Michele Amari
Storia dei Musulmani di Sicilia

LIBRO SECONDO.

CAPITOLO I.

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LIBRO SECONDO.

 

 

 

CAPITOLO I.

 

Fu aperta la Sicilia ai Musulmani da una rivolta militare, della quale si narra variamente l'origine389.

Mettendo a rassegna i cronisti, e principiando dagli italiani, il più antico è Giovanni diacono di Napoli, che visse nella seconda metà del nono secolo; quando passava tanta dimestichezza tra la colonia musulmana di Sicilia e la repubblica di Napoli. Costui compilò la cronica dei vescovi napoletani, cinquant'anni appresso il grande avvenimento che avea spiccato la Sicilia dall'Impero: donde, se i critici volentieri gli accordan fede nei fatti de' tempi suoi, gliene dobbiamo anche in questo390. Raccontata la congiura di palagio che tolse al supplizio Michele il Balbo e lo promosse al trono (26 dicembre 820), il diacono di Napoli scrive come, immediatamente dopo la liberazione di Michele, i Siracusani, suscitati a ribellione da un Euthimio, uccidessero Gregora lor patrizio. Indi lo imperatore mandava possente esercito che ruppe i Siracusani. Euthimio, rifuggitosi in Affrica con la moglie e i figliuoli, tornò in Sicilia con un'armata di Saraceni condotta da Arcario391 lor duce (827); la quale corse l'isola, assediò Siracusa, sforzolla a tributo, e alfine (831) s'insignorì della provincia di Palermo. Dopo alcuni particolari di quest'ultima fazione, ripigliando il filo degli eventi che succedeano a Costantinopoli e nella terraferma d'Italia, Giovanni fa menzione della guerra civile di Tommaso di Cappadocia (821-824); riparla dei Musulmani di Sicilia che quando cominciarono a intromettersi nelle brighe della Penisola. Da quanto ho detto, e dalle date certe che ho aggiunto tra parentesi, ognun vede che il cronista napoletano abbia collocato que' casi di Sicilia, a mo' d'episodio, nell'anno in cui principiarono, e che questo, secondo lui, torni all'ottocentoventuno392.

Il secondo scrittore nostrale che faccia cenno dell'evento, visse dopo cencinquanta anni, verso la fine del decimo secolo; anonimo, ma si sa che fosse di Salerno, e forse monaco e di schiatta longobarda. Ei suol fare fascio d'ogni erba, come notava il Muratori; intreccia negli annali le novellette che correano di quel tempo, e attribuisce ai personaggi della storia discorsi e sentenze di sua fattura. Pertanto lo lasceremmo indietro, se non trovassimo nel racconto le vestigia di alcuni particolari che abbiamo da altri autori di fede, da lui non letti per certo. Senza dissimulare nel linguaggio suo l'odio contro i Bizantini, l'anonimo di Salerno ci narra come certo grechetto, dice egli, che reggea la Sicilia, ingiuriasse mortalmente Eufemio, ricchissimo siciliano. Corrotto per danari, il prefetto violentemente toglieva ad Eufemio la fidanzata Omoniza, fanciulla di rara bellezza, per darla in braccio a un rivale. Ed Eufemio, cercando vendetta, si imbarcava coi servi suoi per l'Affrica; andava a profferire la signoria della Sicilia a quel barbaro re; il quale, colmatolo di doni, lo rimandò nell'isola con un esercito. L'ingiuriato amante, così entrato per forza d'armi in Catania e fattavi molta strage, ammazzò tra gli altri il prefetto. Tanto narra l'anonimo salernitano, senza recar la data; ma lavora di rettorica a fingere le ambasce e minacce d'Eufemio393.

Quest'episodio erotico, preso al rovescio con farvi Eufemio offensore invece di offeso, è quasi la sola tradizione che ci tramandino i Bizantini su la guerra di Sicilia. Come sorgente primitiva loro si allega la storia particolare e contemporanea di un Teognosto: opera perduta in oggi394. Rimanda in fatti a Teognosto, per più ampio ragguaglio del caso di Sicilia, la principale tra le cronache bizantine che possa fare autorità per quel tempo, la Cronografia detta di Costantino Porfirogenito imperatore, scritta per suo comando e da lui messa in ordine e postillata, la quale va in principio della continuazione a Teofane395. Da questa cronica, che ha data certa della metà del secol decimo, tolsero il fatto Cedreno, autore del duodecimo, che vi mutò appena qualche frase, e Zonara che lo compendiò anche nel duodecimo secolo; per non dir nulla del Curopalata Giovanni Scylitzes, il quale, come ognun sa, trascrisse di parola in parola Cedreno senza nominarlo. Pertanto non diremo altrimenti della testimonianza di così fatti copisti. Ma vuolsi fare menzione d'un compendiatore del decimo secolo, Simone maestro (che era titolo d'officio a corte)396, il quale par abbia avuto alle mani la storia di Teognosto o altri ricordi; poichè si discosta dalla compilazione imperiale. Mentre Michele il Balbo, dice il cronista, si travagliava nella guerra civile di Tommaso di Cappadocia, gli Affricani e gli Arabi occuparono Creta, Sicilia e le Cicladi, regioni uscite «poco innanzi» dalla dominazione bizantina, pei peccati dei popoli e la iniquità dei principi397. E allora accadde che Michele, dicendo forse da senno a Ireneo maestro del palagio "Mi rallegro teco; la Sicilia s'è ribellata!" que' gli replicò: "Strana contentezza è questa, o signore;" e volto a un altro cortigiano gli sufolò all'orecchio tre versi: "Ecco il primo disastro che dovea succedere, preso lo stato dal dragone di Babilonia, balbuziente e amantissimo dell'oro398." Dopo ciò, Simone racconta il primo sbarco dei Musulmani in Creta (822?).

La compilazione imperiale, senza segnar data precisa, un sincronismo diverso al fatto di Sicilia, portandolo insieme con l'impresa di Orifa nell'Arcipelago (825?). «Tra coteste vicende, dice la compilazione, Eufemio turmarca di milizie399 in Sicilia, invaghito di una donzella che vivea nel chiostro, e che portava da lungo tempo l'abito monastico, avea cerco ancor da lungo tempo di soddisfare all'amor suo, prendendola in moglie: chè l'esempio non era lontano, potea parer cosa illecita brutta, quando poc'anzi l'avea praticato lo stesso imperatore Michele. Pertanto Eufemio, rapita la vergine dal monistero, portossela, riluttante, a casa400.» I fratelli di lei se ne richiamavano allo imperatore; e questi ingiungeva allo stratego di Sicilia che, sendo vero il misfatto, si mozzasse il naso al rapitore, secondo il rigor delle leggi401. Ma Eufemio, risaputo il pericolo, ordiva una cospirazione coi proprii soldati e con altri turmarchi compagni suoi402; e, sottrattosi allo stratego che andava per punirlo, rifuggissi appo il miramolino403 d'Affrica; promettendo che gli darebbe la Sicilia e pagherebbegli largo tributo, s'ei gli concedesse di prender nome e insegne d'imperatore, e lo aiutasse di genti. Il barbaro principe accettava il partito, e s'insignoriva dell'isola, col favore d'Eufemio non solo, ma sì degli altri che avean messo mano con lui alla ribellione. Pervenuto a salti, come ognun se n'accorge, alla irruzione dei Musulmani in Sicilia, il cronista palatino esce di briga con additare ai lettori Teognosto; si sofferma che per raccontare un altro episodio drammatico: la uccisione di Eufemio404. Parlando dello stratego di Sicilia in quel tempo, ei non ne il nome; ma più sopra, nel racconto della guerra di Creta, avea detto che Michele il Balbo affidò il governo della Sicilia a Fotino protospatario e capitano d'Oriente, per racconsolarlo della sventura incontrata in quell'altr'isola (825), ove, mandato contro i Musulmani con grosso esercito, i suoi avean toccato una rotta ed ei se n'era fuggito, come pare, senza combattere405. Questo Fotino era bisavolo di Zoe imperatrice, madre del Porfirogenito. E ciò spiega perchè la compilazione imperiale aggravi tanto Eufemio, e non faccia parola dei casi della ribellione, nei quali Fotino par sia stato infelice e codardo quanto in Creta.

Venendo alla tradizione musulmana, che ha sembianze assai più genuine, è da avvertire come noi la tenghiamo da tre scrittori: Ibn-el-Athîr, che visse tra il duodecimo e il decimoterzo secolo; Nowairi, del decimoterzo e decimoquarto; e Ibn-Khaldûn, della fine del decimoquarto stesso: dei quali ho detto abbastanza nella Introduzione. Attinsero i fatti del conquisto di Sicilia ad unica sorgente, ignota a noi; se non che possiamo conghietturare che fosse compilazione fatta in Sicilia o nell'Affrica propria nell'undecimo secolo, sopra ricordi scritti ai tempi medesimi degli eventi, come ormai portava la civiltà dei popoli musulmani. Egli è evidente che Ibn-el-Athîr e Nowairi scorciassero entrambi quella cronica, poichè danno il grosso dei fatti nel medesimo ordine, e sovente con le medesime parole; ma dei particolari chi ne presceglie uno e chi un altro, secondo il genio suo: trovandosi in maggior copia appo Ibn-el-Athîr le cose militari e politiche, ed appo Nowairi gli aneddoti. Quanto ad Ibn-Khaldûn, in questo capitolo abbrevia Ibn-el-Athîr, senz'aggiugnervi una sillaba.

La tradizione musulmana corre nel tenor seguente. L'anno dugento uno dell'egira (816-17) secondo il Nowairi, e dugento undici (826-27) secondo Ibn-el-Athîr, il re dei Rûm prepose alla Sicilia il patrizio Costantino406 soprannominato il Suda407, voce d'origine latina, grecizzata nei bassi tempi, che suona trincea; ed in Creta è nome geografico, noto, com'e' pare, nella guerra dei Musulmani. Il Trincea avendo fatto capitano dei soldati d'armata Eufemio della nazione dei Rûm, uom prode e intraprendente, caporione tra gli ottimati siciliani408, costui andò ad osteggiare la costiera d'Affrica; presevi mercatanti, vi fece bottino, e lunga pezza s'intrattenne a infestar que' mari. Poscia riseppe avere il principe commesso al patrizio dell'isola di torgli il comando e punirlo d'una colpa che gli era stata apposta: e datane contezza ai compagni suoi d'arme, li accese a ribellarsi con essolui. Donde, approdata l'armata a Siracusa, si azzuffò con le genti di Costantino, lo ruppe; una schiera, inseguitolo infino a Catania, lo prese e ammazzò; ed Eufemio fu gridato imperatore. Il quale chiamò al governo d'alcuna provincia un de' partigiani suoi, barbaro, dicesi, di nazione alemanna, forse Armeno409, per nome Palata410, cugino d'un Michele che reggea la città di Palermo; ma i due congiunti, messe insieme loro forze, disdiceano il nome d'Eufemio; movean contr'esso; e vintolo in battaglia, uccisigli mille uomini ed entrati in Siracusa, ei fu costretto a fuggirsi in Affrica con la gente che gli avanzava. Così scrivono di seconda o di terza mano i citati cronisti411. Il Riadh-en-nofûs, raccolta di biografie d'Affricani, compilata, come s'è detto nella Introduzione, verso la fine del decimo secolo o nell'undecimo al più tardi, sopra memorie scritte del nono, offre l'addentellato alla riferita tradizione, e i nomi di Eufemio e del Palata; se non che esclude il supposto delle incursioni d'Eufemio su la costiera d'Affrica, o almeno porta a credere che fossero esercitate contro i Musulmani di Spagna412.

Or i racconti che minutamente abbiamo esposto, messi al cimento dalla critica, lungi dal contraddirsi a vicenda, s'attagliano l'uno all'altro, meglio che non potrebbe aspettarsi in ricordi di originediversa e di una etàpovera di scritti istorici. E prima, il nome del protagonista della rivoluzione siciliana concorda in tutti gli autori: chè se Giovanni diacono il chiama Euthimio, questa voce facilmente si potea confondere con Eufemio nella scrittura, e più nella pronunzia413. Convengono alsì tutte le memorie su la ribellione, la sconfitta, la fuga di Eufemio in Affrica: e l'Anonimo salernitano che parrebbe men degno di fede, prova pure essergli pervenuto qualche ragguaglio preciso, narrando la uccisione dello stratego in Catania, che sappiam solo da Ibn-el-Athîr e da Ibn-Khaldûn. Delle nozze con la suora o novizia, non pare anco da dubitarsi; se non che questa va tenuta circostanza secondaria, anzi pretesto della persecuzione d'Eufemio; poichè la corte bizantina, al par di ogni altro governo dispotico e bacchettone, avea due misure di morale: l'una larga pei principi e lor fautori, e l'altra rigorosa e intollerante, adoperata quando ci entrava di mezzo il furore teologico, la invidia o la nimistà politica. Politico del tutto fu dunque il movimento d'Eufemio, come il dicono i due più antichi scrittori, italiano e bizantino, Giovanni diacono e Simone maestro. Più difficile a fissarne appunto la data. Que' due accennano all'ottocentoventuno; e s'accorda con essi l'anno dell'egira segnato dal Nowairi, e la probabilità grandissima che i capitani dell'esercito siciliano si fossero sollevati, quando Tommaso di Cappadocia chiarito ribelle in Oriente movea contro Costantinopoli; come già lo stratego Sergio turbò l'isola quand'ei seppe Leone Isaurico assediato dagli Arabi nella capitale. E che la ribellione di Sicilia fosse durata cinque o sei anni, sarebbe tanto più verosimile, quanto Michele il Balbo non ebbe mai forze da reprimerla. Nondimeno, io penso che in quel movimento si debba supporre un intervallo nel quale la Sicilia avesse riconosciuto il governo di Costantinopoli; poichè gli Arabi nel loro ragguaglioparticolareggiato e verosimile, chiamano lo stratego ucciso da Eufemio con un nome e un soprannome che ben s'adattano a Fotino, il quale fu promosso a quell'officio verso l'ottocentoventisei, come si deduce dalla cronica del Porfirogenito. E veramente nella scrittura arabica il nome di Costantino non è molto dissimile da quell'altro; e come assai più ovvio, dovea parer migliore lezione ai copisti. Al tempo stesso il soprannome di Suda sembra coniato apposta per Fotino. Infine la serie di fatti, che salta a piè pari il cronista palatino, par debba riferirsi, come già notai, all'avolo di Zoe imperatrice.

Si potrebbe argomentare da tutto ciò che il movimento siciliano avesse avuto due periodi; l'uno dalla esaltazione di Michele il Balbo alla elezione di Fotino; l'altro dalla persecuzione d'Eufemio alla sua fuga in Affrica. I quali due periodi, sì vicini tra loro, furono, com'avvien sempre, confusi in un solo dalla tradizione verbale e dai compendiatori; e in quel solo primeggiò il nome, rimase infame, d'Eufemio: e il tempo si riferì dagli uni al principio, cioè all'ottocentoventuno; dagli altri al fine, cioè all'ottocentoventisei. Dall'ottocentoventuno all'ottocentoventicinque i condottieri ch'erano arbitri della Sicilia, forse uccisero un primo patrizio Gregora o Gregorio; forse Eufemio si prevalse, al par che gli altri capitani, di quei turbamenti, ma non ne fu motore principale; forse i turbamenti non trascorsero fino all'aperta ribellione; ovvero Michele il Balbo, non potendo con un esercito, la represse con un finto perdono. Ma Fotino mandato a dar sesto alla Sicilia, sendo favorito dell'imperatore e spregiato dai soldati, prosontuoso e codardo, e volendo fare ammenda della fuga di Creta con qualche grande impresa di polizia in Sicilia, diè opera a spegnere i condottieri più baldanzosi, tra i quali primeggiava Eufemio. In luogo di ricercare il crimenlese, chè non si potea fare onestamente senza pericolo, trovò un sacrilegio chiarito o incerto; trovò i fratelli della sposa, tiranni domestici delusi, o pacifici cittadini ingiuriati da un soldato che si fea lecito ogni cosa: e per tal modo, col manto della morale e della religione, Fotino si provò a spezzar la prima verga del fascio. Se non che l'accusato era in sull'armi; gli altri condottieri s'accorsero dell'arte grossolana dello stratego, e videro il proprio pericolo in quel d'Eufemio: donde raccesero immantinenti la rivoluzione. Così mi raffiguro l'andamento dei fatti. Io pongo la sollevazione militare contro Fotino nell'anno ottocentoventisei. La sconfitta, la morte di costui, la effimera esaltazione di Eufemio, la sollevazione di due altri condottieri contro di lui e il novello combattimento di Siracusa, ond'ei fu costretto a fuggire, si debbono credere per filo e per segno come li narrano gli Arabi, e collocare nel medesimo anno ottocentoventisei. Soltanto aggiugnerei ch'Eufemio, detto da Ibn-el-Athîr capitano di soldati d'armata, e da tutti gli Arabi guerreggiante su le costiere d'Affrica, avesse dalla parte sua le milizie siciliane che montavano l'armata dell'isola; perchè, tra gli eventi di Costantinopoli e di Creta, non è da supporre che venisse in Sicilia il navilio imperiale. Altri soldati del presidio, stranieri e mercenarii, si sollevarono al certo con Eufemio; ma non andò guari che i loro capitani, massime i due cugini alemanni o armeni, non parendo loro aver guadagnato abbastanza, e corrotti forse dall'oro imperiale, si rivoltarono contro il novello signore, e gridarono il nome di Michele il Balbo. Riportarono la vittoria i traditori; e nondimeno rimase ad Eufemio non poco séguito tra i Siciliani, come lo dice espressamente la cronaca del Porfirogenito, e come si vedrà ancora dalla narrazione degli Arabi. È indi manifesto che i due elementi dai quali nacque il moto militare dell'ottocentoventisei, tosto si separarono. Le armi mercenarie, come pietra che si gitti in alto, ricaddero verso il loro centro di gravità, ch'era il dispotismo di Costantinopoli. Le milizie siciliane tentarono di spiccarsi dall'impero greco, sì come avean fatto un secolo innanti quelle dell'Italia centrale; ma oppresse da forze più ordinate, potendo trovar sostegno nello sfacelo della società civile, si gittarono per disperazione al peggior partito: chiamarono un potentato straniero; e affrettaron così la morte della nazione greco-sicola, ch'era andata decadendo e consumandosi, ormai da mille anni, dopo l'entrata di Marcello a Siracusa.

 

 

 





389  Ecco questo squarcio dell'opera geografica di Leone Africano sottoscritta di Roma, il 10 marzo 1526, ch'io copio su la edizione del Ramusio, tom, I, p. 69 verso. Detto che sotto la dinastia degli Aghlabiti Kairewân crebbe di grandezza e di popolo, Leone aggiunge che il signore del paese «fece fabbricare appresso un'altra città cui pose nome Recheda, nella quale habitava egli e i primieri della sua corte. In questo tempo fu presa Sicilia dalli suoi eserciti mandativi per mare con un capitano detto Halcama, il quale nella detta isola edificò una piccola città per fortezza et sicurtà della sua persona, chiamandola dal suo nome, la quale vi è sin oggi chiamata dai Siciliani Halcama. Dapoi quest'Halcama fu quasi assediata dalli esserciti che vennero in soccorso di Sicilia; allora il signore di Cairoan mandò un altro essercito più grande con un valente capitano chiamato Ased, il quale rinfrescò Halcama, et tutti si ridussero insieme et occuparono il resto delle terre che rimaseno.» E Leone non ne dice altro.



390  Veggasi la notizia biografica che Leone Affricano dello Esseriph Essachali, com'ei chiama Edrisi. Presso Fabricio, Bibliotheca Græca, tom. XIII, p. 278.



391  Belgia in arabico vuol dir crepuscolo sia mattutino sia vespertino. Su i nomi geografici ai quali accenno, si vegga il capo I del lib. III.



392  Questi due righi e la esposizione delle testimonianze storiche eran già scritti, quando si pubblicò, il 1845, il lavoro del Wenrich, dove si trova (lib. I, cap. IV, § 52) una frase che a prima vista pare poco diversa e un metodo d'esamina somigliante al mio, ancorchè con altri fatti e altri risultamenti. Non essendo uso a rubare gli altrui lavori, mi basta avvertire il lettore, e lascio la forma del mio scritto com'ella stava.



393  Veggasi la prefazione del Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tom. I, parte II, p. 287 a 289. La cronica pare scritta verso l'872, e l'autore allude a quella come ad opera giovanile in altri opuscoli assai meno importanti ch'ei dettò verso il 902.



394  El-Kadhi: il cadi Ased-ibn-Forât.



395  Johannes Diaconus, Chronicon etc., presso il Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tom. I, parte II, p. 313.



396  Anonymi Salernitani, Paralipomena, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tom. II, parte II, cap. XLV, p. 163, seg.; presso Pratillo, tom. II, cap. LI, p. 119 (che varia il numero dei capitoli), e meglio presso Pertz, Scriptores, tomo III, cap. LX, p. 498. Su l'autore veggansi le prefazioni del Muratori e del Pertz. Il Muratori crede che il nome di lui sia stato Arderico.



397  Le stesse croniche bizantine denotano Teognosto come autore dei canoni grammaticali: la sola opera che ci rimane di lui, Ξεογνοστο̃υ κάνονες presso Cramer, Anecdota Græca, tom. II, Oxford 1835.



398  Theophanes continuatus, p. 3, in fine del titolo. A p. 81, § 26, di Michele il Balbo, in fin della impresa di Orifa in Creta si legge: «ed ei ci lasciò la briga di liberare l'isola dagli Agareni. Rimettasi ciò nelle mani di Dio: ma anche noi dobbiamo darcene pensiero; e e notte l'animo nostro se ne travaglia.» Queste parole non poteano esser dettate che dallo imperatore.



399  Veggasi Ducange, Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, alla parola Magister, e Glossarium mediæ et infimæ græcitatis, alla voce Μαγίστερ



400 ..... λαβόντος α̉ρχὴν α̉́ρτι πρω̃τον διὰ τὰς του̃ λαου̃ άμαρτίας. κ. τ. λ.



401  Symeon Magister, nel volume Theophanes continuatus, p. 621, 622, § III, del regno di Michele il Balbo. Su l'autore veggasi Fabricius, Bibliotheca Græca, tom. VII, lib. V, cap. I, § 10.



402 Τουρμάρκης τελω̃ν. Τέλος, che ho tradotto milizia, è voce generica e vaga. Non così turmarca, che risponde, negli ordini militari d'oggi, a generale di brigata. Comandava una turma o μὲρος, composta di tre drungæ, o μοι̃ραι, ciascuna delle quali, a un di presso come i nostri reggimenti, variava da 1000 a 2000 uomini. Sopra il turmarca o merarca non era che il generale in capo o stratego: sotto venivano i drungarii o chiliarchi. Veggasi la Tattica dell'imperatore Leone, detto il Sapiente, cap. IV del testo greco, e nella versione francese del Maizeroi, p. 33. Veggasi anche Ducange, Glossarium mediæ et infimæ græcitatis, alle voci τουρμάρχης, του̃ρμα, μοι̃ραι

                Al tempo di Leone, drungario e turmarca eran titoli di capitani nelle armatette provinciali, non già nel navilio imperiale; op. cit., versione del Maizeroi, p, 146. Il Cedreno ad Eufemio il vago titolo di ̉Εξηγούμενος



403  La versione latina del padre Combefis, ristampata nella edizione del Niebuhr, non è molto esatta in questo luogo, in parecchi altri. Oso correggerla, afforzandomi dell'autorità di M. Hase, il quale, cortese quanto egli è sapiente ed erudito, si è piaciuto rivedere e postillare la versione mia.



404  In fatti si trova minacciato questo supplizio nelle Basiliche (Βασιλικω̃ν, lib. LX, titolo XXXVII, cap. LXXI, LXXIV, LXXV, e Liber Leonis et Constantini AA., tit. XXVIII, cap. X, XI, XII), non solo ai seduttori delle monache, ma sì a chi viziasse l'altrui fidanzata, o sposasse la propria comare. Indi si vede la confusione che portavano già nella morale le ubbíe religiose, e come, tra quelle e il dispotismo, si guastava la legge romana.



405 Συντουρμαρχω̃ν. Questa voce mal copiata o mal compresa nell'esemplare del Curopalata (Giovanni Scylitzes) ch'ebbe alle mani il Fazzello, gli fece scrivere che Eufemio fosse stato consigliato dalli Scythamarchi.



406  L'autore, supponendo un califo anche in Affrica, e guastando il nome di Emir-el-Mumenin, lo chiama ̉αμεραμνουνη̃ς. Ho scritto questo titolo secondo la elegante corruzione che ne fecero i nostri antichi.



407  Teophanes continuatus, lib. II, cap. XXVII, p. 81, 82.



408  Op. cit., lib. II, cap. XXII, p. 76, 77.



409  Così chiaramente nei MSS. d'Ibn-el-Athîr e d'Ibn-Khaldûn, ancorchè senza vocali brevi. Dei due MSS. di Nowairi, il più moderno (Biblioteca di Parigi, Ancien Fonds, 702 A), omettendo al solito le vocali brevi, scrive anche k s n tin; ma l'altro (Ancien Fonds, 702), autografo, ovvero copiato sopra un autografo, ha una volta f s n tin, e tre volte, lasciando la prima lettera senza punti diacritici, sì che possa leggersi f ovvero k, la fa seguire da quattro lettere - s tin, ovvero da cinque - s n tin. La lezione f s tin potrebbe benissimo supporsi copiata dal nome di Fotino; perocchè la s, che v'ha di più, si confonde spesso nei MSS. con un frego di penna orizzontale che servisse di legatura tra due altre lettere. Ve n'ha infiniti esempii nei MSS., e molti nelle iscrizioni lapidari, e in quelle ricamate su drappi o rilevate su metalli.



410  Il Ducange, Glossarium mediæ et infimæ græcitatis, spiega la voce Σοΰδα fossa sudibus munita, cioè fosso con palizzata. In Creta si addimandò Suda il luogo ove posero il primo campo i Musulmani. Da χάραξ che significa lo stesso in greco antico, prese nome un vicin promontorio. I Musulmani chiamarono il campo loro, poi divenuto capitale, Khandak, che significa la stessa cosa.



411  Quest'ultima frase è data dal solo Nowairi. M. Caussin de Perceval, padre, che il voltò in francese, e il Di Gregorio che lo ritradusse in latino, rendono quelle parole un des principaux patrices ed ex præcipuis inter patricios. Ma la voce del testo mokaddem significa precisamente "posto innanzi a tutt'altri" e indi "condottiero, capo di parte." La parola seguente dice "dei suoi patrizii" riferendosi il pronome relativo a Costantino. Pertanto mi par che si tratti certamente dei patrizii siciliani. Debbo avvertire che la costruzione grammaticale del testo lascia un po' dubbio se Eufemio fosse il caporione, ovvero uno dei caporioni.



412  Ciò dal Nowairi. Il Caussin avvertì in nota che talvolta gli scrittori arabi avessero disegnato col nome di Alemanni gli Italiani; e allegò in esempio un passo di Abulfaragi, autore del XIII secolo. Il Di Gregorio non ne volle altro per tradurre a dirittura quemdam ab Italia oriundum. Ma tale interpretazione non può accettarsi. Gli scrittori arabi chiamano ordinariamente gli Italiani Rûm, che vuol dire anche Bizantini, e talvolta ci danno il nome di Ankabard, talvolta di Franchi; confondendoci con le varie razze dei dominatori. Non parlano poi dell'Italia come parte dell'Alemagna altri scrittori che que' dei tempi di Federigo II imperatore, come appunto Abulfaragi, ovvero più moderni, come Abulfeda. Questi due, se non m'inganno, sono i soli autori arabi caduti in tale equivoco, che non si può supporre affatto in uno scrittore del X o XI secolo, come quello copiato da Nowairi. D'altronde è probabilissimo che v'abbia un errore nel MS.; sì chè vi leggerei Armeni, non Alemanni. I mercenarii di schiatta germanica non aveano cominciato per anco a venire a Costantinopoli. Per lo contrario gli Armeni erano frequentissimi nell'esercito bizantino. Infine l'ortografia che troviamo in Nowairi non sarebbe corretta se si trattasse di Alemanni; ma aggiugnendovi una r, lettera non legata nella scrittura arabica e perciò facile a sfuggire, si avrebbe il nome di Armeni.

                Lo stesso errore si trova nei MSS. di Nowairi, dov'ei dice venuto in Sicilia l'828 col patrizio Teodoto un esercito, la più parte, di Alemanni. Quivi è evidente che si debba leggere Armeni. Veggasi il cap. III del presente Libro.]



413  Questo nome, mancando di vocali brevi in tutti i MSS. che ho veduto, ha le sole lettere B lât h. Credo non debba leggersi Platâh come han fatto M. Caussin e il Di Gregorio; poichè gli Arabi non comincian mai le sillabe con due consonanti, e al certo, volendo trascrivere Plata, avrebbero messo avanti una alef, dando alla voce la forma di Iblâtah. Del rimanente mal potremmo apporci al vero nome. Forse è inesatta trascrizione del titolo di Curopalata, Palatino o simili. La mutazione della b in p va bene, mancando nell'alfabeto arabico la seconda di queste lettere.



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