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CAPITOLO IV.
In questo tempo capitò nei mari di Sicilia un'armatetta spagnuola condotta da Asbagh-ibn-Wekîl, della tribù berbera di Howâra, soprannominato Ferghalûsc487. Era gente di quella schiuma che la società musulmana di Spagna spandea ribollendo; e il caso ne faceva ladroni, eroi, martiri, conquistatori: come gli usciti di Cordova in Creta; come cento altre masnade che afflissero per un secolo e mezzo le costiere meridionali della Francia e dell'Italia di sopra, e fino i più rimoti recessi delle Alpi. Approdato Ashagh in Sicilia, e richiesto di soccorso da' Musulmani, par ne desse tanto da vettovagliare Mineo; e più ne promettea, senza far ciance, vedendo largo il campo ai guadagni. Forse giunse qualche altro aiuto d'Affrica, ove Ziadet-Allah avea spento alfine la ribellione di Tunis488. Dalla parte de' Cristiani la guerra allenò. L'armata veneziana, venuta di nuovo in Sicilia l'anno ottocento ventinove, o quel d'appresso, niente premurosa di mettersi a sbaraglio per solo amor dello imperatore di Costantinopoli, se ne tornò, così dice un cronista nazionale, senza trionfo489. Nè riportonne altrimenti il patrizio Teodoto da più d'un anno che bloccava Mineo; forse men travagliato dai nemici che dal proprio governo, dall'azienda confusa e dilapidata, dalla marea che saliva o calava a corte; tanto più che morto Michele il Balbo, d'ottobre dell'ottocento ventinove, gli era succeduto Teofilo, giovane d'animo dritto e valoroso, ma poco cervello; però capriccioso nel render giustizia, male avventurato nella guerra, crudele in casa; e spesso si gittò, come ogni altro, ad atti di perfidia, poichè il dispotismo è pendío da non potervisi trattenere il piè quando si vuole.
Sopraggiunse nella state dell'ottocento trenta il poderoso rinforzo aspettato dai Musulmani di Sicilia: trecento legni, dice un cronista490, i quali, per piccioli che fossero, dovean portare da venti a trenta migliaia d'uomini, se prendiamo per misura la espedizione di Ased. Uomini diversi di schiatta, d'indole, di proponimento: Arabi e Berberi d'Affrica mandati da Ziadet-Allah a proseguire il conquisto491: e maggior numero d'Arabi e Berberi e fors'anco antichi abitatori di Spagna, intenti solo a far correrie; capitanati da Asbagh e da altri condottieri, come il nota espressamente una cronica492; tra i quali un'altra nomina Soleiman-ibn-'Afia da Tortosa493. Gli Spagnuoli, che si doveano trovar assai male in arnese, diersi a saccheggiare, menar via prigioni che si vendean come ogni altro bottino, prender castella qua e là per taglieggiarle e lasciarle: nè mossero all'aiuto di lor fratelli di Mineo, se prima il presidio non stipulò che Asbagh avesse il supremo comando494, e se non furono forniti di cavalli495, forse dagli Affricani che teneano Mazara. Allora, occupate per via le fortezze che gli assicurassero la ritirata, Asbagh assalì Teodoto sotto Mineo; lo ruppe e uccise; e gli avanzi dello esercito bizantino corsero a chiudersi in Castrogiovanni: la quale battaglia seguì tra luglio e agosto dell'ottocento trenta496. Asbagh, diroccata e arsa l'infausta Mineo, marciò con tutto lo esercito sopra una città che il Baiân scrive Ghalûlia o Ghallûlia, e dalla somiglianza del nome e opportunità del luogo parrebbe la Calloniana dell'Itinerario d'Antonino, posta nel sito attuale di Caltanissetta, o non lungi497, in riva al Salso che taglia in due la Sicilia meridionale. Quinci i Musulmani avrebbero dominato quel che poi si chiamò val di Mazara, che si stende a ponente del fiume, ed è la regione più aperta dell'isola; avrebbero fronteggiato Castrogiovanni che s'innalza a greco di Caltanissetta a mezza giornata di cammino; e il fiume li avrebbe diviso dalla provincia che occupa l'angolo tra levante e mezzodì, montuosa e assicurata dalle armi bizantine di Siracusa. Il sito però ottimamente era eletto. Ma impadronitisi i Musulmani di Ghallûlia, si appresero malattie nell'esercito; scoppiarono in fiera pestilenza, e ne morirono Asbagh stesso e parecchi condottieri. Deliberati gli altri ad abbandonare la città, i Bizantini che n'ebbero sentore, li assalirono nella ritirata. Dopo lunghi e sanguinosi combattimenti, gli avanzi dell'esercito giunsero alfine alla marina, forse di Mazara. Dove, risarciti i legni, se ne tornarono sconsolati in Ispagna498.
Ma mentre Asbagh s'era avviato a Mineo, un altro stuolo musulmano, la più parte Affricani, mosse, com'e' pare, da Mazara, alla volta di Palermo; e principiò l'assedio lo stesso mese di giumadi secondo del dugento quindici (25 luglio a 22 agosto 830) che fu rotto Teodoto499. La occupazione di Ghallûlia assicurò gli assedianti dalle forze bizantine che potessero venire ad assalirli da Castrogiovanni, ovvero da Siracusa; e il disastro dell'esercito di Asbagh tornò loro men grave, poich'e' pare che non pochi condottieri, in vece di ritrarsi alla marina verso ponente e mezzodì andassero al campo sotto Palermo500. Città fondata dai Fenicii innanzi la venuta delle colonie greche in Sicilia; rinomata nelle guerre puniche; prosperante o meno consumata che le altre sotto la dominazione romana; forte nel sesto secolo quando espugnolla Belisario; popolata e ricca nel settimo, come ne fan fede le epistole di San Gregorio; e durava la importanza sua nella rivoluzione d'Eufemio. Ricinta da un braccio di mare e dalle lagune, la città che occupava il centro dell'attuale, tenne il fermo per un anno contro i Musulmani; poco o punto aiutandola l'imperatore Teofilo. Però i cittadini si consumarono in una memorabilissima difesa: che da settantamila che ve n'era al principio dell'assedio, verso la fine ne avanzarono manco di tremila, e gli altri tutti perirono, se è da stare alla testimonianza d'Ibn-el-Athîr. Che che ne sia delle cifre, tal tradizione prova la grande mortalità, aumentata al certo dalla pestilenza che da quattro anni serpeggiava in Sicilia. Alfine, correndo il mese di regeb del dugento sedici (13 agosto a 11 settembre 831), il governatore s'arrese, salve le persone e la roba501: egli, il vescovo Luca, e que' pochi che poteano abbandonare il paese502 senza morir di fame, se n'andarono via per mare: la popolazione del territorio fu assoggettata alla schiavitù, scrivea Giovanni Diacono di Napoli, forse alla condizione di dsimmi, o vogliam dire vassalli, senza lasciarsi ad alcuno il possesso di beni stabili503. Nè è a dire se nel corso dell'assedio e dopo, quelle mescolate masnade di Musulmani commettessero guasti, violenze, eccidii in tutto il paese. Però la storia può accettare dalle leggende religiose il martirio del monaco San Filareto da Palermo e di parecchi altri, i quali, volendo rifuggirsi in Calabria quando il nemico occupò il territorio o la città, furon presi; messi all'alternativa di rinnegare o morire; e virtuosamente elessero la morte504. Su questo fatto alcuni imaginaron lor novelle, e quel ch'è peggio fabbricaron lettere dei monaci Benedettini di Palermo dispersi dagli Infedeli505. Fondato poi nel decimoquarto secolo, in un sito delizioso tra i monti che sovrastano alla città, il monastero benedettino di San Martino, il novello priore spacciò e scrisse essere stato quel suo chiostro edificato da San Gregorio, illustrato dalla pietà di antichi monaci e suore, e abbattuto da' perfidi Saraceni l'anno ottocento ventisette, quand'ei li credeva entrati in Palermo506.
Veggasi Tychsen Additamentum I introductionis in rem nummariam Muhammedanorum, § 1, p. 40, e 41. Nell'esemplare di Parigi il nome el-Gewâri è preceduto dalla voce bnu (figliuolo), non da abi come lesse il Tychsen. La formula in giro della faccia dritta è cavata dalla sura IX, verso 33, del Corano.
Il signor Mortillaro, Opere, tomo III, p. 343, non avendo sotto gli occhi che il disegno pubblicato dal Tychsen, credè questo dirhem falsato e «avanzo della impostura di Vella.» Ma basta guardare il bel conio dell'esemplare di Parigi per dileguare ogni dubbio di falsificazione: e basta notare la esattezza delle formule e la correzione dell'ortografia e della grammatica per sincerarsi che l'ignorante Vella non ci ebbe che fare.
Nel Museo di Parigi non v'ha ricordi scritti nè tradizione, da poter affermare o negare che questo esemplare fosse il medesimo di Tychsen.
Ho fissato la data ritenendo la morte d'Ibn-Gewâri nei primi del 214, come risulta comparando la leggenda del dirhem e lo attestato di Nowairi, e pigliando dal Baiân, il quale è molto preciso, il tempo dell'arrivo dell'armata spagnuola in Sicilia, la quale liberò i Musulmani dall'imminente sterminio. Le vicende della guerra, raccontate da Ibn-el-Athîr con poco divario nella cronologia, stanno benissimo entro questi due termini.
Si riscontri il Dandolo, lib. VIII, cap, II, §i 1 e 9 presso il Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo XII, e la Cronica Altinate, nello Archivio Storico Italiano, tomo VIII, p. 20.
Il Rampoldi, Annali Musulmani, tomo IV, p. 237, muta le due imprese dell'827 ed 829, o 30, in due «forti combattimenti ch'ebbe a sostenere Ased traversando da Susa a Mazara con una flotta di Veneziani alleati dell'imperatore.» E quel ch'è peggio, egli cita Nowairi, il quale non dice una parola di questi fatti.
Il Martorana, Notizie Storiche ec., tomo I, p. 39, fa venire il naviglio greco l'830, sotto il comando di Teofilo, mandato dal padre Michele il Balbo (ch'era morto l'829), e fa abbottinare contro Teofilo l'armata veneziana. Delle sue citazioni a questo proposito l'una è inesatta, l'altra non vale.
Questa sola cronica porta la morte di Teodoto, e la dice seguita l'anno dell'era costantinopolitana 6339, quando fu presa dai Musulmani una città il cui nome nel testo arabico si legge misawa. Il Nowairi porta la sconfitta di Teodoto sotto Mineo, e ch'ei si rifuggisse a Castrogiovanni del mese di giumadi secondo del 215, cioè dal 25 luglio al 22 agosto 830, e però pochi giorni innanzi il principio del 6339, che corre dal 1 settembre 830 al 31 agosto 831. Ibn-el-Athîr e il Baiân dicono anche levato l'assedio da Mineo. Or questo nome, scritto in arabico minâw, si può scambiare facilmente con quel della cronica di Cambridge confondendovi le due lettere i n sì che rassomiglino ad una s. Però ho creduto di correggere l'arbitraria lezione di Messina che si era adottata nelle versioni di detta cronica. Si leggano con questa avvertenza i passi corrispondenti del Martorana, tom. I, pag. 41, e del Wenrich, lib. I, cap. IV, §37. Nell'831, quand'essi registrano la presa di Messina, gli Arabi combatteano ben lungi da quella provincia.
La cronaca della Cava, nella edizione di Pratilli, Historia Principum Langobardorum, tomo IV, p. 391, reca la presa di Palermo l'anno 832; ma questa è manifestamente la notizia della Cronica di Cambridge interpolata dal Pratilli con quella misera frode che si può sospettare dalle sue proprie parole (stesso volume, p. 381), e che ormai è chiarita dopo le ricerche del Pertz e del Köpke, Archiv für ältere Teutsche Geschichts Kunde.
Convengono così fatte espressioni con quelle di Giovanni Diacono, citato di sopra: Ad postremum vero capientes Panormitanam provinciam, cunctos ejus habitatores in captivitatem dederunt. Tantummodo Lucas ejusdem oppidi electus et Symeon spatharius cum paucis sunt exinde liberati.
Come si debba intendere questa cattività sarà detto quando tratteremo in generale della condizione dei Cristiani di Sicilia sotto i Musulmani, la quale non era uguale in tutti i luoghi. Intanto si ritenga che a que' di Palermo non fu lasciato il possesso di beni stabili. Ciò mi par che risalti manifesto dalle parole d'Ibn-el-Athîr e di Giovanni Diacono.
Il Nowairi, non badando alta importanza del passo analogo della cronica ch'egli ebbe sotto gli occhi come Ibn-el-Athîr, dice in generale presa Palermo con l'amân, ossia a patti. Da ciò il Di Gregorio suppose accordate tutte le solite condizioni dello amân che si dava alle città; e ne spiegò alcune nella nota (c) al Nowairi, nell'opera citata, p. 7. Ma le condizioni, massime in fatto di proprietà, non erano nè poteano essere uguali in ogni luogo.