Michele Amari
Storia dei Musulmani di Sicilia

LIBRO SECONDO.

CAPITOLO XI.

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CAPITOLO XI.

 

Travagliandosi per tal modo i Musulmani di Sicilia negli ultimi venticinque anni del nono secolo, la guerra che conduceano in terraferma d'Italia mutò indole e luoghi. Ciò anco venne dalle nuove condizioni dei potentati cristiani. Maturati, siccome abbiamo accennato, i frutti della riforma di Basilio Macedone, l'impero d'Oriente occupava le più vicine parti della penisola, e cercava di attirarsi con le pratiche il papa, e adescare o sforzare gli altri Stati minori della Italia Meridionale, sì che tornassero al nome bizantino. Da un'altra mano, l'Impero Occidentale, smisurata massa ed eterogenea, presto s'era scissa: i varii principi del sangue di Carlomagno, che ne avean preso chi un reame e chi un altro, litigavano tra loro; e s'era spenta con Lodovico secondo, imperatore, ogni virtù di quella schiatta. Allora quei che aspiravano al regno d'Italia ed alla dignità imperiale, non bastando a pigliarsi la corona con le proprie mani, cominciarono ad accattarla dal papa; il quale, mercè la preponderanza del clero, trovava modo a governare i suffragi dei grandi vassalli italiani. Così l'autorità imperiale avvilissi tanto più; la papale crebbe; e non ne migliorò punto la condizione d'Italia.

Perchè il papato, sì efficace a scommettere l'Italia, non ebbe mai potere di unirla, anco volendo; e questo è necessario effetto d'una ambizione senz'armi. Ciò apparve, come tante altre fiate, così al tempo di Giovanni Ottavo (872-882); il quale si accinse a compiere, a profitto della sede romana, i disegni di Lodovico Secondo imperatore contro i Cristiani dell'Italia Meridionale, sotto specie che i Musulmani aiutati da loro infestassero lo Stato della Chiesa. Giovanni si fondava, oltre l'influenza temporale dei vescovi, su le discordie e i timori di quei piccioli Stati e su le forze materiali ch'ei potesse ottener dai due imperatori: da Basilio, favoreggiandolo nel conquisto della Puglia, e accomodando la gran lite della Chiesa Costantinopolitana; e dall'imperatore d'Occidente, in baratto della corona. A lui non mancò ingegno, coraggio, attività, saldo proponimento, coscienza larga: fu sempre a cavallo, o in nave; si gittò tra le armi; scomunicò con ambo le mani in Italia; ribenedisse Fozio in Oriente; scrisse volumi di lettere; largo, e attese corto; ingannò; ordì tradimenti; aiutò il vescovo di Napoli a un fratricidio: e pur non conseguì lo intento suo. E tal diffalta gli scrittori ecclesiastici non gli hanno mai perdonato. L'ira è andata sì innanzi, che altri l'accagiona di «prudenza carnale771;» come se Giovanni Ottavo fosse stato il solo papa ambizioso: e il cardinal Baronio, con insipida arguzia, scrive che la femminina debolezza di costui desse appicco alla favola della papessa Giovanna772. Così lo feriscono, senza volergli far troppo male. Il disegno, del resto, non fallì per timidità di Giovanni Ottavo, ma perchè i feudatarii imperiali dal Tevere in su non avean voglia di ubbidire a un prete; perchè dal Tevere in giù ei trovò tiepidi amici e nemici imperterriti; i quali, minacciati da lui, si strinsero coi Musulmani, e glieli scagliarono addosso.

Il paese, la cui sorte si giocava per tal modo tra l'impero d'Oriente, il papa e i Musulmani, era scompartito in questa guisa. La Calabria e Terra d'Otranto ubbidiano in parte a Costantinopoli, in parte eran tenute dai Musulmani. Da quelle due punte della penisola ai confini dello Stato Ecclesiastico, il principato di Benevento occupava tutto il pendio orientale dell'Apennino. L'occidentale era tenuto a mezzodì dal principato di Salerno, a settentrione da quel di Capua: tra i quali si reggeano validamente, appoggiate in sul mare, le repubbliche di Napoli, Amalfi e Gaeta. In tutto, sei Stati agguerriti, rabbiosi, agognanti ciascuno al danno dell'altro; sospettosi tra loro e de' potentati maggiori. Capua, spiccatasi di recente dal principato di Salerno, confiscata dall'imperatore Lodovico Secondo, era ricaduta nelle mani del vescovo: Landolfo, della famiglia di quei gastaldi o conti che voglian dirsi; uom senza legge fede, aborrito dai popoli e sopratutto dai frati; vacillante altresì per le gare di non so quanti nipoti, tutti degni di lui. Uno Stato così fatto, confinando da un lato con le repubbliche, dall'altro coi dominii papali, dovea essere il pomo della discordia.

Stando le cose in questi termini verso l'anno ottocento settantacinque, i Musulmani ricominciarono nell'Italia Meridionale due serie di combattimenti, anzi due guerre al tutto diverse; nell'una delle quali erano assaliti, nell'altra assalitori; nell'una operavano dal golfo di Taranto per difendere dai Bizantini gli avanzi di lor colonie; nell'altra fean base dei golfi di Salerno, Napoli e Gaeta, per depredare tutta la Terra di Lavoro e la Campagna di Roma. Pertanto, tratteremo separatamente i casi di coteste due guerre.

Principiando da quella di Calabria e di Puglia, e' si vede che, poco prima o poco appresso la morte di Lodovico, il navilio musulmano, di Taranto o di Creta, avea già risalito l'Adriatico infino a Grado, e tentatala invano, al ritorno (luglio 875) arse Comacchio. Dalla parte di terra, la colonia di Taranto, rinforzata dalle reliquie dell'esercito di Salerno, occupò gran tratto di Calabria. Preposto intanto al reggimento un Othmân, che il Sultano, al suo tempo, avea bandito di Bari, Othmân riassaltava lo Stato di Benevento. Corsero i Musulmani infino a Bari e a Canne, depredando; ruppero tre fiate le genti di Adelchi; infestarono i contadi di Benevento stessa, Telese, Alife, desolati tante volte nelle passate guerre; e alfine vennero all'accordo col principe di Benevento. Conduceano tal pratica due vecchi compagni di prigionia del Sultano, chiamati dai cronisti Abdelbach ed Annoso; nome certamente musulmano il primo, che va scritto Abd-el-Hakk, e certamente latino il secondo, onde accenna un rinnegato. Adelchi uscì di briga a buon patto, stipolando con costoro di rendere il Sultano ad Othmân; il quale nol ridomandava, credo io, per carità musulmana. Quantunque una cronaca narri i gravi danni che Saudan fece ai Cristiani, libero ch'ei fu e tornato a Taranto, parmi che quivi si parli del nuovo sultano, scambiando, al solito, il nome proprio col titolo; poichè gli annali musulmani portano la morte di Mofareg-ibn-Sâlem, appunto in questo tempo in cui la tradizione cristiana lo dice consegnato ad Othmân773.

Ricominciato così il terrore dei Musulmani, e rifatto imperatore Carlo il Calvo, che non poteva attendere all'Italia, Basilio Macedone mandò lo stratego Gregorio con un'armata ad Otranto. Chiamato dai cittadini di Bari, che temeano un assalto di Othmân, Gregorio andò a Bari; la occupò a nome dell'impero bizantino (876); e, per arra di buon governo, pigliò alcuni ottimati, e sì mandolli prigioni a Costantinopoli. Indi i principi di Benevento, Salerno e Capua, ancorchè fossero caldamente sollecitati da Basilio a cooperare contro i Musulmani di Calabria, e pregati con belle parole di religione, di cacciata dei Barbari, di benigna protezione dello Impero, e il resto che ognun sa, pur non se ne mossero. Napoli, che non s'era mai inchinata a Lodovico, spiccata dai Musulmani, si strinse ad essi più che mai; tornarono a quell'amistà Amalfi e Gaeta che tentennavan prima; e v'entrò lo stesso principe di Salerno774.

La Puglia e la Calabria, su le quali Basilio doveva operare ormai con la forza delle armi e le pratiche del papa, aveano ubbidito, prima della occupazione musulmana, al principato di Benevento. A quanto si può scernere nella oscurità di quel tratto di storia, predominava in quelle provincie lo elemento municipale; ma snervato, ligio, inerte, diverso d'indole dalle repubbliche di Venezia, Roma, Napoli, ch'aveano goduto libertà ormai da tre secoli. Erano comuni piccioli la più parte, o se alcuno se ne notava popoloso, come Bari, non mostrava maggior vigore che i piccini: la debolezza individuale dei comuni era compensata dalla unione della provincia, dagli ordini militari, amministrativi o politici, dalla affezione, o almeno abitudine dei sudditi. Tanto più che, comparsi in quelle parti i Musulmani, le aveano corso per trent'anni al par dei Franchi, dei Longobardi di Benevento e dei Longobardi di Salerno; e i municipii aveano piegato il collo a volta a volta dinanzi a chi più temeano. Dopo l'875, dileguato il nome dei Franchi, e rimasi in quelle province i sanguinosi avanzi dei Musulmani che si risentivano, facilissimo s'offriva il conquisto alle armi bizantine.

Si dierono dunque a Basilio parecchie castella della Puglia, come si ritrae dal confuso e alterato racconto della Continuazione di Teofane, compilato su le nuove ch'eran corse per le bocche di tutti a Costantinopoli. Tra cotesti fatti leggiam sublime esempio di virtù rinnovatosi in altri tempi e appo altre nazioni e di tanto più credibile. Narrasi che movendo i Musulmani contro un castello dello Stato di Benevento, e avendo i terrazzani mandato un nunzio a chiedere soccorso a Costantinopoli, quegli, tornando con promesse di Basilio, fu preso dai Musulmani; i quali gli profferian salva la vita, se togliesse ai suoi ogni speranza degli aiuti greci. Quel generoso disse di sì. È addotto dunque da una mano di soldati sotto le mura, fa chiamare i principali cittadini, espone l'ambasciata, e venuto alla risposta di Basilio: "Provvedete ai miei figli," gridò, "chè a me avanzano pochi istanti di vita. Basilio già manda gli aiuti." E incontanente il trucidarono i Musulmani; ma levarono l'assedio. Così le castella di questa provincia tennero fermo nella devozione dell'imperatore, conchiude la cronaca di corte775; non contando come interruzione tre secoli di dominio longobardo, ch'eran passati.

Nondimeno i Bizantini si travagliarono per cinque anni senza altri segnalati avvantaggi che d'avere allontanato dalla lega musulmana, per procaccio del papa, Salerno e poi Benevento; finchè distrutta l'armata affricana e siciliana su le costiere di Grecia (880), e assaliti in casa loro i coloni di Sicilia, Nasar ripassava in Calabria, come a suo luogo accennammo. Quivi Nasar cooperando coi fanti e i cavalli capitanati dal protovestiario Procopio e da Leone per soprannome Apostippi, acquistò gran tratto della provincia. Ruppe al capo di Stilo un'altra armata testè venuta d'Affrica; cacciò i Musulmani da molte terre occupate776; ma tornato Nasar a Costantinopoli, la invidia che Leone portava a Procopio fe' perdere una battaglia contro i Musulmani. Leone con gli avanzi delle genti sbaragliate prese Taranto, e fe' schiavi quanti vi trovò Musulmani o Cristiani777. Richiamato indi costui, e punitolo d'avere abbandonato il commilitone sul campo di battaglia778, Basilio mandava in Italia uno Stefano Massenzio, con iscelte milizie di Cappadoci e Carsianiti, che si aggiunsero alle legioni di Tracia e Macedonia. Questi avendo pur fallito un colpo sopra Amantea, Basilio, l'anno ottocento ottantacinque, gli surrogò Niceforo Foca; uom d'alto stato e grandissimo animo, avolo dell'omonimo suo che sedè sul trono di Costantinopoli.

Niceforo, recate nuove forze del tema d'Anatolia, e alsì dei valorosi Pauliciani ch'erano avanzati allo sterminio di lor setta in Oriente779, ultimò il conquisto. Rotti in molti sanguinosi scontri i Musulmani; strette d'assedio successivamente Amantea e Santa Severina, sforzò quei presidii a dar le castella e andarsene, salva la vita e lo avere, in Palermo e altri luoghi di Sicilia780. Riebbe anco Tropea; tutte le Calabrie e una parte della Puglia ridusse al nome imperiale. A capo d'un anno, quando, morto Basilio, il vittorioso capitano era chiamato a difendere le province dell'Asia Minore781, Niceforo, partendo dal nostro suolo, lasciovvi gratissima memoria di . Erano avvezzi in quelle guerre i soldati bizantini a far mercato dei prigioni, che si spartivano come ogni altra maniera di bottino: prigioni quasi tutti Italiani, abitatori delle terre che per forza avessero ubbidito ai nemici, ovvero rapiti senza pretesto dai lor fratelli in Cristo. Niceforo, volendo far combattere i ribaldi soldati, non avea potuto fin qui prevenire tal misfatto; ma alla partenza il riparò da uom savio e forte. L'esercito, ito a Brindisi per traghettare su l'opposta costiera, si traea dietro le torme di quei miseri, per venderli schiavi in Costantinopoli: fiatava Niceforo. Sol comandò che prima dei prigioni si imbarcassero tutti i soldati; e, quando furon su le navi, fe' sciogliere le vele, e fe' bandire ai prigioni, ch'eran liberi. La gratitudine degli Italiani alzò su la spiaggia un tempio dedicato al santo di cui portava il nome quell'eroe782; in commemorazione alsì delle vittorie e della umanità mostrata, nel breve tempo ch'ei resse la provincia, trattando bene i sudditi e alleviando i tributi783.

Basilio aveva anch'egli dato in Italia un egregio esempio di umanità. Tra i benefattori che dalla povertà e oscurità l'avean fatto salire a fortuna, si notò una ricca donna per nome Danielis, vedova di alcun condottiere slavo stanziato nel Peloponneso; dal che forse ebbe origine il soprannome di figliuol della Slava, col quale gli annali musulmani denotano il Macedone784. Venuta a morte la Danielis, colma di onori da Basilio imperatore, ed avendolo fatto erede di sue possessioni nelle quali vivea un grande numero di schiavi, Basilio ne affrancava tremila; e mandavali a ripopolare alcune terre di Puglia e di Calabria, desolate nella guerra dei Musulmani785. Ma cotesti beneficii erano rimedio passaggiero che finiva con la vita dei benefattori; e quei che loro succedeano ricadean sempre nella negligenza e soprusi del Basso Impero; e fean maledire ai popoli italiani la dominazione novella, al par delle antiche e delle stesse correrie e tirannidi dei Musulmani. Perciò gli scrittori italiani di quel tempo, ritraendo le opinioni di lor nazione, parlan dei Greci con tanto livore. Erchemperto li dice somiglianti ai bruti nelle usanze, e bruti al tutto nell'animo; Cristiani di nome; peggiori di costumi che gli Agareni; masnadieri, che andavano rubando i miseri abitatori, per tenerli come schiavi e schiave, farne traffico coi Saraceni, o mandarli qua e a vendere in stranie terre786. La Cronica di San Benedetto, con parole non meno aspre, tocca la insolenza loro, le continue violenze; le donne rapite in faccia ai mariti, il rispondere a schiaffi e nerbate a chi si lagnasse della ingiuria787. Alla frequenza delle offese private si aggiugneano la rapacità dei governanti, il peculato, le tasse aggravate, le angherie col pretesto di armamenti, e mille altri soprusi dei quali ci avverrà far menzione. Indi si comprende perchè, nelle Calabrie e nelle parti orientali della Puglia, la dominazione bizantina sia stata sempre sì precaria, e sia caduta al primo crollo che le diedero i Normanni. Lo interesse comune poi dei principi e dei popoli le vietò di allignare nelle altre province dell'odierno reame di Napoli, delle quali or tratteremo, tornando indietro nell'ordine dei tempi.

S'accese quivi la guerra per le provocazioni di Giovanni Ottavo, come sopra si accennò. Adriano, un secolo innanzi, s'era provato a stender la mano sopra Napoli e tutto lo Stato di Benevento788. Giovanni ridestò la pretensione pontificale sopra Capua, quand'ei mercanteggiò la corona imperiale a Carlo il Calvo; e Carlo, al quale quella città nulla costava, ne rinnovò la concessione789. Che il papa l'abbia richiesto a fin di usarla e non di riporre un'altra pergamena negli archivii, lo provano direttamente gli atti di signoria feudale esercitati pochi anni appresso: le scritture pubbliche, cioè, intitolate, e la moneta battuta a Capua in suo nome790; la repubblica di Gaeta, fatta feudo del conte di Capua, quand'ella si calò all'autorità temporale della Santa Sede. Per arrivare allo scopo, Giovanni usò le divisioni interiori degli Stati meridionali e le nimistà tra l'uno e l'altro; onde avvenne che accostandosi a lui una parte, la parte avversa si gittò coi Musulmani, e aiutolli a loro scorrerie contro il papa. E ciò notaron bene i contemporanei; leggendosi in Erchemperto che Bertario, abate di Monte Cassino, e il vescovo di Teano, si faceano ad ammonire Giovanni Ottavo che non soffiasse nelle discordie civili di Capua, poichè il fuoco di quelle potrebbe arrivare un infino a Roma791. Le quali parole Erchemperto riferisce al tempo che si bipartì la diocesi capuana, cioè all'ottocento ottantuno; ma s'adattano piuttosto all'ottocento settantacinque, quando il fuoco stava per appigliarsi.

Tali essendo le disposizioni degli animi verso il tempo che Carlo il Calvo prese la corona a Roma, si venne alle armi, com'e' pare, nella state del settantasei. Sia che qualche corsale musulmano, riparando nei porti di Napoli, Amalfi e Gaeta, fossene uscito a far ladronecci alla volta d'Ostia792; sia che quelle repubbliche e il principato di Salerno avessero soltanto fermato la lega coi Musulmani, il papa con l'uno o l'altro pretesto volle far atto d'autorità, ingiungendo a quegli Stati di sciorre il patto: che tornava a dire disarmarsi, mentre egli da un lato e Basilio Macedone dall'altro si apprestavano a spogliarli. Risposero con aperti atti di ostilità. L'origine della guerra non si può comprendere in altro modo; poichè assurdo sarebbe a pensare che quegli Stati fossero entrati in legapericolosa per mera cupidigia di preda. Assurdo alsì che l'avessero fatto per paura dei Musulmani, i quali appena bastavano a difendere stessi in Calabria, non che sforzare altrui, a mezza costiera dal Tirreno.

Dalle querele del papa si ritrae ch'essi risalivano in barche il Tevere; indi a piè o a cavallo correano la odierna legazione di Velletri; osavano mostrarsi alcuna volta sotto le mura di Roma; varcato il Teverone, depredavano la Sabina. «Corron la terra come locuste, scrivea Giovanni, ed a narrare i guasti loro sarebbero mestieri tante lingue quante foglie hanno gli alberi di questi paesi. Le campagne son fatte deserti, albergo di belve; rovinate le chiese; uccisi o imprigionati i sacerdoti; menate in cattività le suore; abbandonate le ville e castella; rifuggiti i miseri abitatori a Roma; e sì la ingombrano, che i monasteri della città non bastano a nudrirli. Il senato ha dato fondo al suo avere; io non dormo mangio per la sollecitudine: - e tra non guariaggiunse egli in una lettera del nove settembre ottocento settantasei, «tra non guari, verranno ad assalirci in Roma; poichè stanno armando cento legni e quindici navi da traghettare cavalli.» Così Giovanni Ottavo lamentavasi a Bosone vicario imperiale in Italia, poi a Carlo il Calvo, alla imperatrice, ai vescovi possenti in corte, tra il primo di settembre ottocento settantasei e la fine di maggio del settantasette, per messaggi e continue lettere, sì poco svariate nella narrazione, sì monotone nelle metafore, che sembrano stampate sopra un solo studiato modello793. Diversa è bensì una epistola che il papa indirizzava a Gregorio, capitano bizantino in Italia, a' diciassette aprile del settantasette, che è a dire nel bel mezzo di due lamentazioni della forma che accennai, mandate a corte di Carlo il Calvo, il primo marzo e il venticinque maggio. Nella epistola a Gregorio, il papa disinvolto il pregava che mandasse dieci salandre nel porto d'Ostia, «per tenere a segno certi ladroncelli agareni, che occultamente venivano a rubacchiare lo Stato della Chiesa, non potendo, sì com'era noto a Gregorio, depredare apertamente.» Così Giovanni Ottavo ci insegna a far la tara a quegli spaventevoli racconti composti ad uso dei devoti di Francia e Allemagna. Parlando ai capitani di Basilio Macedone, ch'eran bizantini e vicini, non si potean dire tante bugie.

D'altronde, l'intento del papa sopra gli uni e sopra gli altri era diverso. Dai Bizantini non altro richiedeva che esser difeso contro i corsali; e maggiori forze gli sarebbero state a noia, come trasparisce dalle fredde e forzate parole che aggiugneva alla lettera citata, per mostrare a Gregorio di rallegrarsi che Basilio imperatore, figliuol suo carissimo, intendesse mandare un altro esercito e un'altra armata nello Stato di Benevento. Ai Franchi, per contrario, domandava eserciti e poi eserciti, e che lo imperatore venisse in persona a liberarlo, non solo dagli Agareni, figli di concubina, ma sì dai Cristiani, falsi figliuoli di Sara, i quali lo molestavan al pari e peggio; ciò che in lingua volgare significava bramar che i feudatarii dell'Italia di sopra, e un po' anco di Francia, trottassero verso il Garigliano e il Volturno, per allargare lo Stato della Chiesa. Ma Carlo il Calvo non potè e non volle. Gli diè in tutto le milizie del ducato di Spoleto, condotte dai conti Lamberto e Guido, vicini del papa, e però nemici. Con esso loro, nei primi di novembre ottocento settantasei, mosse Giovanni alla volta di Capua e Napoli; pretendendo venire a sciogliere l'empia lega794. tardò a tirar a il principe di Salerno, il quale prestandogli mano sperava ingrandirsi a scapito degli altri Stati.

Sergio duca di Napoli tentennò, adescato dal papa con belle parole e con far vescovo della città Atanasio, fratello del duca; ma poi si rassodò nell'amistà musulmana, confortandolo il principe di Benevento, e, quel che più è, Lamberto di Spoleto ch'era venuto a Napoli come sgherro del papa. Giovanni dunque, non potendo sforzare, scomunicò Sergio; gli lasciò in seno Atanasio, serpente velenoso; e pien di dispetto se ne tornò a Roma. Dopo le quali pratiche infruttuose la guerra incrudì. Napoli assaliva il principe di Salerno, mancatore alla lega. Questi, per mostrare zelo ai novelli amici, faceva uccidere un buon numero di Musulmani; e poi, cadutigli nelle mani venticinque cavalieri napoletani, lor troncò la testa, dice Erchemperto, per espresso volere del papa795.

Nondimeno, la tiepidezza di Carlo il Calvo, la nimistà del conte di Spoleto, la pertinacia delle repubbliche, non spuntavano Giovanni Ottavo dai suoi proponimenti. Quei cittadini, collegati per necessità politica col nemico della Fede, eran pure cristiani, cattolici e superstiziosi quanto apparteneasi a' loro tempi; e, se nel decimonono secolo il papa pontefice tien su il papa re, non fia maraviglia che nel secol nono i Napoletani, gli Amalfitani, i Gaetani oscillassero tra due paure: fossero disposti talvolta a lasciar la terra al successore di San Pietro, purchè lor procacciasse un cantuccio su in cielo. Indi prestarono ascolto a Giovanni Ottavo, nimichevole e ambizioso e perfido quanto lo conosceano. Indi egli nella state del settantasette ripigliò agevolmente le negoziazioni: fe' lampeggiare agli occhi dell'uno nuove folgori di scomuniche, agli occhi dell'altro l'oro d'uno stipendio; ad altri disse, mettendo da canto ogni pudore, ch'ei gli farebbe o tutto il bene o tutto il male ch'ei sapesse: mai capo di parte, fiero ed astuto, non operò con maggiore veemenza che Giovanni Ottavo in questo tempo. Tentando l'Italia settentrionale, invitò a un sinodo a Ravenna i vescovi e signori del reame, per ovviare, diceva egli, ai pericoli della Chiesa lacerata dagli Infedeli e dai mali Cristiani; ma non ostanti le minacciate scomuniche, niuno andò a questa dieta politica, ove il papa volea prendere il luogo dello imperatore: sì ch'egli fu necessitato a differirla, e poi a trattarvi soltanto di disciplina ecclesiastica796. Nell'Italia meridionale le pratiche, più vive, aiutate dalle intestine discordie, e, com'ei parmi, dalla riputazione delle armi bizantine, portarono il papa accosto assai al suo intento. Quasi protettore o presidente di quel piccioli Stati, tra marzo e aprile del settantasette, ordinava che il vescovo conte di Capua, e i reggitori di Gaeta, Napoli e Amalfi si adunassero a Gaeta, preseduti da due cardinali legati, per trattare lo scioglimento del patto coi Musulmani. Differito il congresso a Traietto, andovvi il papa in persona col principe di Salerno, del mese di luglio: e il risultamento fu un trattato del papa con Amalfi; e una congiura a Napoli797.

Il trattato portò che gli Amalfitani, rinunziando all'amistà dei Napoletani e Musulmani, servissero il papa con forze navali; guardassero le costiere da Traietto a Civitavecchia, spesati da lui di diecimila mancusi d'argento all'anno798. La congiura a Napoli scoppiò sul fin d'ottobre o principio di novembre. Atanasio vescovo prese il proprio fratello Sergio; si fe' duca in luogo di lui, e mandollo al Santo Padre a Roma; ove Sergio fu accecato, e poco appresso morì in prigione. Il papa, complice ed istigatore, liberalmente volle pagare ad Atanasio le spese della congiura; e, non trovandosi in pronto tutta la moneta, per iscritto gli si dichiarò debitore del rimanente, ch'erano mille e quattrocento mancusi. Con ciò, in linguaggio scritturale, solennemente ei lodava Atanasio del coraggio con che s'era fatto amputare un membro cancrenito del proprio corpo; dell'ardire con che avea liberato il mondo da un nuovo Oloferne, tiranno del popolo e persecutore di Santa Chiesa799.

Tra così fatti trionfi del vicario di Cristo, morto Carlo il Calvo (ottobre 877), ed eletto re d'Italia Carlomanno, il papa si messe a fargli patti per la corona imperiale, e la offriva anco a Lodovico il Balbo, succeduto nel regno di Francia: con che tiravasi addosso Adalberto, marchese di Toscana, e Lamberto, conte di Spoleto, fautori di Carlomanno. Lamberto veniva a insultare il papa a Roma; a suscitare i suoi nemici; e tra le altre cose, Giovanni lo accusò, di febbraio ottocento settantotto, d'aver mandato messaggi e doni a Taranto, per farne venire «falangi di AgareniStrigatosi poscia da lui e scomunicatolo, se n'andò in Francia a mercanteggiare dell'impero con altri due o tre principi800. E pria di questo, come ei pare, nel mese di aprile del settantotto, fe' tregua coi Musulmani, pagando taglia di venticinquemila mancusi di argento801. Allora le repubbliche di Napoli e di Amalfi, non volendo esser più papaline del papa, tornarono anch'esse alla pace coi Musulmani, confacente ai proprii interessi commerciali e politici. Ebbe fine così, con meritata vergogna di Giovanni, il primo periodo della guerra.

Il biasimo del secondo periodo va diviso tra Giovanni Ottavo e Atanasio vescovo di Napoli, che ambì alla sua volta di allargare i confini di quella repubblica. Trapassato (12 marzo 879) il vescovo di Capua, i feudi della contea erano stati divisi tra quattro nipoti di lui, dei quali uno ebbe anco il titolo di conte di Capua802; e, quasi ciò non bastasse ad alimentare la discordia, sursero dalla medesima famiglia due vescovi, tra i quali indi a poco si spartì la diocesi. Gli sciagurati cugini, volendo spogliare l'un l'altro, chiamarono i vicini, Salerno, Benevento e Napoli; Napoli fe' entrar nel gioco i Musulmani; e Giovanni Ottavo vi saltò in mezzo di gran volontà, sendo tornato in Italia senza ultimare la scelta dello Imperatore. Andato in persona a Capua, colse il destro di esercitare la pretesa signoria, con favorire Pandonolfo, conte di nome, il quale, per divenirlo di fatto, assentiva a dirsi vassallo della Santa Sede803. Così ridestaronsi le ire e i sospetti delle tre repubbliche contro il papa. Chiudendo gli occhi quei fieri marinai, i Musulmani, che di marzo settantanove avean preso a infestare i dominii di Pandonolfo804, in maggio e in giugno si mostravano nello Stato Romano; o almeno così scrivea papa Giovanni a Carlo il Grosso, a Carlomanno e a Lodovico il Balbo, sollecitando invano or l'uno or l'altro a venire con gli eserciti a Roma805. Con ciò ripigliava sue pratiche appo le tre repubbliche, per isforzarle a disdir di nuovo il patto coi Musulmani. Ad Amalfi anco ridomandava il denaro fornito nel settantasette; il quale non ottenendo, scomunicava la città, del mese di ottobre806: e perchè tal'arte non valse, tornando alle lusinghe, offriva di pagare e fin d'accrescere lo stipendio, e francar di gabelle i mercatanti amalfitani che venissero a Ostia807. Gaeta, che dopo alquanta resistenza ubbidì, n'ebbe in merito la perdita di sue libertà, e la rovina del commercio; volendo il papa che riconoscesse come signore il conte di Capua, supposto gran vassallo della Santa Sede; e facendosi il conte a guastare il territorio e offendere i cittadini, perchè riluttavano al nuovo giogo808. Napoli diè maggior travaglio, come assai più forte, e governata da Atanasio, che ne sapea quanto il papa. Schivati i pericolosi abboccamenti a che questi il volea tirare, Atanasio temporeggiò con messaggi (aprile 879), e fin si fe' ringraziar del suo buon volere809. Il papa poi, accortosi dello errore, venne alle armi corte: scrisse al vescovo che gli farebbe provare a un tempo la spada invisibile e la spada visibile810. Infatti, ei promosse o usò l'andata di un'armata bizantina nel golfo di Napoli; la quale vi ruppe i Musulmani in ottobre o novembre ottocento settantanove. Non guari dopo (19 novembre 879) il papa invitava i capitani ad andare a pigliarsi a Roma ringraziamenti e benedizioni, così leggiamo nella epistola, e pregavali intanto di mandare dromoni verso Ostia811. E si strinse vieppiù con Basilio, assentendo, il medesimo anno, al concilio di Costantinopoli che riconobbe Fozio patriarca812. Indi il pericolo della repubblica di Napoli evidentemente si aggravò.

Ciò fu cagione ad accrescere le forze dei Musulmani in quelle parti. In luogo dei corsali che ad ora ad ora entravano nel porto di Napoli, Atanasio chiamò un'intera oste di Musulmani, dandole forse le spese del viaggio, certamente stanza e occasione di far preda. Surse per tal modo tra le mura della città e il Sebeto (880) un campo musulmano, vero ribât o kairewân, dal quale uscian le gualdane addosso ai nemici del vescovo di Napoli; costui poteva vietare che spogliassero anco gli amici. Guastarono lo Stato di Capua, i confini di quei di Salerno, Benevento, Spoleto813 e la campagna di Roma: monasteri, chiese, città, borghi, villaggi, monti, colline, isole, dice Erchemperto, furono saccheggiate a un paro814. Sovente in loro correrie i Musulmani faceano stanza ad alcun luogo forte, ch'indi divenia novello centro d'infestagione. Così poneansi (880) alla Cetara, luogo marittimo tra Salerno e Amalfi, e sforzavano i Salernitani ad uno accordo; i quali poi a tradimento li assalirono, credendoli sprovveduti: ma i Musulmani uscirono alla zuffa, recando nella prima fila in punta d'una lancia il trattato violato dai nemici, e rupperli con molta strage; dettero il guasto al paese, e fino osarono porre l'assedio a Salerno, donde poi furono cacciati per avere pochissime forze815. Così anche uno stuolo si afforzò a Sepiano tra Boiano e Telese: contro il quale invano mosse Guido Terzo, novello duca di Spoleto e di Camerino; sì che fu costretto a far pace coi Musulmani, dati reciprocamente statichi per la osservanza816. Nel medesimo tempo, altra schiera musulmana, con milizie di Napoli e Gaeta, andava ad assalire Castel Pilano nella contea di Capua, e n'era respinta. L'anno appresso (881), Musulmani e Napoletani e partigiani di Pandonolfo, chè sovente scambiavan parte quegli arrabbiati cugini di Capua e gli amici d'oggi diveniano nemici domani, mossero insieme alla volta di Capua; posero l'assedio all'anfiteatro, che si guardava come fortezza. Nello stesso anno ottocento ottantuno, il papa andò di nuovo a Capua, a comporre o raccendere le liti817; e, partendo in due la diocesi, consagrò vescovo un Landolfo, fratello di Pandonolfo, nella chiesa di San Pietro, che di a poco fu arsa dai Musulmani mandativi da Atanasio818. E con ciò porrò fine alle cose di Capua, ove tutti i piccoli Stati dei contorni, tutti i potentati vicini o lontani, feudatarii franchi di Spoleto, condottieri bizantini, Musulmani di Sicilia, vescovi, conti, pretendenti e il papa con essi, si avvolsero per tanti anni in un brutto laberinto di violenze e perfidie.

In questo mezzo, il papa, vergognando che il vescovo di Napoli lo avesse tenuto a bada per due anni, adunato un sinodo a Roma, del mese di marzo ottocento ottantuno, pronunziò contro Atanasio l'anatema, preludio, come ognun sa, della scomunica. Notevol è in quest'atto che il papa affermava avere profferto danari ad Atanasio, perchè spezzasse il patto coi Musulmani; e aver quegli amato meglio la parte che gli davano del bottino819. Ma il vescovo, niente sbigottito, spacciati suoi segretarii in Sicilia, fe' venire più forte stuolo di Musulmani; i quali con Sichaimo loro re, dice Erchemperto, forse Soheim condottiero di tribù o masnada, si accamparono alle falde occidentali del Vesuvio. La tradizione serbovvi memoria di loro per lunghissimo tempo; e n'avea ben donde: poichè, posando dalle scorrerie lontane, solean prendere sollazzo nei contorni, sì che non vi lasciarono armi cavalli giovanette, che non portassero al campo820.

La quale insolenza, non meno che gli anatemi del papa, scrive l'autore contemporaneo, sospinse Atanasio a disfarsi di cotesti ausiliarii821. Giovanni Ottavo, che già vedea i Musulmani presso Roma, o il temeva822, incalzò sue minacce, proponendo ad Atanasio, in prezzo della benedizione, ch'ei facesse scannare a suo potere i gregarii musulmani, pigliare a tradimento certi condottieri, di cui dava i nomi, e consegnarli ai legati pontificii, i quali avrebbero cura di mandarli a Roma823. Il vescovo di Napoli, avvezzo alle perfidie, assentì. Indettatosi con Salerno, Capua e altre città, con tutte le forze che poterono adunare, dettero addosso improvvisamente ai Musulmani; li cacciarono del golfo di Napoli; non però da Agropoli presso Salerno, ove que' valorosi, difendendosi, si ridussero824. Seguía questo evento, com'ei pare, nell'autunno dell'ottocento ottantadue. Giovanni avealo procacciato con tutte le forze dell'animo suo; e, si può dire, stando sempre con le armi alla mano contro i Musulmani, com'ei figuratamente scrivea ad Alfonso Terzo, re delle Asturie, richiedendogli una torma di cavalieri moreschi, probabilmente apostati dell'islamismo, detti con voce arabica Fâres825. Ma quand'ebbe conseguito lo scopo a Napoli e potea correre innanzi al compimento degli altri disegni, il papa morì avvelenato da' suoi famigliari, il quindici dicembre dell'ottantadue. Atanasio, suo discepolo e rivale nelle arti di regno, gli sopravvisse sedici anni: si provò in vece del papa ad assoggettare lo Stato di Capua; fallì in questo come Giovanni Ottavo; e alfine, dopo tanti misfatti, trapassò, cred'io, in odore di santità, ricordandosi di lui che a forza di digiuni ed esorcismi sgomberasse il territorio di Napoli dalle cavallette826.

Durarono alsì oltre la vita di Giovanni Ottavo i mali ch'egli avea suscitato. L'attentato suo contro la libertà di Gaeta avea spinto Docibile, primo magistrato della repubblica, a richiedere di aiuto i Musulmani; i quali venendo lungo la marina infino al lago di Fondi, s'eran accampati su i colli Formiani, come li chiama Leone d'Ostia, presso Itri; donde minacciavano il territorio di Roma. Sbigottito a ciò, Giovanni Ottavo, mostrando di pentirsi, aveva accarezzato i cittadini di Gaeta; pregatoli a disdire l'accordo: e i semplici Gaetini aveano ubbidito, affrontando doppio pericolo; l'ambizione cioè del papa, e l'ira degli ingiuriati Musulmani. La morte di Giovanni li campò del primo. Nella guerra contro i Musulmani patirono uccisioni e cattività; e alfine furono sforzati a rifare lo accordo, concedendo al nemico di stanziare un po' più discosto dagli Stati papali, su certi colli che s'innalzano non lungi da Traietto dalla parte del Garigliano, e portavano lo stesso nome della riviera. Questa fu l'origine della temuta colonia musulmana del Garigliano827.

La quale per più di trent'anni, flagello sopra flagello, afflisse la Terra di Lavoro, battuta anco dalle guerre civili: sì che il suolo abbandonato dagli agricoltori, divenne foresta di pruni e sterpi, al dire di Erchemperto, che il vedea con gli occhi proprii828. Dei particolari di tanto strazio altro non ci si narra che la distruzione di ricchi monasteri; perchè i frati cronisti poco si curavano del rimanente; perchè le proprietà laiche erano state desolate già assai prima dai Cristiani; e perchè i monasteri aveano possessioni più vaste che niun signore. Quello di San Vincenzo in Volturno, così detto dal sito presso la scaturigine del fiume, in diocesi d'Isernia, fu assalito dai Musulmani, com'ei pare, l'ottocento ottantadue, mentre stanziavano tuttavia nel golfo di Napoli; e il saccheggiarono e arsero, con uccisione, dicesi, di parecchie centinaia di frati, i quali in parte morirono con le armi alla mano829. Più lamentevole nei ricordi della civiltà il fato del monastero di Monte Cassino: celebre per la santità dello istitutore, l'antichità della fondazione, le sterminate ricchezze, l'autorità feudale che esercitò, la pietà, la prudenza, e, secondo i tempi, anco la dottrina dei frati suoi, ai quali si debbono croniche e biografie del medio evo, ed esemplari di molti scrittori dell'antichità. Al par che il monastero del Volturno, quel di Monte Cassino era stato più volte minacciato e taglieggiato nella prima guerra dei Musulmani. Venne adesso dal Garigliano la feroce masnada, che il disertò, l'anno ottocento ottantatrè, in due assalti; l'uno di settembre, l'altro di novembre: e furon arsi e rovinati gli edifizii, e scannato su l'altare lo abate Bertario, dicono le croniche del duodecimo secolo, ancorchè i contemporanei non ne facciano motto. Il monastero tosto rinacque dalle rovine; più splendido, più ricco, più orgoglioso; cinto di fortificazioni; sede di un abate feudatario o sovrano; capitale di uno Stato confinante col pontificio830. Tra queste ed altre simili devastazioni passarono tre anni fino all'ottantacinque. Intanto, tornato il vescovo di Napoli e anco il principe di Salerno a richiedere i Musulmani, costoro, allettati dal bottino, dimenticavano le passate tradigioni: una schiera, seguendo Atanasio e Guaiferio, stette a campo all'anfiteatro di Capua. Poscia, venuto un principe di schiatta aghlabita a domandare rinforzi per le colonie musulmane di Calabria, trasse gran gente di Agropoli e di Garigliano, e condusseli a Santa Severina831, ove Niceforo Foca ne fe' macello, come abbiam detto.

D'allora in poi quei due campi, scemati di possanza e di riputazione, recarono minor male al paese. Atanasio ora spingea qualche schiera di Agropoli a danno del principe di Salerno che si mantenne con aiuti bizantini832; or mandava i Musulmani a osteggiare Capua833. La repubblica di Gaeta ne ritenne ai suoi soldi cencinquanta; dei quali la più parte, andata con temeraria fazione a Teano contro duemila e cinquecento uomini capitanati da Landone834, fu tagliata a pezzi, campando sol cinque persone835. Guido duca di Spoleto assalì una volta il campo di Garigliano; ruppe una schiera ch'erane uscita a combattere836; poi, congiunto ad Atenolfo837, marciando da Spoleto a Capua, trovò alle Forche Caudine un Arran, fierissimo condottiero musulmano, con trecento soldati, e tutti li passò al taglio della spada (887). Morto Carlo il Calvo, e andato Guido in Lombardia (888), i Musulmani alla lor volta saccheggiavano il Ducato di Spoleto838. Un'altra schiera, superati in uno scontro i Capuani, difilata ne andò sopra il monastero di San Martino in Marsico; ma trovò l'abate e i monaci in arme e a cavallo; fu respinta da loro, e poi sterminata dalle milizie di Atenolfo e Landolfo839. Pochi anni appresso, veggiamo i Musulmani, padroni di Teano, respingere lo stratego bizantino Teofilatto, venuto da Bari840. Veggiamo un'altra gualdana del Garigliano assediare il castel di Rocca Monte presso Nocera; e già ridurlo, per difetto di acque, quando una pioggia rinfrancò il presidio, il di San Vito, non sappiam di quale anno841. L'ottocento ottantotto, Napoletani, Bizantini, e Musulmani erano spinti di nuovo da Atanasio sopra Capua: contro i quali uscito Atenolfo con le forze ausiliari di Aione principe di Benevento e con un'altra schiera di Musulmani, si combattè a Santo Carzio in quel d'Aversa; tra i Cristiani soli bensì, poichè i seguaci di Maometto dall'una e dall'altra parte si stettero842. Non andò guari che fatta una pace da Atanasio con Capua, uniti insieme tutt'i condottieri musulmani assalivano a un tempo gli Stati di Napoli e di Salerno; uno stuolo loro, rotto da Guaiferio presso Nocera, parte mettea giù le armi, parte si disperdea tra le selve; un altro insieme coi Capuani andava a dare il guasto al territorio di Napoli843. Chiamati poscia da Aione, che s'era spiccato dai Greci, andarono con esso a far levare l'assedio di Bari, ma furono rotti dal patrizio Costantino844.

Dalle quali fazioni è manifesta la condizione dei Musulmani in quelle parti: masnade di rubatori, che faceano, quando occorrea, da compagnie di ventura; e, quando stringeva il pericolo, s'annidavano ad Agropoli e al Garigliano. Par che tra loro non mancasse chi si diè al traffico, o esercitò due mestieri ad un tempo, ladrone e mercatante; ritraendosi come in Salerno una volta si sospettò che i Musulmani accorsi in grandissimo numero sotto specie di pace, disegnassero qualche mal tiro; se non che furono vegliati, e poi vietato loro di entrare con armi in città845. Tra così fatti commercii e l'usare con le milizie di quegli Stati cristiani, con le quali andavano in guerra e per conseguenza spartivano il bottino, i Musulmani si addimesticarono nel paese. Quel rifiuto d'Affrica e di Sicilia, a dir vero, non avea parti d'incivilimento da comunicare altrui; pure arrecava qualche usanza; promovea, poco o molto, la influenza arabica che si vide a Salerno e altrove nel decimo e undecimo secolo. Spicciolati, menomati, assuefatti ad una certa dipendenza dai Cristiani, e, sopra tutto, privi di aiuti della madre patria, rimaneano come piaga inveterata ch'uom più non pensi a curare; alcuno li potea temere conquistatori, fino al passaggio di Ibrahîm-ibn-Ahmed, del quale innanzi si dirà.

 

 

 





771  Questo fatto è riferito dal solo Nowairi, nella Conquête d'Afrique, ec., pubblicata da M. De Slane, in appendice alla Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, tomo I, p. 428. Quivi, dopo il supplizio dello hâgib Ibn-Semsâma, si legge: «L'officier qui le remplaça, et qui se nommait El-Hacen-ibn-Naked, avait exercé d'autres charges, dont l'une était le gouvernement de l'île de SicileMa il testo arabico veramente dice: E pose in sua vece Hasan-ibn-Nâkid, e unì in persona di costui parecchi oficii, tra i quali lo emirato di Sicilia.» La frase che rendo "unì in persona di costui" non lascia luogo a dubbio; poichè si compone del verbo dhâf alla quarta forma, costruito con la preposizione ila; onde significa "aggregare, congiungere." Al par di me lo aveva interpretato M. Des Vergers, dando questo squarcio in nota a Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 130. M. De Slane, ch'è padrone della lingua arabica e che spesso è necessitato a correggere le espressioni inesatte di quegli scrittori, si è ingannato nel presente caso da uomo erudito; sapendo che non si poteano esercitare a un tempo un oficio in Affrica e il governo di Sicilia. Ma in questo appunto consistea lo abuso di autorità narrato dal Nowairi, o piuttosto da alcun antico cronista ch'ei copiava. Egli è evidente che Ibrahim-ibn-Ahmed voleva accentrare l'autorità in persona del suo primo ministro; al quale dava la missione di domare la rivoluzione scoppiata in Affrica, e sempre desta in Sicilia.



772  Chronic. Cantabrigiense, l. c. Leggiamo qui la data del 6404 ( settembre 895 a 31 agosto 896), e nel Baiân, tomo I, p. 123, del 282 ( marzo 885 a 17 febbraio 896). Così il fatto è limitato ai sei mesi che corsero dal settembre al 17 febbraio.



773  Johannes Diaconus, Translatio Sancti Severini, presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 60; e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 269.



774  Baiân, tomo I, p. 125, anno 282.



775  Severino Bini, in un'annotazione alla vita di Giovanni VIII, presso il Labbe, Sacrosancta Concilia, tomo IX, p. 2, riprende con tal motto il papa del favore dato a Carlo il Calvo; e con teologica baldanza afferma che Iddio nel punì, facendogli pagar tributo ai Saraceni. Come se il tributo si fosse pagato col sangue del papa, non col danaro dei popoli!



776  Annales Ecclesiastici, anno 879.



777  Confrontinsi: Erchemperti Historia, cap. XXXV e XXXVIII; Anonymi Salernitani Chronicon, cap. CXXXI del Pratilli; Johannis Diaconi Chronicon Venetum, presso Pertz, Scriptores, tomo VII, p. 20; Andreæ Presbyteri Bergomatensis Chronicon, presso Pertz, Scriptores, tomo III, p. 237; Chronicon Vulturnense, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 403.



778  Confrontinsi Erchemperti Historia, cap. XXXVIII, XXXIX; Anonymi Salernitani Chronicon, cap. CXXXI del Pratilli, la qual cronica in questo e nei tempi vicini è copia di Erchemperto; Chronicon Vulturnense, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 403, che poco ne differisce; Lupi Protospatharii Chronicon, anno 875; Chronicon Sanctæ Sophiæ Beneventi, anno 875.



779  Theophanes continuatus, lib. V, cap. LVIII. Altrove ho notato che, alla fine dei fatti d'Occidente, in questo tempo, lo autore confessa la incertezza della cronologia, e, avrebbe dovuto aggiungere, anche dei particolari. Ei narra quel generoso sacrifizio dell'ambasciatore in modo da non sapersi se si debba riferire a un assedio di Capua o di Benevento; ma piuttosto parmi si tratti di altro castello, il cui nome sfuggì al compilatore.



780  Theophanes continuatus, lib. V, cap. LXV.



781  Confrontinsi: Theophanes continuatus, lib. V, cap. LXVI; Lupi Protospatharii, Chronicon, anno 880; Chronicon Barense, anno 880. Secondo questa cronica, che Lupo ha copiato, i Musulmani «uscirono di Taranto si parla di prigioni.



782  Theophanes continuatus, l. c.



783  Theophanes continuatus, lib. V, cap. LXXI.



784  Confrontinsi: Theophanes continuatus, l. c.; Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 161 verso; e MS. di Bibars, fog. 85 verso, anno 272; e Baiân, tomo I, p. 113. La cronologia dei Musulmani risponde esattamente al tempo assegnato da' Bizantini cioè gli ultimi anni della vita di Basilio. I nomi anco si riconoscono agevolmente: Ingifûr presso Ibn-el-Athîr, e M h fûr nel Baiân, per Niceforo; o, secondo la pronunzia greca, Nikifóro (Νικηφόρος); S b z na, per Severina; e, per Amantea, M f nlia, che, correggendovi i punti diacritici, si può leggere benissimo Mantîia. Debbo avvertire che questo capitoletto di Ibn-el-Athîr, cavato dal MS. A, è stato pubblicato da M. Des Vergers, in nota ad Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 136.



785  Theophanes continuatus, l. c.



786  Cedrenus, vol. II, p. 354. Si allude alla moderazione civile di Niceforo nella Tattica dell'imperatore Leone, testo greco e versione latina, § 38, p. 742, e versione francese del Maizeroi, parte II, p. 16.



787  Leonis Imperatoris Tactica, l. c.



788  Ibn-el-Athîr lo chiama così due volte che parla di lui nei capitoli degli avvenimenti diversi, del 268 e del 270. MS. A, tomo II, fog. 123 verso, e 128 verso, e MS. C, tomo IV, fog. 259 recto.



789  Theophanes continuatus, lib. V, cap. XI e LXXV.



790  Erchemperti Historia, cap. LXXXI.



791  Chronica Sancti Benedicti, presso Pertz, Scriptores, tomo III, p. 203. Questo capitolo è di quelli che gli editori alemanni hanno aggiunto al testo pubblicato dal Pellegrino e dal Pratilli; aggiunte cavate da un MS. Vaticano.



792  Veggasi Lib. I, cap. VIII, p. 187, seg.



793  Giovanni VIII scrivea a Landolfo vescovo di Capua, com'e' pare in settembre 876, essere stata a lui commessa particolarmente quella terra dallo imperatore; presso Labbe, Sacrosancta Concilia, tomo IX, p. 8, epistola IX. Eutropio, prete lombardo vivuto un secolo appresso, pretese aggiungere alla dominazione di Capua la sovranità temporale di Roma, il Sannio, le Calabrie, il Ducato di Benevento, e Arezzo e Chiusi in Toscana. Veggasi Saint-Marc, Abrégé chronologique de l'Histoire d'Italie, a. 875.



794  Erchemperti Historia, cap. XLVII.



795  Erchemperti Historia, cap. XLVII.



796  Ciò si potrebbe inferire dalle parole di Erchemperto, cap. XXXIX, «che Salerno, Napoli, Gaeta e Amalfi, sendo in pace coi Saraceni, gravemente affliggevano Roma con le scorrerie marittime; onde Carlo il Calvo, presa la corona dello impero, diè in aiuto al papa Lamberto e Guido di Spoleto, co' quali il papa andò a Capua e a Napoli.» Ma Erchemperto suol confondere sempre l'ordine dei tempi; e qui par che lo confonda, ritraendosi che Carlo fu coronato imperatore a Roma il 25 dicembre 875, e sapendosi dalle epistole di Giovanni VIII, citate nel séguito del presente capitolo, che i Musulmani infestavano la Campagna di Roma nella state dell'876, e che il papa andò a Capua e Napoli in novembre del medesimo anno. Perciò è probabile che le incursioni verso Ostia fossero incominciate lo stesso anno 876, anzichè il precedente



797  Veggansi le epistole di Giovanni VIII, dal I al XXXV, presso il Labbe, Sacrosancta Concilia, tomo IX, p. 1, seg., e presso il Duchesne, Historiæ Francorum Scriptores, tomo III, appendice, ni I a XIV. Si riscontri Erchemperto, l. c.



798  Secondo il passo d'Erchemperto, già citato a p. 444, nota 3, parrebbe venuto il papa a Napoli e Capua in primavera dell'876 al più tardi. Il Muratori, Annali d'Italia, ha assegnato a quel viaggio la data di gennaio 877, argomentandola dalle parole di Giovanni VIII, il quale a primo febbraio si dolea con Aione vescovo di Benevento che: nostro itineri Neapolim nobis ..... nuper advenientibus non adhæseris. Ma il nuper non si dee pigliare in senso così stretto; poichè si sa da Erchemperto che Salerno si spiccò dai Musulmani dopo la venuta del papa a Napoli; e da una epistola di Giovanni VIII al principe di Salerno, data il 17 novembre 876, si vede esser lui già d'accordo col papa. Perciò parmi di fissare il viaggio alla prima metà di novembre. Ma è da avvertire che cotesti diplomi non danno la certezza che ce ne dovremmo aspettare, poichè non sono in buon ordine cronologico; ad alcuni manca la data del giorno e mese; a tutti quella del luogo; e d'altronde la abituale simulazione di Giovanni VIII guasta sempre l'ordine e la proporzione dei fatti.



799  Erchemperti Historia, cap. XXXIX. La pratica della consagrazione di Atanasio vescovo si ritrae dalle epistole di Giovanni VIII, presso Labbe, Sacrosancta Concilia, tomo IX, ni V e XLI, p. 5 e 35.



800  Epistole LV, LVI, e LVII di Giovanni VIII, e Atti del Sinodo di Ravenna, presso il Labbe, vol. c., p. 45 a 47, e 299 a 304. Il sinodo si tenne in agosto 877, e vi fu presente il papa, come si ricava da un diploma soscritto da lui il sexto kalendas decembris, che il Labbe giustamente corregge septembris.



801  Epistole XXXVI, XXXVIII, XXXIX, XL, LIX, LXIX, presso il Labbe, vol. c., p. 32, seg.



802  Ibidem, epistole LXIX, LXXIV.



803  Epistole LXVI, LXVII, presso il Labbe, 1. c. Confrontinsi: Erchemperti Historia, l. c.; e Anonymi Salernitani Chronicon, cap. CXXXI della edizione del Pratilli.



804  Le lagnanze contro Lamberto si veggano nelle epistole di Giovanni VIII, ni XX, a XXVII, presso Duchesne, Historiæ Francorum Scriptores, tomo III, p. 880, seg.



805  Epistola di Giovanni VIII, LXXXIX, presso Labbe, Sacrosancta Concilia, tomo IX, p. 74.



806  Erano tutti figliuoli dei fratelli del vescovo, per nome: Pandone, Landone I e Landonolfo.

                Pandonolfo, figliuol di Pandone, ebbe il titolo di conte e i feudi di Teano e Caserta;

                Landone, figliuolo di Landone I, ebbe Sessa e Berolais, ossia Capua vecchia;

                Landone, figliuolo di Landonolfo, ebbe Calinio e Caiazzo;

                Atenolfo, figliuolo di Landonolfo, ebbe il feudo di Calvo.

                Veggasi Erchemperto, cap. XL, e la genealogia dei conti di Capua per Camillo Pellegrino.



807  Ciò è attestato da Erchemperto, cap. XLVII; e Leone d'Ostia, lib. I, cap. XLIII, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo IV, p. 316.



808  Si scorge dalla epistola di Giovanni VIII, data il 5 aprile, 12a indizione, presso Labbe, op. c., tomo IX, CLXVIII, p. 109.



809  Ibidem, ni CLXXII, CLXXVIII, CLXXIX, CLXXXVI, CXCVII, CCXVI.



810  Ibidem, ni CCIX, CCXXV, CCXXVII.



811  Ibidem, CCXLII.



812  Leo Ostiensis, lib. I, cap. XLIII, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo IV, p. 316.



813  Epistole CLIX a CLXI di Giovanni VIII, presso il Labbe, vol. c., p. 105 e 106.



814  Ibidem, epistola CCXLI, p. 171.



815  Ibidem, epistola CCXL, p. 171.



816  Baronius, Annales Ecclesiastici, anni 879, 880.



817  I confini di Spoleto arrivavano sino a Sora e al Lago di Celano.



818  Erchemperti Historia, cap. XLIV, copiato dall'Anonimo Salernitano, cap. CXXXVI della edizione del Pratilli. Erchemperto non porta data, ma scrive questo fatto dopo un assedio di Capua che si dee riferire all'880.



819  Anonymi Salernitani Chronicon, cap. CXXXVI, ediz. del Pratilli.



820  Erchemperti Historia, cap. LXXIX; e Anonymi Salernitani Chronicon, cap. CXLVII della edizione del Pratilli. La data si scorge dall'ordine in che questo fatto sta con altri più noti.



821  Erchemperti Historia, cap. XLIV. L'autore non potea dimenticare

         questa data, perchè ei medesimo fu fatto prigione al castel Pilano, preso

                dai Napoletani dopo l'assedio dell'anfiteatro di Capua, il 23 agosto 881.



822  Erchemperti Historia, cap. XLVII.



823  Giovanni VIII, epistole CCLXV e CCLXX, presso il Labbe, vol. c., p. 191, 195; e la seconda anche appo il Baronio, Annales Ecclesiastici, anno 881, § 2.



824  Erchemperti Historia, cap. XLIX, copiato dall'Anonimo Salernitano, cap. CXL, stampato per errore CL, nella edizione del Pratilli. Ritraggo la tradizione popolare dal Caraccioli, il quale ricorda qui il proverbio che si serbava ai suoi tempi: "Quattro sono i luoghi della Saracina: Portici, Cremano, la Torre, e Resina."



825  Erchemperto, l. c.



826  Baronio, Annales Ecclesiastici, anno 882, § 2.



827  Giovanni VIII, epistola CCXCIV, presso il Labbe, vol. c., p. 210; e presso il Baronio, Annales Ecclesiastici, anno 881, § 6.



828  Erchemperti, Historia, cap. XLIX.



829  Baronio, l. c.: aliquantos utiles et optimos Mauriscos cum armis, quos Hispani cavallos alpharaces vocant.



830  Pietro Suddiacono, continuatore di Giovanni Diacono di Napoli, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 316.



831  Leonis Ostiensis, lib. I, cap. XLIII, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo IV, p. 316, 317. Non si sa ond'egli abbia tolto questo racconto, d'altronde verosimile e non sospetto. Non lo cavò certo da Erchemperto, dalla Cronica di San Michele in Volturno, citati per errore dal Wenrich, Commentarii, lib. I, cap. X, § 88. Leone dice espressamente che i Musulmani venissero di Agropoli; il che porterebbe la fermata loro a Itri verso l'autunno dell'882, e quella al Garigliano un poco appresso, forse nell'883, dopo la morte di Giovanni VIII.



832  Erchemperti Historia, cap, LI.



833  Erchemperto, cap. XLIV, e l'Anonimo Salernitano accennano appena l'arsione del monastero; al solito loro, senza data. La Cronica del monastero, pubblicata dal Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 404, seg., racconta, com'è naturale, molti particolari; ma l'autore visse tra la fine del decimo e il principio dell'undecimo secolo; la sua narrazione pare esagerata, almeno nel numero dei frati uccisi, ch'ei porta a 500 o 900; e vi troviamo in due luoghi diversi due diverse date del fatto; cioè a p. 332 l'anno undecimo di Basilio Macedone (878), e a p. 400, l'anno 882, indizione 15a. Si vede dunque che le memorie ch'ebbe alle mani il compilatore, com'ei medesimo confessa, non si accordavano punto. Io mi sono appigliato alla data dell'882, sapendosi che passò poco tempo tra la distruzione di questo monastero e quella di Monte Cassino.



834  Tra le varie date che si assegnano alla distruzione di Monte Cassino, mi sono appigliato a quella dell'883, che risponde alla 2a indizione, notata da Leone d'Ostia; e che d'altronde si legge nell'Anonimo Salernitano, il quale ebbe alle mani al certo buoni esemplari di Erchemperto. La riedificazione ricominciò l'886, secondo Erchemperto, e l'884, secondo l'Anonimo. Si confrontino: Erchemperti Historia, cap. XLIV e LXI; Anonymi Salernitani Chronicon, cap. CXXXVI, e CXLIV della edizione di Pratilli; Chronicon Vulturnense, presso Muratori, Rerum Italica rum Scriptores, tomo I, parte II, p. 405; Leonis Ostiensis Historia, lib. I, cap. XLIV, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo IV, p. 317. Merita d'esser letta a questo proposito un'opera moderna, la Storia della Badia di Monte Cassino, di Don Luigi Tosti, dotto monaco, il quale aggiunge alcuni particolari cavati da una vita manoscritta di Bertario, e li abbellisce con zelo lodevole in lui, e con pulito e dignitoso stile; tomo I, p. 65, seg.



835  Erchemperto, cap. LI.



836  Erchemperto, cap. LIV.



837  Erchemperto, cap. LVI, LVII; Anonimo Salernitano, cap. CXLII, edizione di Pratilli.



838  Veggasi per costui la nota 1, p. 452



839  Erchemperto, cap. LV; Anonimo Salernitano, cap. CXLII, edizione di Pratilli.



840  Erchemperto, cap. LVIII; Anonimo Salernitano, cap. CXLIII, edizione di Pratilli.



841  Veggasi per costui la nota 1, p. 452.



842  Erchemperto, cap. LXXIX.



843  Chronicon Vulturnense, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 407.



844  Erchemperto, cap. LXVI; Anonimo Salernitano, cap. CXLV, ediz. di Pratilli.



845  Anonimo Salernitano, cap. CXLV, edizione di Pratilli.



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