Michele Amari
Storia dei Musulmani di Sicilia

LIBRO PRIMO.

CAPITOLO X.

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CAPITOLO X.

 

Nell'ultimo secolo della dominazione bizantina in Sicilia, furono notevoli le pratiche diplomatiche dei governatori dell'isola coi principi aglabiti. S'era parlato di tregua tra la Sicilia e l'Affrica fin dal cominciamento della eresia iconoclastica; quando Leone Isaurico volea le mani libere a reprimere i popoli dell'isola, e operare da quella su la terraferma. Stipulato un patto, com'e' pare, il settecentoventotto; i Musulmani non tardarono a infrangerlo368 per usare le difficoltà nelle quali si travagliava il governo bizantino; tanto che pensarono di soggiogare la Sicilia, come s'è detto. I forti armamenti poi dell'isola e le divisioni dei Musulmani d'Affrica, valsero più che i trattati a mantenere la pace; finchè, surto Ibrahim-ibn-Aghlab con quei suoi intendimenti di ordine pubblico, tornò al partito degli accordi scritti, pei quali meglio si favoriva il commercio, e con quello l'azienda dello stato, assicurando le persone dei mercatanti che d'Affrica andassero a soggiornare in Sicilia o al contrario. Pertanto, dell'ottocentocinque, Ibrahim fermava tregua per dieci anni con Costantino patrizio di Sicilia. Ma anco questa si mantenne; perocchè, succeduti varii movimenti contro Ibrahim e in particolare a Tunis e a Tripoli, e sendo soggetta l'Affrica occidentale alla dinastia degli Edrisiti, independente dai califi e dai governatori di casa d'Aghlab, e però non legata dai patti internazionali loro369, avvenne che dalla costiera uscissero navi musulmane addosso ai Cristiani delle isole. Ne mandava anco la Spagna, che obbediva ad altra dinastia. Così la Sardegna e la Corsica furono assalite or dagli Affricani or dalli Spagnuoli (806-821); ancorchè i Musulmani sovente facessero mala prova, non potendo congiugnere le armi loro per la nimistà ch'era tra Omeîadi, Edrisiti e Aghlabiti, e dovendo combattere contro povera e fiera gente, e contro le forze navali italiane, che a quando a quando vi mandava Carlomagno370. Così anco furono infestati, com'e'pare, dai sudditi degli Edrisiti, i territorii che ubbidivano al patrizio di Sicilia.

Ma succeduto a Ibrahim il figliuolo Abu-'l-Abbâs, inaugurò la esaltazione con uno strepitoso armamento navale; gli appresti del quale non poteano rimanere occulti ai mercatanti cristiani d'Affrica, che solean dare avvisi in Sicilia. Dondechè, temendo per l'isola, Michele Primo imperatore spacciava da parecchi spatarii ed un patrizio; il quale chiese invano rinforzi di navi ad Antimo duca di Napoli, ma n'ebbe da Amalfi e da Gaeta; talchè, con le navi di Sicilia, raccozzò un'armata da poter tenere in rispetto i Musulmani371. Nel medesimo tempo, Carlomagno inviava Bernardo, figliuolo del figliuol suo Pipino, e un cugin suo per nome Walla, a capitanare l'esercito nel reame d'Italia, che si credea minacciato dall'armamento affricano e alsì dalli Spagnuoli. E veramente costoro riassaltavano (812-813) la Corsica; sconfitti al ritorno presso Majorca dal conte d'Ampurias, rifaceano l'armata; sbarcavano, dicono gli annali cristiani372, a Nizza, indi a Civitavecchia. Intanto l'armata aghlabita, che sommava a cento legni o barche, navigando alla volta di Sardegna, nel giugno ottocento tredici era stata pressochè distrutta da una fortuna di mare, alla quale non furono abili a reggere que' piccioli scafi, mal costrutti, mal governati e sopraccarichi di cavalli. E perchè gli uomini si studiano a scusare la incapacità loro con gli effetti di forze superiori, narravano i campati al naufragio, e pochi mesi appresso il ripeteano in Sicilia i legati musulmani, che una voragine apertasi in mare avesse tranghiottito l'armata. Confermavan cotesto annunzio lettere d'un cristiano d'Affrica al patrizio di Sicilia; aggiugnendo essere accaduto appunto il naufragio, quando sfolgorò in cielo una meteora, che dalle lor parole sembra essere stata osservata in varii punti del Mediterraneo373.

Non ostante il raccontato disastro, i Musulmani infestaron tutta la state le nostre isole minori. Approdarono a Lampedusa con tredici legni; oppressero sette legni sottili mandativi dal patrizio di Sicilia ad esplorare, e uccisero le ciurme; se non che, venuto il grosso dell'armata bizantina, furono a lor volta sopraffatti i Musulmani, e passati a fil di spada. Di mezz'agosto poi, con quaranta legni saccheggiavano Ponza; indi Ischia per tre ; e si ritraeano con grossa preda di prodotti agrarii, frati e altri prigioni, uccidendo i proprii cavalli374 per dar luogo su le barche al bottino. Forse fu questa l'armatetta che si spinse infino a Civitavecchia; e forse erano Spagnuoli ovvero gente di Telemsen, sudditi degli Edrisiti; perocchè Abu-'l-Abbas-ibn-Aghlab, mandava tantosto ambasciatori a Gregorio patrizio di Sicilia a confermare la tregua; dal ragguaglio di tal missione sembra che gli Aghlabiti avessero a discolparsi delle recenti scorrerie. Sappiamo all'incontro che i legati, scusandosi degli atti ostili commessi sopra la Sicilia nello spazio di dieci anni, allegavano vicende interiori le quali convengono solamente alla dinastia edrisita375. Aggiugneano non volersi rendere mallevadori delli Spagnuoli, i quali non ubbidiano a loro; ond'essi lasciavan libero a chiunque di combatterli, e volentieri anco avrebbero aiutato a scacciarli dalle terre cristiane. Gli ambasciatori stessi, mentre veniano in Sicilia sopra navi veneziane, imbattutisi in alquanti legni spagnuoli, aveano stigato i Veneziani ad arderli; e vantavansi di avervi messo le mani e' medesimi376. Certo gli è dunque che gli Omeîadi di Spagna non entrarono nel patto col patrizio di Sicilia. Pare all'incontro che fosservi inclusi gli Edrisiti; e che ambasciatori loro fossero venuti insieme con quei di casa d'Aghlab.

Il patto portava tregua per dieci anni, scambio dei prigioni, e sicurtà ai mercatanti musulmani che potessero andare d'Affrica in Sicilia e soggiornarvi per loro negozii; e volendo tornarsi a casa, non fosse lecito di ritenerli. La quale sicurtà fu senza dubbio reciproca a pro dei Siciliani che mercatavano in Affrica. Il patrizio rese immantinenti i prigioni musulmani; mandò un segretario Teopisto a ripigliare i cristiani, e procacciare la ratificazione del trattato: il quale in fatti fu promulgato solennemente nella Dieta dei notabili a Kairewân, come afferma uno scrittore arabo testimone oculare di quell'adunanza, dal quale sappiamo il capitolo commerciale testè ricordato377. Gli altri particolari delle pratiche e sì delle scorrerie, si ritraggono da una epistola di papa Leone Terzo a Carlomagno, data l'undici novembre dell'ottocentotredici; importantissimo documento per più rispetti. Cotesto ragguaglio tuttavia mostra che il nunzio romano in Sicilia ebbe a superare, non solo la diffidenza che spirava al patrizio ogni uom del papa, ma alsì la difficoltà della interpretazione per due lingue diverse, dall'arabo, cioè, degli ambasciatori musulmani nel greco che si parlava in Sicilia, e dal greco nel tristo latino che il papa scriveva a Carlomagno.

Il nunzio viaggiando da Siracusa a Roma, all'entrar di novembre seppe che sette navi di Mori, credo pirati o gente di Spagna, avessero testè disertato una picciola terra presso Reggio378. Par che la infestagione delle Calabrie fosse cominciata fin dalla state di quell'anno o rinnovata nei seguenti, poichè ci si narra che San Fantino da Siracusa, taumaturgo del quarto secolo, vivuto da solitario in Calabria, apparve un , ventiquattro luglio, tra i turbini e le folgori su la spiaggia di Seminara per affondare una nave musulmana venuta a corseggiare in quelle parti. E tal miracolo, di cui si dicono testimonii i Musulmani che camparono dal naufragio, va riferito ai tempi di Leone l'Armeno (813-820), poichè un buon vescovo calabrese, autore della leggenda, aggiugne che sendo stato poscia mandato a Costantinopoli dal prefetto di Sicilia per negozii appartenenti alla provincia, l'anno terzo di Leone, San Fantino liberollo prima da una tempesta nell'Adriatico, e poi dalla collera dell'eretico imperatore379.

In fine la Sicilia ebbe a soffrire una incursione, della quale sappiam solo che seguì nel dugentoquattro dell'egira (27 giugno 819, a' 15 giugno 820); che capitanò la impresa Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Aghlab, cugin germano del principe aghlabita Ziadet-Allah; e che i Musulmani, fatti moltissimi prigioni nell'isola, se ne tornarono in Affrica380. Pare indi rappresaglia, o sfogo di rabbia religiosa sotto specie di rappresaglia; poichè s'è visto che Ziadet-Allah, nei principii del regno diè favore alla fazione dei giuristi, che è a dire, al fanatismo musulmano. Del rimanente, chi primo violasse la tregua noi l'ignoriamo, appunto il sapean essi, non essendosi mai osservati strettamente i patti tra i due governi d'Affrica e di Sicilia, dispotici entrambi, avari e disordinati; e tra le due nazioni, che s'abborrivano per amor di Dio, ma il commercio le tirava ad usare insieme. Questo pure è certo, che tali atti d'ostilità non arrivarono al segno di tentarsi il conquisto della Sicilia innanzi l'ottocentoventisette, com'altri ha scritto sopra vaghe tradizioni.

Dico di quelle due ripetute fin qui negli annali di Sicilia, le quali vanno cancellate, non ostante la casuale coincidenza della data con la impresa di Mohammed-ibn-Abd-Allah; perchè mancano di tutta autorità, e le rende impossibili d'altronde la spaventevole guerra civile che arse in Affrica dall'ottocentoventidue all'ottocentoventisei. Vien la prima tradizione da Erchemperto, lombardo, vivuto alla fine del nono secolo; il quale assai brevemente disse: usciti «gli Agareni di Babilonia e d'Affrica» e abitata da loro l'insigne città di Palermo, e soggiogata quasi tutta l'isola; nel qual tempo, aggiugne, venuto a morte Lodovico imperatore, gli succedè Lotario381. In coteste parole, chiunque le legga ai nostri , vedrà manifestamente le vicende del conquisto di Sicilia principiato l'ottocentoventisette, e s'accorgerà che il cenno del cronista corra fino all'ottocentoquaranta, quando trapassò Lodovico. Ma nel duodecimo secolo, stagione di crociate e di leggende, trattandosi assai grossolanamente la storia, Leone d'Ostia tolse di peso quel capitoletto da Erchemperto, e v'aggiunse ad arbitrio la data dell'ottocentoventi, o l'aggiunsero per lui i copisti382. Poi, dimenticato Erchemperto e sostituitogli Leone, l'errore è passato di compilazione in compilazione infino a quelle della nostra età383, e successivamente vi si è aggiunto che i Musulmani se ne andassero via, e tornassero dopo sette anni; poichè le tradizioni bizantina e musulmana li portavano sbarcati in Sicilia l'ottocentoventisette.

l'altro racconto il Fazzello; il quale accozzando quei brani che potea trovare, buoni o tristi, delle tradizioni del tempo musulmano, scrisse che Abramo Halbi (così guastavansi i nomi e la cronologia, facendo regnare Ibrahim-ibn-Aghlab nell'ottocentoventisette), ai preghi d'Eufemio, mandava in Sicilia quarantamila Saraceni, capitanati da un Halcamo. Costui, continua il Fazzello, sbarcato a Mazara, diè alle fiamme le proprie navi, occupò Selinunte, cui i Saraceni in lor favella chiamarono Biled-el-Bargoth, ossia "Terra delle pulci," e presi i cittadini, per domare a un tratto la Sicilia con esempio atroce, li fe' cuocere in caldaie di rame. Però, le altre città immantinenti gli si arresero; ed ei volendo apparecchiarsi ad ogni evento, edificò un castello che da lui addimandossi Alcamo. Quivi in fatti i Siciliani, ripreso animo, corsero ad assediarlo: ma Halcamo valorosamente resistè; e al fine venne a liberarlo e compiere il conquisto della Sicilia, con novello sforzo di gente, Ased-Benforat. Il Fazzello cita per cotesti fatti gli annali maomettani e Leone Affricano, ma non spiega altrimenti chi abbia scritto, chi tradotto, e chi pubblicato quegli annali384.

Da Leone in vero egli tolse la supposta impresa di 'Alkama.] Leone, com'è noto, fiorì nei principii del decimosesto secolo. Nacque musulmano a Granata; rifuggitosi a Fez dopo il conquisto di Ferdinando il Cattolico, studiò e viaggiò molto nei paesi musulmani, finchè preso (1517) da corsari all'isola delle Gerbe, fu recato in dono, come avrebbero fatto d'una giraffa, a papa Leone Decimo; il quale, colto e magnifico com'egli era, l'onorò, lo stipendiò, lo battezzò, ponendogli i proprii suoi nomi di Giovanni e Leone, e gli fece apparare la nostra lingua e il latino. L'erudito di Granata voltò allora ed ampliò dall'arabico in italiano, il manco male ch'ei poteva, i suoi viaggi in Affrica ed Egitto, e scrisse in latino notizie biografiche di parecchi medici e filosofi musulmani; opere pregevoli, sopratutto in que' tempi: se non che l'autore, non avendo seco i manoscritti che gli occorreano, dovea affidarsi alla memoria o a note di taccuino; e la memoria delle cose viste con gli occhi, in lui come in ogni altro uomo, era più tenace assai che quella delle cose lette nei libri. Indi è che troviamo Leoneverace e preciso nelle descrizioni geografiche, e sì difettivo nelle notizie storiche385 e peggio in fatto di cronologia: oltrechè, i dettati suoi furono raccolti e pubblicati quando, venutagli a noia la città eterna e il cristianesimo, ei se n'era tornato tra i Musulmani, e non s'era inteso più parlare di lui in Europa. Probabile è che Leone, mescolando ricordanze nette ed idee dubbie e conghietture, com'egli a Roma o anco in Barbaria avea inteso il nome di Alcamo, antica città saracena di Sicilia, riconobbene di leggieri la origine da un nome proprio usato dagli Arabi antichi; e supponendo che il fondatore fosse uomo di nota vivuto nei primi tempi dei conquisto, lo accoppiò bene o male con Ased, il solo nome che gli ricorresse certo nella memoria, quand'ei pensava ai pochi righi che per avventura avea letto intorno il conquisto di Sicilia. A sincerarci ch'ei conoscesse poco assai dei fatti di Sicilia, basterà percorrere il paragrafo in cui ne tratta per incidenza, dicendo di Kairewân e degli Aghlabiti386, dov'ei porta come contemporanei il conquisto di Sicilia e la fondazione di Rakkâda in Affrica che seguì mezzo secolo appresso (877). Con simile anacronismo ei confuse il conte Ruggiero col re del medesimo nome, e il conquisto dell'isola sopra i Musulmani col tempo di prosperità in cui fu compilata a Palermo la geografia di Edrisi387.

Dove poi il Fazzello leggesse lo sbarco a Selinunte, l'arsione delle navi e lo strano supplizio dei Selinuntini, invano l'ho ricercato, saprei appormivi; poichè queste favole grossiere non si leggono appo Leone, e gli annali musulmani che il Fazzello cita come seconda autorità mi sembrano zibaldone inedito, o forse non li vide mai egli stesso, li allegò che su i detti altrui. E ben quella appellazione di Biled-el-Bargoth mi puzza d'impostura di qualche giudeo arabizzante, di que' che nel decimoquinto secolo fecer girare il cervello agli archeologi di Palermo, spacciando per iscrizioni caldaiche scolpite in pietra, poco appresso il diluvio universale, i versetti del Corano e nomi proprii che si leggeano su certe torri nella capitale della Sicilia. Perchè Beled-el-Borghût significa, sì, in arabico, Terra delle pulci; ma questo sconcio nome era moderno; era corruzione di Polluce, come or chiamano i dotti, una torre presso le rovine di Selinunte, o piuttosto di Belgia, voce arabica, o di Belich, nome di un picciol fiume tributario dell'Eufrate388: dall'una o dall'altro dei quali gli Arabi chiamarono Belgia un castello or distrutto, e un fiumicello che scorre presso, al quale è rimaso il nome di Belici. In ogni modo, il villaggio che rimase almeno fino agli ultimi del duodecimo secolo nel sito di Selinunte, avea nome, come leggiamo in Edrisi, Rahl-el-Asnâm, il borgo cioè degli Idoli, che non ve n'ha penuria tra le rovine di quei tempii colossali ben chiamate i Pilieri dei Giganti. Dond'ei mi pare evidente che l'impostore del decimoquinto o decimosesto secolo abbia tradotto in arabico il nome volgare che sapea di quel sito; e aggiuntevi le fiamme del navilio musulmano, e le caldaie di rame da bollire i Selinuntini, abbia propinato la leggenda al Fazzello; il quale se la bevve, come quelle dei giganti primi abitatori della Sicilia, delle iscrizioni caldaiche di Palermo, e non poche altre, sacre e profane. era colpa di sì diligente e nobile scrittore se, quand'ei visse, non si conoscea la paleontologia, l'anatomia comparata, sì che le ossa fossili d'elefanti e ippopotami pareano reliquie di Polifemo e di Nembrotte; se pochi o niuno in Europa distingueano i caratteri cufici; s'erano sepolti que' materiali storici in greco e in arabico, or sì accessibili a chiunque; e se la critica della storia non potea germogliare in Sicilia, sotto il giogo spagnuolo, tra i roghi del Santo Officio!

 

 

 





368  Theophanes, Chronographia, p. 719, 720. Per esattezza di cronologia conviene notare che l'esilio dei cortigiani seguì il 790, e l'accecamento di Costantino il 797.



369  Ibidem, p. 727. Teofane spiega il modo: cioè delinear le lettere con punture e versarvi sopra dell'inchiostro. Poco mancò che i carnefici non inventassero la stampa!



370  Nella maggior chiesa di Mola sopra Taormina si conserva questa iscrizione, tolta evidentemente da qualche antica fortezza: ΕΚΤΙΣΘΗ ΤΟΙΤΟ ΤΟ ΚΑΣΤΡΟΝ ΕΠΙ ΚΟΝΣΤΑΝΤΙΝΟΥ ΠΑΤΡΙΚΓΟΥ ΣΙΚΕΛΙΑΣ. Torremuzza (Gabriele L. Castelli), Siciliæ veterum Inscriptionum, p. 65.



371  Tra i ragguagli dell'ambasceria affricana in Sicilia dell'813, troviamo che il patrizio rimproverava ai legati avere il governo di Sicilia pattuito con quel d'Affrica infino da ottantacinque anni, e non si essere mai osservato l'accordo. Indi il primo trattato torna al 728. Cotesti ragguagli leggonsi nella seconda delle tre epistole di papa Leone Terzo a Carlomagno, date il 7 settembre, 11 e 25 novembre 813, pubblicate dal Labbe, Sacrosancta Concilia, tom. VII, p. 1114 a 1117; e nel Codex Carolinus del Cenni, tom. II, ep. VIII, IX, X, di Leone; e le due prime anche dal Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, no. CCLXXVII, CCLXXVIII. La indizione che vi si cita, mostra che il Labbe andò errato a riferire l'epistola dell'11 novembre all'anno 812. Veggansi anche gli squarci di questi documenti presso il Pagi, ad Baronium, anno 813, §i 21, 22, 23.



372  Questo mi sembra il miglior modo di spiegar le parole attribuite agli ambasciatori musulmani nella citata epistola di Leone Terzo dell'11 novembre 813. Scusavansi delle infrazioni loro apposte dal patrizio di Sicilia, allegando che morto il padre dell'Amiramum (principe dei credenti) e rimaso costui bambino, era ita sossopra ogni cosa: liberatisi i servi; gli uomini liberi agognanti al poter supremo; tutti scioltisi a mal fare, come se non avessero principe sopra di . Ma in oggi, fatto adulto l'Amiramum, soggiugneano gli ambasciatori, ha ripigliato l'autorità, e farà osservare i trattati. Or non adattandosi cotesti particolari ai califi abbassidi di quel tempo, che erano signori degli Aghlabiti, agli Aghlabiti stessi, è forza supporre la relazione del papa, come pur la dovea essere, mutila e inesatta, e conviene indovinar ciò che vi manchi. A creder mio, vi manca che i legati venivano dai due stati, aghlabita e edrisita, e che quest'ultimo avea commesso le ostilità. Parmi infatti che per le accennate parole degli ambasciatori non si alluda alle guerre civili di Mamûn col fratello, come ha pensato M. Reinaud (Invasions des Sarrazins en France, p. 123, 124), ma piuttosto alle vicende della dinastia degli Edrisiti. Il fondator di essa morendo non lasciò figliuoli; se non che una sua donna partoriva due mesi appresso (793) un bambino, per nome anche Edrîs, al quale i Berberi si accordarono di ubbidire; e fu salutato imam, ossia pontefice e principe, all'età di undici anni. Al tempo dell'ambasceria ne avea venti; avea fondato la città di Fez, e cominciato a rassodare e allargare il dominio. A questo Edrîs convengono dunque i particolari anzidetti. A ciò si aggiunga che Ibrahim-ibn-Aghlab dopo aver tentato, e forse non da senno, di spegnere questa dinastia rivale dell'abbassida, avea fatto con essa un tacito accordo, che durava ancora dell'813.



373  Veggansi i cronisti citati da M. Reinaud, Invasions des Sarrazins en France, p. 121 e 122, e da Wenrich, Commentarium, lib. I, cap. III, §i 46, 47. La principale autorità, fonte delle altre, è quella d'Einhardo, e degli Annales Laurissenses, che si veggano meglio in Pertz, Scriptores, tom. I, dall'anno 806 all'812.

                Ibn-el-Athîr, MS. A, tom. I, fog. 140, sotto l'anno 206 (5 giugno 821 a 25 maggio 822), nota una scorreria del Musulmani d'Affrica in Sardegna, ove fecero preda, e talvolta vinsero, e talvolta furono rotti, ma alfine se ne andarono.



374  Epistola di Leone Terzo, del 7 settembre, citata a p. 224, in nota.



375  Einhardus, presso Pertz, Scriptores etc., tom. I, p. 199. Questo cronista, copiato dai susseguenti, riferisce all'812 i raccontati avvenimenti, non esclusa la distruzione «quasi totale» dell'armata che assalì la Sardegna. Ma l'epistola di Leone Terzo dell'11 novembre, citata a p. 224, in nota, porta positivamente il naufragio nel giugno della 6a indizione, che fu dell'813. D'altronde si può dubitare se gli assalitori di Nizza fossero stati gli stessi di Civitavecchia, e gli uni o gli altri Spagnuoli, ovvero dell'Affrica occidentale.



376  Nella citata epistola di papa Leone dell'11 novembre, dopo essersi fatto menzione della lettera del cristiano d'Affrica, si aggiugne: Et hoc factum est mense junio, quando illud signum igneum, tamquam lampadam in cœlo multi viderunt. Non si ritrae dove si trovassero quei multi, e se tutti in una stessa regione.



377  Epistola di Leone Terzo data il 7 settembre, citata di sopra. In questa gli assalitori son chiamati sempre Mauri. Nella epistola seguente si sempre il nome di Saraceni ai Musulmani dello stato aghlabita.



378  Veggasi la nota 1, p. 225.



379  Secondo la epistola di Leone Terzo, gli ambasciatori erano venuti in navigio Veneticorum, et sic veniendo combusserunt igne navigia quæ de Spania veniebant.



380  Veggasi il presente libro, cap. VI, p. 148-149. Il narratore è un Soleimân-ibn-Amrân, e lo squarcio della narrazione si legge nel Riadh-en-nofûs, MS., fog. 28 recto. La reciproca sicurtà dei mercatanti siciliani in Affrica si suppone dal fatto che un di loro avea scritto al patrizio (si vegga sopra a p. 228). Non fa specie che Soleiman taccia il patto della reciprocità, sendo stato uso costante di tutte le tregue tra Musulmani e Cristiani, che ciascuna delle due parti promulgasse solo i patti favorevoli ai proprii sudditi e tacesse gli obblighi contratti verso i nemici.



381  Epistola dell'11 novembre 813, citata a p. 224, in nota.



382  Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tom. I, p. 160, seg., da un MS. greco del monastero del Salvatore di Messina attribuito a Pietro vescovo di Tauriano che visse sotto Leone eretico, e andò a lui, tremando di paura, il terzo anno del suo regno. Dei tre imperatori bizantini ai quali convengono tal nome e tal ingiuria, il Gaetani preferisce, come più antico, Leone Isaurico, senza badare a ciò che questi nel terzo anno del suo regno non si era per anco chiarito contro le immagini. Perciò mi par che si tratti piuttosto dell'Armeno. Il buon vescovo di Tauriano dice aver visto il naufragio della nave musulmana, e narra dopo di quello la sua missione a Costantinopoli. Alcuni versi di San Giuseppe Innografo, citati dal Gaetani, dicono anche del miracolo di San Fantino contro i Musulmani.



383  Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 35 recto. L'autore, non contento di notare l'anno della egira, aggiugne che questa scorreria fu fatta circa otto anni avanti il conquisto di Ased-ibn-Forât.



384  Erchempertus, cap. XI, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tom. II, parte I, p. 240.



385  Leo Marsicanus, lib. I, cap. XXI, presso il Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo IV, p. 296, e presso Pertz, Scriptores, tomo VII, p. 596. Nella edizione del Pertz si nota l'errore di cronologia, e che appartenga a Leone, non ad Erchemperto. Aggiugnerei che Leone nel cap. XX porta alcuni fatti dell'827, e che però è possibile che i copisti trascrivendo la data in numeri romani abbiano lasciato indietro la cifra delle unità.



386  Il Martorana par che abbia dubitato del fatto, poichè nol porta espressamente nel testo, cap. II, tom. I, p. 30; ma sì nella nota 28, nella quale cita Leone d'Ostia e il Curopalata (Giovanni Scylitzes). Il Wenrich confrontò e corresse coteste citazioni. In fatti ei toglie via quella di Scylitzes, che non ha che fare qui, e aggiugne in primo luogo l'attestato di Erchemperto. Ma, trattenendosi a mezza strada, l'erudito tedesco adatta al racconto d'Erchemperto la falsa cronologia di Leone, e così cade anche egli nell'errore di raddoppiare il fatto. Lib. I, cap. IV, § 51.



387  Fazzello, Deca II, lib. VI, cap. I. Questa è la giusta ortografia al modo nostro di trascrivere l'alfabeto arabico.



388  M. Reinaud ha notato ciò nella versione francese della Geografia d'Abulfeda, tom. II, pag. 179. Aggiungo che tra gli strafalcioni di Leone ve n'ha uno, il quale prova non solo che scrivesse di memoria, ma ancora che non avesse buona memoria. Ed è che un califo fatimita d'Egitto abbia mandato Giawher a conquistare la Barbaria; e che, ribellatosi il governatore di questa provincia, il califo El-Kaim abbia scatenato sopra quella gli Arabi d'Egitto. Sarebbe lo stesso a dire che Giustiniano da Roma mandò Belisario ad occupare Costantinopoli; e che Roma fu saccheggiata dalle genti del Bastardo di Borbone per comando di Filippo il Bello.



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