di Parigi, Ancien Fonds 702, fog. 10 verso, e traduzione francese del barone De Slane, Journal Asiatique (mai 1841), p. 575, 576.

                Secondo la versione italiana, del Carli, Hagi Khalfa nella Cronologia porrebbe nel 92 la espugnazione di Calabria per Farich figlio di Said. Riscontrato il testo, mi accorgo che si tratti della notissima impresa di Tarik in Spagna. M. Famin, Histoire des invasions des Sarrazins en Italie, p. 60, ha seguíto così fatto errore, e aggiuntovi del suo il nome di Tharec, e che «ses soldats exercèrent des cruautés inouies;» e si mette francamente a particolareggiarle.



256  Nowairi, capitolo della Sicilia, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 2, che lo chiama Mohammed-ibn-abi-Edrîs; Baiân, p. 35, secondo il quale correggo il nome e la data. Il Nowairi, capitolo dell'Affrica, presso De Slane, Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, tomo I, p. 357, in appendice; e Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 31, confondendolo con un altro governatore d'Affrica, lo chiamano Mohammed-ibn-Iezîd. Il Rampoldi, Annali Musulmani, tomo II, p. 225, anno 720, citando il Nowairi, aggiugne di capo suo che Mohammed sbarcasse a Marsala, e riportasse in Affrica «alcune centinaia» di prigioni.



257  Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 74 verso, anno 109; Baiân, p. 35; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 32; Nowairi, capitolo della Sicilia, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 2; e capitolo dell'Affrica, presso De Slane, Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, tomo I, p. 357, in appendice. Il Rampoldi, Annali Musulmani, tomo II, p. 229, anno 721, citando Nowairi, aggiugne del proprio che Biscir riportava molti idoli d'argento.



258  Si argomenta dalle pratiche d'accordo dell'813, nelle quali il governatore di Sicilia ricordava un primo trattato fatto ottantacinque anni addietro. Veggasi il Capitolo X.



259  Makrîzi, Dizionario biografico intitolato il Mokaffa, MS. di Parigi, Ancien Fonds Arabe, 675, fog. 227 recto, Vita di Obeid-Allah. Il caso di Mostanîr è narrato ancora, ma più brevemente, da Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani), Histoire de l'Afrique, traduzione francese, p. 65, e testo manoscritto, fog. 16 verso. Quest'autore, invece del nome patronimico di Ibn-Habhâb, a Mostanîr quello di Ibn-Hârith.



260  Makrizi, Mokaffa, MS. di Parigi, Ancien Fonds Arabe, 675, fog. 227 recto, Vita di Obeid-Allah.



261  Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 81 recto, e 82 recto, anni 116 e 117.



262  Confrontinsi Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 82 recto, anno 117; Ibn-Scebbât, citato da Ibn-abi-Dinâr (el Kaïrouani), Histoire de l'Afrique, p. 67 e 68, e MS., fog. 17 recto; Baiân, p. 38-40; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique, trad. di M. Des Vergers, p. 34. - Lo scrittore cristiano contemporaneo, Isidoro De Beja presso Flores, España Sagrada, tom. VIII, p. 305, dice che 'Okba (Ibn-Heggiâg), governatore di Spagna, udita la sollevazione dei Mori in Affrica, vi passò, uccise tutti i ribelli: «Sicque cuncta optime disponendo, et Trinacrios (portus) pervigilando, propriæ sedi clementer se restituitAccettando, come par si debba, la lezione di Trinacrios (chè v'ha le varianti Trimacrios, Tinacrios, Patrios), le parole di Isidoro significano che qualche nave spagnuola fosse venuta con Habîb alla impresa di Sicilia. Perchè la rivolta alla quale accenna Isidoro fu al certo qualche movimento anteriore, represso dagli Arabi d'Affrica e di Spagna, non il fatto dell'anno 122, che rese necessaria la ritirata dell'esercito di Sicilia, e che, invece della strage dei ribelli, finì con la sconfitta degli Arabi. Isidoro, del resto, non assegna data a queste fazioni, se non che vanno dopo la destinazione di 'Okba al governo di Spagna, ch'ei pone l'anno 775 dell'era spagnuola, e 18° di Leone Isaurico, cioè il 733 dell'era volgare, ma che Ibn-Khaldûn riferisce al 117 (735), e il cronista seguíto da Conde, Dominacion de los Arabes en España, parte I, cap. 26, all'anno appresso.



263  Confrontisi Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 118 recto, anno 135, e fog. 47 verso, nel capitolo della Storia di Sardegna, sotto l'anno 92; Baiân, p. 49 e 53; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 44; Nowairi presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 2, 3.



264  Veggansi le autorità citate da Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXIII, § 22.



265  Baiân, p. 48. Quivi si dice che corressero in Affrica due specie di moria che chiamansi in arabico webâ e ' un. La seconda disegna particolarmente la peste. La prima è presa d'ordinario nello stesso significato, ma si estende alle malattie epidemiche in generale. Veggasi una nota di M. Reinaud nel Recueil des historiens orientaux, tomo I, p. 133.



266  Teophanes, Cronographia, tomo I, p. 651; e le altre autorità citate dal Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXIV, § 13.



267  Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo IV, anno 130, dice che infieriva la peste a Bassora; Ibn-el-Giuzi (Jauzi, secondo l'ortografia inglese) citato da De Slane, Ibn Khallikan's Biographical Dictionary, tomo II, p. 551, fa arrivare la mortalità a 70,000 persone in un , che si deve intendere forse di Bassora stessa.



268  Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXIV, § 13.



269  Bollandisti, Acta Sanctorum, maggio, tomo II, p. 109, seg., 725, seg., testo greco e versione della Vita di San Giovanni Damasceno scritta da un Giovanni patriarca di Gerusalemme; e Ibidem, p. 731, seg., altro squarcio di agiografia attribuito a un Costantino Logoteta.



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