Michele Amari
Storia dei Musulmani di Sicilia

LIBRO SECONDO.

CAPITOLO V.

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CAPITOLO V.

 

L'occupazione di Palermo fu vero principio a quella dell'isola. Fin qui i Musulmani non avean fatto stanza che in campo o entro piccole castella, chè tal era anco Mazara; per quattro anni le forze loro, ragunate di dal mare in qualche boglimento di zelo religioso o di cupidigia, erano state poi rifornite a stento, e con più fatica traghettati gli aiuti nell'isola; tutti eran vivuti di rapina che si sperpera; avean guerreggiato sotto varii capi, senz'accordo disciplina. Ma la vasta e forte città, quasi vota d'abitatori, il fertile territorio e i contadini che il coltivavano, rimasi preda al primo occupante, allettarono la comune dei vincitori a soggiornare in Palermo; ammoniti altresì dalle sventure passate. I più veggenti doveano comprendere con ciò gli avvantaggi d'una colonia moderata da governo regolare; grossa di popolazione, da fornire uomini e materiali alla guerra; posta sì presso al cuor dell'isola, con un porto comodo e difendevole, ove le arti di costruzione navale non mancavano, o si poteano agevolmente ristorare.

Però da una parte si gittarono sul cadavere di Palermo le genti affricane e spagnuole dell'esercito; piatiron tra loro, dice Ibn-el-Athîr507 e azzuffaronsi: senza dubbio, quando si venne al parteggio delle possessioni. Dall'altro canto Ziadet-Allah pose mano ad ordinare la colonia. Quantunque gli Spagnuoli potessero pretestare la sovranità del principe omeiade, prevaleva pur manifestamente in Sicilia il dritto della casa aghlabita per lo merito della intrapresa guerra, per la sede più vicina e le forze sue più considerevoli nell'esercito. Pertanto l'anno medesimo dugentosedici, che ne avanzarono cinque mesi dopo la dedizione di Palermo, Ziadet-Allah elesse a luogotenente in Sicilia il suo cugin germano Abu-Fihr-Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Aghlab508, segnalatosi una volta combattendo in Sicilia, e poi con infelice lealtà egli e i suoi fratelli nella guerra civile di Mansur Tonbodsi509. Con la riputazione di principe del sangue, e anco forse con gente fidata, giunse Abu-Fihr in Sicilia, correndo già il dugento diciassette (6 febbraio 832 a 25 gennaio 833). Costui ne cacciò, dice la cronica, Othman-ibn-Kohreb510 non sappiam di che nazione, certamente un de' capi di parte venuti su in que' trambusti: e leggiamo altrove che le discordie tra Affricani e Spagnuoli si composero in questo tempo511.

che la colonia si ordinasse come centro di uno stato novello, poco dipendente dall'Affrica; al che portavano quegli elementi suoi eterogenei e turbolenti, non disposti a sottomettersi al principato aghlabita senza larghissime franchigie. Ciò si vedrà dal progresso degli avvenimenti. N'è segno altresì il titolo di Sâheb dato da scrittori assai diligenti al primo governatore dell'isola; il qual titolo, posto assolutamente senz'altra voce che lo determini, tocca al capo d'uno Stato512; differente perciò da emir, e da wâli513. Sappiamo inoltre che del dugento ventuno (836) moriva a Kairewân un cadi di Sicilia514; donde si argomenta che questo supremo magistrato fosse stato posto fin dal principio delle nuove instituzioni nella colonia. A questo tempo appartiene un dirhem, pubblicato dal Tychsen, e ch'io non ho visto. Se non è falso, servirà a confermare che nel dugento venti dell'egira (4 gennaio a 24 dicembre 835) Mohammed-ibn-Abd-Allah reggea la Sicilia, e che battea moneta di argento col nome suo e del principe d'Affrica; sì come avea fatto sei anni innanzi Mohammed-ibn-el-Gewâri515.

Nondimeno per due anni non seguì fazione d'importanza, per cagion delle preoccupazioni che dava ai Musulmani l'assetto delle proprietà e d'ogni altra civil faccenda; ed anco per la riputazione di Alessio Muscegh, nuovo patrizio di Sicilia. Questo bello e valoroso giovane armeno era salito in subito favore appo Teofilo, sì che, tra' suoi ghiribizzi, lo fidanzò alla propria figliuola Maria, ancorchè bambina; lo fe' patrizio, proconsolo, maestro degli offici a corte; gli diè titolo di Cesare, e lo destinava forse a succedergli nello impero, quando insospettito per mene di palagio, volendo allontanarlo, lo prepose all'esercito di Sicilia (832). E i cronisti bizantini che dipingonostudiosamente ogni inezia e perfidia di corte e confondono nell'ombra il resto de' fatti, si contentano qui d'aggiugnere ch'Alessio egregiamente compiè i voleri dello imperatore; potendosi al più inferire da qualche parola che, fatte genti in Calabria, cominciasse già a ristorar la guerra nell'isola. Ma tra i nemici che avea lasciato a Costantinopoli, e que' che l'invidia gli suscitò d'un soffio in Sicilia, fu accusato di pratiche coi Musulmani; di tramare ribellione: solite contraddizioni della calunnia, che Teofilo si bevve senza esame. Donde chiamato Alessio appo di (833), ed esitando quegli a ubbidire, il principe trovò più comodo un tradimento. Mandò a persuaderlo l'arcivescovo Teodoro Crethino, al quale fe' sacramento del gran bene che voleva ad Alessio, e gli diè un salvocondotto soscritto di sua mano, e, più sacro pegno, una croce ch'ei solea portare al petto; sì che l'onesto sacerdote, ingannato, ingannò Alessio e seco il ricondusse a Costantinopoli. Quivi il Cesare era imprigionato, vergheggiato, confiscatigli i beni. L'arcivescovo che in una solenne cerimonia della chiesa osò rinfacciar lo spergiuro allo imperatore, fu strappato dagli altari, battuto, mandato in esilio. Poi Teofilo, pentito per le rimostranze del patriarca di Costantinopoli, liberò l'uno e l'altro: ma Alessio era ristuccotosto del mondo, che dei beni resigli edificò un monastero e vi si serrò516. Così fatto imperatore, così fatto capitano, e i soldati fiacchi, il popolo rimbambito, gli ottimati di Siciliasaputi a calunniare, sì mal disposti a combattere, non erano al certo gli uomini che poteano salvare l'isola dai Musulmani. Il solo espediente strategico in cui si affidarono dopo la occupazione di Palermo, fu di adunare il grosso dell'esercito a Castrogiovanni; sì che gli scrittori musulmani dicono trasferita da Siracusa in quella città la sede del governo517. Oggidì si chiamerebbe campo di osservazione. Quivi sedea il capitan generale dell'isola, spettatore ozioso d'ogni guasto che facevano i Musulmani.

Abu-Fihr andò dritto ad assalirlo ne' principii dell'anno dugento diciannove dell'egira (15 gennaio 834 a 3 gennaio 835): uscitigli incontro i Cristiani, li rompea dopo aspra zuffa, li ricacciava negli alloggiamenti, e, tornatovi in primavera, lor dava una seconda sconfitta. L'anno appresso intraprese più grossa guerra. Principiando dal campo di osservazione, lo combattè una terza fiata (835); espugnò gli alloggiamenti, li saccheggiò, vi fece prigioni la moglie e un figliuolo del patrizio che capitanava lo esercito; e tornatosi egli in Palermo, mandò un grosso di genti con Mohammed-ibn-Sâlem infino a Taormina, su la costiera orientale, i quali fecero ricco bottino. Altre gualdane saccheggiarono altri luoghi. Tra coteste vittorie scoppiava contro Abu-Fihr una sollevazione militare in cui fu ucciso, e gli omicidi si rifuggirono presso l'esercito cristiano518.

Mandato da Ziadet-Allah in Sicilia, in luogo del congiunto, un Fadhl-ibn-Ia'kûb, segnalossi immantinente con due correrie, l'una sopra Siracusa, l'altra forse nelle parti di Castrogiovanni; poichè leggesi che il patrizio andò con grosso stuolo a tagliar il cammino ai Musulmani. Se non ch'essi furono pronti ad afforzarsi in un aspro terreno e boscaglie intricate, ove il nemico non osò assalirli. Aspettato invano insino a sera che scendessero quelli a combattere, le genti del patrizio, com'era l'indole delle milizie bizantine, più neghittose che vigliacche, si partirono; sciolsero gli ordini nella ritirata. Addandosene i Musulmani, saltavan fuori da loro rupi, caricavano il nemico d'una carica vera, dicono gli annali, e lo sbaragliavano: il patrizio, ferito di parecchi colpi di lancia, cadde da cavallo, ma fu valorosamente difeso da' suoi, tanto che sel portarono fuggendo così mal concio, abbandonando armi, arnesi, cavalli. Così la scorreria finì in segnalata battaglia519. Seguiano coteste due fazioni nella state dell'ottocento trentacinque; e si terminò con quelle la missione provvisionale di Fadhl, sendo venuto all'entrar di settembre a reggere la Sicilia un altro principe del sangue aghlabita. Fu questi Abu-'l-Aghlab-Ibrahim-ibn-Abd-Allah-ibn-el-Aghab520, cugin germano di Ziadet-Allah e fratello dell'ucciso Mohammed. Uomo di grande saviezza e vedere politico, come il mostrò promovendo le fazioni navali. Venne con una armatetta in Palermo, capitale della Sicilia, come già la chiama un cronista, di mezzo ramadhan del dugentoventi (11 settembre 835), campato da grave fortuna in cui avea perduto parecchie navi per naufragio ed altre presegli dai Cristiani521. Tra queste leggiamo che fosse una harrâka, e che una squadra di legni della medesima denominazione, capitanata da Mohammed-ibn-Sindi, uscì immediatamente alla riscossa, e diè la caccia al nemico, finchè la notte non glielo tolse di vista522; e nei combattimenti che seguirono indi a non molto, si fa menzione altresì d'una harrâka523 presa dai Musulmani sopra i Greci524. Or cotesta voce arabica significa appunto "incendiaria"; e però denota le galee da lanciar fuoco, che i Musulmani per avventura avean preso ad imitar dai Greci, tra il fine dell'ottavo e il principio del nono secolo: ancorchè tal foggia di navi in Oriente si fosse anco adoperata ad altri usi, e in Italia al commercio, riconoscendosi quello infausto nome nella appellazione di "carraca" e "caracca" che occorresovente nei ricordi di Genova e di Venezia525. È manifesto dunque che la colonia di Palermo tentava già il gran problema della tattica navale del tempo, di costruire cioè le navi incendiarie, ed a ciò adoperava le arti conosciute in Africa, in Ispagna, e forse meglio in Sicilia, poichè di harrâke non fanno menzione gli annali arabici, della Spagna dell'Affrica. Abu-'l-Aghlab non lasciò in ozio tal novella forza. Mandate alcune navi in una città di cui manca il nome nei Manoscritti, sia che fosse nelle isole Eolie, o nella costiera tra Palermo e Messina, i Musulmani combatterono un'armatetta cristiana, la vinsero, depredarono il paese e tornarono addietro coi prigioni, ai quali Abu-'l-Aghlab fe' mozzare il capo. Un'altra squadra approdata a Pantellaria, vi colse un dromone526, nel quale, oltre i soldati greci, trovossi un uom d'Affrica fatto cristiano; e tutti al paro furon messi a morte per comando del governatore di Palermo527: crudeltà non comandata dalla legge, fuorchè contro i rinnegati, e non solita nelle guerre degli Arabi; onde vi si scorge lo accanimento e invidia dei vincitori contro il navilio bizantino che sì raro lor avvenia di sgarare. Al tempo stesso, una torma di cavalli, spinta verso le falde dell'Etna e tra le fortezze della regione orientale, arse le campagne, saccheggiò e sparse gran sangue; ma combattendo, non scannando prigioni528.

L'anno seguente (221, 25 dicembre 835 a 12 dicembre 836) fatta irruzione di nuovo nel paese dell'Etna, se ne tornarono i Musulmani in Palermo con tanta preda di roba, e sopratutto di uomini, che il prezzo degli schiavi molto rinvilì, scrive laconicamente Ibn-el-Athîr. Un'altra schiera che mosse, credo io, lungo la costiera settentrionale non mai prima infestata, arrivò infino a Castelluccio, rôcca in su i monti a mezza via tra Palermo e Messina, e vi fe' anco bottino e prigioni; ma sopraggiunta dal nemico, dopo aspro combattimento, fu sconfitta. L'armata intanto, capitanata da Fadhl-ibn-Ia'kûb, assaliva e spogliava le isolette adiacenti, senza dubbio le Eolie; espugnava poi una fortezza, che volentieri leggerei Tindaro, e parecchie altre rôcche, e vittoriosa se ne tornò a Palermo529. Dondmanifesto che dopo le isole Eolie avesse scorso anch'essa la costiera di settentrione. Nel medesimo anno o piuttosto in quel d'appresso (222, 13 dicembre 836 a 1 dicembre 837) Abu-'l-Aghlab spingeva una grossa schiera capitanata da Abd-es-Selâm-ibn-Abd-el-Wehâb sul territorio di Castrogiovanni; contro la quale sceso il nemico a combattere, andarono in volta i Musulmani, lasciando assai gente sul campo di battaglia e non pochi prigioni, e tra quelli Abd-es-Selâm, che fu indi liberato, forse in uno scambio530. Perocchè l'armata ch'era uscita anco questa stagione, scontratasi in quella dei Bizantini, la ruppe, e presele nove grossi navigli e una salandra531 con tutte le ciurme; e l'esercito, per far vendetta o riavere i prigioni, tornò più forte sotto Castrogiovanni, e vi si messe a campo.

Tra i quali travagli innoltratosi il verno, avvenne una notte che un Musulmano scoprì un di Castrogiovanni che si riduceva in città per viottoli ignoti; e tenutogli dietro, chetamente salì fino al sobborgo ove erano gli alloggiamenti dell'esercito. Donde tornato in fretta il Musulmano a darne avviso ai suoi, tutti s'armarono, s'inerpicarono per quel sentiero; e, superatolo, diedero il grido d'Akbar-allahmassimo Iddio), e furono addosso ai nemici. Si rifuggivan quegli entro la cittadella, abbandonato il borgo; e fieramente indi resisteano, sicuri nella fortezza del sito. Alfine, dice il cronista, chiesero ed ottennero l'amân; e così i Musulmani carichi di preda se ne tornarono a Palermo532. Si deve intendere che i Cristiani profferirono una taglia, e che i Musulmani, stando all'assedio tra i dirupi da una parte e un grosso presidio dall'altra, furon lietissimi di uscir dal pericolo con onore e guadagno. Ma s'impadronirono della rôcca, rimasero nel sobborgo; perocchè egli è certo che Castrogiovanni fa combattuta per più di venti anni dopo questo accordo; e ognun vede che se i Musulmani vi fossero entrati una volta, non avrebbero di leggieri lasciatoimportante fortezza.

In questo medesimo tempo stringeano Cefalù su la costiera settentrionale, a quarantotto miglia a levante di Palermo; il cui nome gli Arabi scrissero Gefalûdi e Scefalûdi: e ciò mostra ch'abbiano trovato guasta, forse da molti secoli, la pronunzia di Kefalídion533. Così addimandarono quella terra i Greci dalla sembianza d'una rupe ritonda, inaccessa, sporgente in mare; la quale sovrasta alla città odierna, e sostenne l'antica oltre venti secoli, incominciando da tempi che non hanno storia; poichè vi si trovano avanzi di mura ciclopiche. Il forte sito la rese città di qualche momento nell'antichità e nel medio evo; e indi a prima vista alcun potrebbe maravigliare che i Musulmani conducessero insieme ambo le imprese di Cefalù e di Castrogiovanni, e ne potrebbe credere la colonia di Palermo assai più potente che non fu nei primi principii. Ma suppliva al numero dei Musulmani l'audacia loro e il terrore dei nemici. Una schiera solea dare il guasto al contado; porsi in luogo forte presso le mura; minacciare chiunque ne uscisse; combattere ed opprimere chi l'osava; spiare l'occasione di qualche colpo di mano: e questo chiamavasi assedio. E l'era, poichè sovente riduceva i terrazzani ad arrendersi, per amor dei poderi, per noia dei disagi, per paura di , della famigliuola, della roba, per tutti quei sintomi del pacifico cittadino, come il chiamano per dileggio coloro che il menano a verga. Nondimeno la fortezza del sito o del presidio faceva andare in lungo l'assedio di Cefalù, quando, dell'anno dugentoventitrè (2 dicembre 837 a 21 novembre 838), probabilmente in primavera, giunservi grossi rinforzi per mare. Eran costretti da quelli i Musulmani a levare l'assedio, a combattere molte fazioni534, com'e' pare, con disavvantaggio, ritraendosi sempre verso Palermo. Dove risaputa tra questi travagli la morte di Ziadet-Allah, ch'era seguita in Affrica il quattordici di regeb (10 giugno 838), la colonia se ne costernò fortemente, leggiamo negli annali; ma dileguato il primo sbigottimento, si apprestò a mostrare il viso alla fortuna535. Donde è chiaro che si temessero nuovi rivolgimenti in Affrica, e si disperasse indi degli aiuti che per avventura si credevano necessarii contro il nemico sbarcato a Cefalù.

Svanirono poi que' timori per lo savio e forte reggimento di Abu-I'kâl-Aghlab-ibn-Ibrahim; il quale succeduto tranquillamente al fratello Ziadet-Allah, seppe contentare le milizie, raffrenare le violenze private, tenere a freno i Berberi, ristorare nella capitale d'Affrica que' ch'eran buoni costumi secondo le idee religiose de' Musulmani. E tosto mandò nuove genti in Sicilia; onde la colonia continuava sue correrie nel dugentoventiquattro (22 novembre 838 a 10 novembre 839), dalle quali, leggiamo che i Musulmani tornassero in Palermo carichi di bottino536; e però si vede che la espedizione dei Bizantini a Cefalù era finita, come le precedenti, senza alcun frutto. Con più formidabili appresti i Musulmani uscirono alla campagna l'anno appresso (11 novembre 839 a 29 ottobre 840) nel quale si arreser loro a patti Platani, Caltabellotta, Corleone, e, se ben leggiamo, anco Marineo e Geraci, e molte altre rôcche di cui gli annali non portano il nome537. Così anco del dugento ventisei (30 ottobre 840 a 19 ottobre 841) una torma di cavalli diè il guasto al territorio di Castrogiovanni, arse, depredò, fece prigioni, senza che il presidio osasse uscirle incontro. Pertanto scorrendo oltre fino alla fortezza delle Grotte, chè così addimandavasi, scrive Ibn-el-Athîr, per trovarvisi quaranta grotte, i Musulmani la presero e saccheggiarono538. Il sito e il nome danno a credere che sia la città che or si chiama Grotte, presso Girgenti, ancorchè parecchi altri luoghi di Sicilia abbiano la stessa denominazione negli annali musulmani, e in Sicilia al par che in Sardegna, in Puglia, in Affrica, in Egitto e altrove, come ognun sa, si veggano assai frequenti coteste stanze tagliate nella roccia in tempi antichissimi, per albergo de' vivi o tomba de' morti. I nomi delle città arrese ai Musulmani tra l'ottocentotrentanove e il quarantuno, bastano a mostrare che fosse ormai signoreggiato da loro tutto il val di Mazara, e lasciato in pace fin qui il rimanente dell'isola. Contuttociò aveano non solo portato le armi nella terraferma d'Italia, ma, quel che più è, fattovi lega con la repubblica di Napoli.

 

 

 





507  Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 42, vita di San Filareto; e la stessa nella collezione dei Bollandisti, Acta Sanctorum, 8 aprile.



508  Veggansi presso Francesco Aprile, Della Cronologia universale della Sicilia, pag. 487.



509  Mongitore, Palerm. santif., p. 164, che io cito su la citazione dello Aprile. Il Mongitore cavò queste notizie da un MS, del P. Angelo Sinesio, primo abate nel 1352. Della storia del monastero San Martino presso Palermo v'ha un MS. nella Biblioteca imperiale di Parigi, intitolato Chronica Monasterii S. Martini de Scalis (Saint-Germain-des-Prés, 590). Questa compilazione fu fatta in Sicilia nei principii del XVIII secolo, e indirizzata al P. Massuet della congregazione di St. Maur.



510  MS. A, tomo I, fog. 124; MS. C, tomo IV, fog. 102 recto.



511  Baiân, tomo I, p. 97, nell'anno 216; Ibn-Abbar, MS., fog. 35 recto, porta la data del 217.



512  Nowairi, Conquête de l'Afrique, in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, versione di M. De Slane, tomo I, p. 409. Veggasi anche Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, traduz. di M. Des Vergers, p. 101.



513  Baiân, tomo I, p. 97, nel 217. Leggendosi forse in alcuna delle cronache antiche che il primo luogotenente musulmano di Sicilia fosse stato eletto immediatamente dopo la dedizione di Palermo, Ibn-Khaldûn, versione di Des Vergers, op. cit. riferisce la dedizione al 217, quando venne, non al 216 quando fu eletto, Mohammed-ibn-Abd-Allah (Abu-Fihr). Un doppio errore, di confondere cioè le date delle elezioni e i nomi dei primi governatori, condusse il Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 7, a differire la presa di Palermo, fino al 220, e far cominciare il governo di Mohammed-ibn-Abd-Allah in quest'anno nel quale appunto ei fu ucciso.



514  Ibn-el-Athîr, l. c.



515  Negli annali arabi il titolo assoluto di Sâheb è adoperato promiscuamente con Malek (re), e lo dicono degli imperatori di Costantinopoli, dei re normanni di Sicilia, ec. Determinato da una seconda voce, prende altro significato: per esempio Sâheb-es-sciorta, "prefetto di polizia;" Saheb-el-istûl, "capitano del navilio," ec. In origine Sâheb significa "compagno." Chi sa se non vollero tradurre il titolo di comes?



516  Veggasi il Libro I, capitolo VI, p. 147.



517  Baiân, tomo I, p. 98-99. Non si dice il nome; ma par che si tratti dello stesso cadi del Kairewân Abu-Mohriz, del quale si è detto di sopra; certo di un personaggio riverito molto dal principe, e pio o grande al segno da vietare gli onori funebri che si aspettava da costui. Tuttavia dubito di qualche errore, poichè il Riadh-en-nofûs non fa menzione di ciò nella biografia di Abu-Mohriz.



518  Tychsen, Additamentum I introductionis in rem nummariam Muhammedanorum, p. 43. Il rovescio è lo stesso del dirhem del 214, di cui dicemmo a p. 283, 284. Il dritto ha la medesima formola religiosa, il nome di Mohammed-ibn-Abd-Allah, e in giro: "In nome di Dio fu battuto questo dirhem in Sicilia l'anno 220. "Quivi il nome dell'isola, scritto Iskilîa, premettendosi, cioè, una alef, ricorda la pronunzia maltese, e però l'abate Vella. Nondimeno, senza veder la moneta, non la posso dichiarare spuria; tanto più che il Vella, com'io credo, falsificò poche monete, e molte ne finse che punto non esisteano.

                La leggenda di questo dirhem è stata ristampata dal signor Mortillaro, Opere, tomo III, p. 344.



519  Confrontinsi: Theophanes continuatus, lib. III, cap. 18, p. 107 a 109; Symeon Magister, nello stesso vol., p. 630 a 632; Georgius Monachus, nello stesso volume, p. 794 a 796; e Leo Grammaticus, p. 216, 217. Il nome patronimico di Alessio si legge Musele, Μουσελέ, ma lo correggo secondo il Saint-Martin, ch'è autorità competente, e lo scrive Mouschegh nelle note a Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXIX, § 21. Mi discosto dai due eruditi compilatori francesi circa il tempo della missione di Alessio in Sicilia, che pongono nell'835; ma Symeon Magister, molto preciso in questo racconto, riferisce la elezione all'anno terzo di Teofilo, e il richiamo all'anno quarto, cioè agli anni 831-32 e 832-33, contandosi alla bizantina dal primo settembre e dalla esaltazione di Teofilo, che seguì il primo ottobre 829.



520  Confrontinsi Nowairi presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 8, e Ibn-el-Athîr, Ibn-Khaldûn e gli altri cronisti citati nel capitolo VI del presente libro, nella narrazione della presa di Castrogiovanni.



521  Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso, dove si dicono preposti allo stuolo mandato a Taormina, Mohammed e Sâlem. Credendolo errore del MS., ho corretto Mohammed-ibn-Sâlem. Una parte di cotesti avvenimenti manca nel MS. C, tomo IV, fog. 192 recto. Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 108, 109, un cenno della terza fazione di Castrogiovanni e di quella di Taormina. Questo nome d'altronde, che è scritto Tarmîn, si trova nel solo Ibn-Khaldûn, e nel MS. d'Ibn-el-Athîr è lasciato in bianco. Il Baiân, tomo I, p. 98, parla di una sola battaglia di Abu-Fihr, nel 220, e accenna in generale «molte altre fazioni dei Musulmani in Sicilia e in Spagna, per mare e per terra, combattute il medesimo anno



522  Ibn-el-Athîr, MS. A, l. c., che al capitano greco il titolo di patrizio e Malek (re) della Sicilia. Breve cenno in Ibn-Khaldûn, l. c.



523  Scrivo il nome secondo il Baiân, tomo I, p. 104, ove Ibrahim è chiamato principe (sâheb) di Sicilia. A p. 98 e 99, questo libro fa menzione di lui col solo soprannome di Abn-'l-Aghlab, che alla p. 98 si legge, al certo erroneamente, Ibn-el-Aghlab.

                Il Baiân ci il bandolo d'una matassa in cui gli altri annalisti han confuso questo personaggio con altri governatori di Sicilia; ed ecco in qual modo.

                Ibn-el-Athîr, citato di sopra, Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-el-Aghlab come già esercente la carica di governatore di Sicilia nel 220. Poi narra ch'ei fu ucciso lo stesso anno, ed eletti successivamente dopo di lui, Fadhl-ibn-Ia'kûb ed Abu-'l-Aghlab-Ibrahim-ibn-Abd-Allah. (MS. A, tomo I, fog. 124 verso.) In ultimo, quasi dimenticando cotesti nomi e date, registra nel 236 la morte di Mohammed-ibn-Abd-Allah, governatore di Sicilia, dopo 19 anni di egregio governo; ma egli dubita di così fatta tradizione, aggiungendo la solita frase di scappatoia: "Del resto, la verità la sa Iddio." (MS. A, tomo II, fog. 2 recto; MS. C, tomo IV, fog. 212 recto.)

                Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 120; Abulfeda, Annales Moslemici, ann. 237; Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 8, ed Ibn-Abi-Dinâr, MS. di Parigi, fog. 20 verso e 21 recto, replicano il nome di Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-el-Aghlab, e la tradizione dei 19 anni di forte e savio governo, finito per morte il 236 o il 237 e cominciato, come dice il Nowairi con evidente sbaglio di computo, il 225.

                Ibn-Abbâr, infine (MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 148 verso), porta il nome di Abu-'l-Aghlab-Ibrahim-ibn-Abd-Allah-ibn-Ibrahim-ibn-el-Aghlab, che «assestò (dice egli), ed egregiamente resse la Sicilia dall'anno 221 ch'ei vi fu mandato, per tutto il tempo della sua vita

                Comparando le quali testimonianze, e notando la fede che merita ciascuna, è evidente lo errore di tutti gli altri, fuorchè il Baiân, e Ibn-Abbâr; e che Ibn-el-Athîr, seguíto da Ibn-Khaldûn, che il vero nome dapprima, e poi con troppa fretta ripetè lo errore altrui. Lo errore stava nel confondere i tre anni di governo di Mohammed-ibn-Abd-Allah (217 a 220), e i sedici di Ibrahim (220 a 236), e far dei due fratelli un solo personaggio che avesse retto la Sicilia per 19 anni.

                Chiarito or questo punto, rimarrebbe un sol dubbio, cioè se il padre di Ibrahim, chiamato Abd-Allah, fosse stato figliuolo di quell'Aghlab, dal quale prese nome la dinastia, ovvero del costui figliuolo Ibrahim primo principe d'Affrica; e perciò se il governatore mandato in Sicilia il 220 fosse stato cugino germano di Ziadet-Allah, ovvero nipote, figliuolo cioè del fratello che avea regnato prima di lui. Rimane il dubbio, io dico, per lo nome di Ibn-Ibrahim che si legge in Ibn-Abbâr, e ch'io ho scritto in corsivo nella citazione; ma come il MS. di Ibn-Abbâr che ho sotto gli occhi è copia moderna e scorretta, così io credo si debba sopprimere questo grado di genealogia, e stare al nome dato dal Baiân.



524  Baiân, tomo I, p. 98. La sola data dell'arrivo in Sicilia e il nome del nuovo governatore Abu-'l-Aghlab-ibn-Ibrahim-ibn-Abd-Allah leggonsi in Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso, e Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 109.



525  Baiân, l. c.



526  Nell'originale "harraka". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



527  Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso.



528  I Bizantini, il cui navilio fu sì formidabile per cagione dei legni incendiarii, non chiamavanli con nome speciale. I dromoni, ch'erano lor navi da fila, portavano uno o più tubi di metallo, onde schizzava il fuoco greco alla guisa delle lance a fuoco d'oggidì; e gli artiglieri, drizzando quella lingua di fiamma come voleano, ardean la nave nemica. Aveano oltre a ciò piccioli tubi, pentole e altri artifizii di fuoco da lanciare a mano o con macchine. Veggansi a tal proposito le Institutions militaires de l'empereur Léon, versione francese del Maizeroi, p. 136 seg.; e Reinaud et Favé, Du feu grégeois, pag. 103 a 112.

                Presso i Musulmani il nome di (nave) incendiaria apparisce la prima volta, credo io, verso l'813; facendosi menzione da Ibn-el-Athîr d'una harrâka con la quale il califo Amîn solea andare a diporto sul Tigri. Poi, questa denominazione occorre al tempo delle Crociate nel significato di barca da fiume, battello, gondola; ma tuttavia alcuni scrittori arabi la definivano: "galea con un ordegno da gittar fuoco." Da tale contraddizione tra il nome e il fatto, è nato disparere su la qualità di nave che si dovesse intendere sotto il nome di harrâka; ostinandosi i dotti a credere che si trattasse sempre di una sola qualità di nave: e le varie opinioni su tal punto si leggono nelle note dei signori Reinaud, Extraits etc. relatifs aux Croisades, p. 415; ed E. Quatremère, Histoire des Sultans Mamlouks par Makrizi, tomo I, p. 143, e tom. II, parte I, p. 24 e 25.

                La menzione fatta delle harrâke dei Musulmani, e sopratutto d'una dei Bizantini, nei combattimenti di Sicilia, parmi che tronchi ormai la lite, mostrando come in varii tempi e luoghi si addimandarono così or navi da guerra, or barche da diporto o commercio. In simil guisa le "bombarde" dell'Italia meridionale ritengon oggi lo antico nome, ancorchè le si adoprino a traffico di cabotaggio e siano smesse nella guerra.

                Procedendo nelle conghietture, io penso che gli Arabi abbiano costruito navi apposta, o almeno ingegni da incendiare, quando cominciarono ad appropriarsi quel che poteano delle scienze ed arti de' Greci. In questo particolare, come in parecchi altri, gli Arabi fallirono; e forse l'uso delle navi incendiarie fu abbandonato da loro, perchè non seppero mai costruire i dromoni veloci e forti come i Bizantini, e perchè fino al tempo delle Crociate non venne lor fatto giammai di scoprir la vera composizione del fuoco greco. Il nome che trovasi a Bagdad, come ho detto, nell'813, e in Sicilia nell'835, prova che il saggio fosse stato cominciato o continuato nei principii del IX secolo. E il tentativo fatto si può argomentare anco dai ricordi cristiani che abbiamo intorno il fuoco greco: cioè che recollo a Costantinopoli, verso la metà del settimo secolo, Callinico ingegnere di Siria, e che sendosi adoperato con felice successo contro i Musulmani nei due assedii di Costantinopoli, passò tra i segreti di Stato: e la corte spacciò che un angelo lo avesse insegnato a Costantino il Grande; che Iddio serbasse tremendi supplizii a chiunque lo rivelava; e che in fatti un traditore che volle darlo ai nemici fu divorato da fiamme scese dal cielo. Come gli imperatori non trascuravano i mezzi umani di guardare gelosamente quel segreto, e come i chimici musulmani non seppero indovinar bene la composizione prima del tempo delle Crociate, così i saggi di qualche officiale subalterno che passasse dai Bizantini agli Arabi, tornarono tutti vani. Forse le harrâke di Sicilia furono costruite con questo mezzo, e però imperfettamente, e però si disusarono; affidandosi meglio i Musulmani alle spade, alle lance e all'impeto e numero con che andavano all'arrembaggio.

                La voce carraca, mutata poi in caracca, carrica, carraque ec., esattamente il suono della harrâka arabica, pronunziandosi anche così la h nella voce genovese camâlo, venuta dall'arabo hammâl, e in tante altre. La etimologia da harrâka mi pare assai più naturale che quelle imaginate fin qui, su le quali veggansi Ducange, Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, alle dette voci; e Jal, Archéologie navale, tomo II, p. 211, seg.]



529  Ibn-el-Athîr scrive harrâka. Ho messo la denominazione che senza dubbio davano i Greci.



530  Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 109. Questi non parla del luogo della prima impresa navale dei Musulmani, ma sol dice che essi, trovata l'armata bizantina, la saccheggiarono; la quale frase, trattandosi di navi, non è più precisa in arabico che nelle nostre lingue. Nel MS. di Ibn-el-Athîr, al contrario, è lasciato in bianco il nome del paese depredato dalla armata musulmana.



531  Ibn-el-Athîr, l. c., e MS. C, tomo IV, fog. 192 recto; Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 110.



532  Confrontinsi Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 125 recto; Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 110; e il Baiân, tomo I, p. 99. Scrivo il nome di Castelluccio, perchè il testo di Ibn-el-Athîr ha K st l iâsa, e tra i tanti Castellucci, Castellacci e nomi somiglianti che si trovano nella topografia della Sicilia, il comune chiamato oggi Castelluccio è appunto su la via che dovea scorrere questa schiera di Musulmani. Poichè l'annalista la dice diversa da quella che s'era spinta fino all'Etna, cioè avea tagliato l'isola per lo mezzo; e mi pare probabilissimo che la seconda impresa di questo anno fosse intesa ad esplorare la costiera settentrionale, ove due anni appresso veggiamo assediata Cefalù. M. Des Vergers ha letto questo nome "Catania;" ma oltre l'autorità di Ibn-el-Athîr, che tratta evidentemente della stessa città di cui Ibn-Khaldûn, i MSS. di questo secondo autore portano chiaramente K t liâna.

                Il nome che ho letto Tindaro si vede scritto m d nâr nel Baiân. Trattandosi di una fortezza importante, e su la costiera settentrionale, poichè l'assaliva l'armata reduce dalle isole Eolie, Tindaro mi è parso, tra tutti i nomi antichi e moderni, quel che più si avvicina al testo del Baiân. Lo scambio della prima lettera non sarebbe caso straordinario. Èdrisi scrive Tindaro d n dâri. Tindaro fu città importante fino al tempo dei Musulmani, e si trova noverata tra le sedi vescovili nel IX o X secolo. Durò anco fino al XIV, leggendosi di un Vinciguerra Aragona signore di Tyndaris.

                È da avvertire, in fine, che il Baiân non dice se questa impresa fosse stata fatta dall'armata o dall'esercito, che la reca nel 222, quando Ibn-el-Athîr la riferisce al 221, e l'attribuisce alle forze navali. Leggiamo in questo autore essere state prese «cittadi e fortezze  ma la prima parola, in arabico Modonan, potrebbe essere alterazione del detto nome geografico.



533  Confrontinsi Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn col Baiân, ll. cc., dei quali il primo pone tutte queste fazioni nel 221, e l'ultimo tutte nel 222.



534  Legno sottile adoperato per dare avvisi, fare scoperte e simili officii. Ho dato a questa voce la forma italiana del medio evo. I Greci scriveano Χελάνδιον; i Latini dei bassi tempi, Chelandium; gli Arabi s l n d s.



535  Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 125 recto, dice espressamente che i Musulmani occuparono il solo borgo, e che i Cristiani si difesero nella cittadella. Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 100, narra il fatto più brevemente e vagamente. La ritirata nella fortezza mostra che il campo d'osservazione dei Bizantini questa volta fosse posto nel borgo.



536  Strabone scrive Κεφαλοίδιον; Tolomeo Κεφαλοιδίς Κεφαλούδιος i ricordi bizantini del IX secolo; Plinio Cephaloedis; altri latini Cephaludium etc. Gli Arabi aveano non meno di quattro lettere per notare il suono della κ greca e della c latina, la quale par abbia avuto il suono di una k, per esempio Cicero pronunziata Kikero. Se contuttociò gli Arabi resero la prima lettera con una Gim o una Scin, ciò prova che la sentivano pronunziare dai Siciliani con lo stesso suono strisciante che diamo in oggi in Sicilia alla c avanti le vocali e ed i. Cefalù era sede vescovile nel IX secolo e però città importante.



537  Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso; MS. C, tomo IV, foglio 192 recto.



538  Ibn-el-Athîr, l. c., Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 110.



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