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Prima di seguire la vita del nostro rivoluzionario fino al suo epilogo, al sacrificio generoso di se stesso sull'altare della libertà, all'ultimo martirio, arrestiamoci un istante a considerare la sua opera di pensatore e di filosofo.
Nel 1856, quando lasciò il romitaggio di Albaro, la elaborazione delle sue idee era in certo modo compiuta. Da allora fino alla morte, e non vi fu intervallo che di pochi mesi, tutta la sua energia la dette all'azione, fedele al suo principio che la miglior predicazione si fa con l'esempio, che la miglior propaganda è quella che si fa col fatto. A proposito della propaganda col fatto egli scriveva appunto che «la sola opera che può fare un cittadino per giovare al paese, è quella di cooperare alla rivoluzione materiale.... Il lampo della baionetta di Agesilao Milano fu una propaganda più efficace di mille volumi scritti dai dottrinari.» (Testamento Politico). Seguendo questo suo concetto egli s'avviò al sacrificio.
Per comprendere, ripeto, l'importanza dell'azione di Pisacane, occorre saperne il pensiero. Ed il pensiero suo egli disse sopratutto nelle due opere principali da lui scritte e da noi sopra citate: La guerra combattuta in Italia nel 1848-49, e i Saggi storici-politici-militari.
Di queste due opere, certo gran parte non è più di attualità. Molte cose hanno perduto d'interesse, parecchie sono state smentite da una susseguente esperienza. Com'era naturale, si riscontra in esse una evidente contradizione fra il teorico che vede tempi ancora lontani e l'uomo d'azione costretto a maneggiare armi non sue, ad accettar temporaneamente metodi non approvati. Così, egli nimicissimo delle sètte e delle congiure, dovè congiurare ed insegnare agli altri a congiurare; nemico del militarismo, fu per quasi tutta la sua vita un militare e scrisse opere di guerra e di milizia; nemico d'ogni principio d'autorità, fu autorità egli stesso e capitano d'uomini anco andando a morire; negatore del patriottismo ed internazionalista, combattè tutta la sua vita per la liberazione della patria contro lo straniero.... Ma la contraddizione è più apparente che reale; e fu in ogni modo contraddizione dei tempi, non dell'uomo, causata dal fatto che mentre altre nazioni avevano conquistata l'unità patria e s'erano quindi date ad elaborare le nuove idee del socialismo e di emancipazione del quarto stato, in Italia c'era ancora il terzo stato schiavo, c'era ancora il principio di nazionalità da riaffermare. «Ripassin l'Alpe e tornerem fratelli!» gridava fra un momento e l'altro di paura il buon Manzoni.
E Carlo Pisacane subì l'imposizione dei tempi, mai però lasciando di affermare le sue idee, e, individualmente, mai ad esse facendo oltraggio con la menzogna. Come dice il Colajanni «era, a giudizio di Pisacane, utile, era necessario che si sperimentasse la vanità della ricostituzione della nazione!» E soddisfacendo alla vanità del suo tempo, seppe combattere e morire, insegnando come si sarebbe dovuto combattere e morire per le idee da lui, fra i primissimi in Europa, enunciate in una forma razionale e scientifica.
Queste idee, sparse un po' dappertutto nei suoi libri ed articoli di giornali, sono in special modo condensate ed esposte ampiamente e difese nella terza parte dei suoi Saggi, precisamente in quello che ha per titolo: La rivoluzione.1
Il Saggio sulla rivoluzione ai tempi nostri, in cui in Italia si sente il bisogno di ricorrere agli stranieri per attingerne idee e metodi di lotta, merita di essere additato come il libro in cui sono, alcune adombrate ed altre sviluppate, tutte le idee moderne di filosofia della storia, di socialismo e di rivoluzione sociale. Non che una verità non sia ugualmente tale se importata dall'estero invece che rivelata la prima volta al di qua delle Alpi. Ma a me sembra che sia una cosa molto poco «scientifica» presentare per nuova una teoria già vecchia, e aspettare ch'essa ci venga in forma astrusa non consentanea alla indole del nostro ingegno, tradotta e debitamente condensata e ridotta in pillole dal di fuori, quando in forma migliore e più consentanea alle nostre menti meridionali potremmo apprenderla da un libro di penna italiana, sol che ci affannassimo a scartabellare qualche catalogo delle nostre biblioteche.
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Chi legge il saggio sulla Rivoluzione del Pisacane prova una grande sodisfazione unita a sorpresa, quella sorpresa che faceva gridare di gioia: Eureka! Eureka! ho trovato gli scritti di Pisacane! al nostro Carlo Cafiero, che ritrovava nel libro d'un italiano le idee da lui in parte esposte poco prima nel suo compendio del Capitale di Marx, il primo compendio dell'opera del pensatore tedesco che si sia fatto in Italia.
Infatti, il concetto marxista della massima importanza della questione economica in rapporto alla minima di quella politica, si trova affermato e delucidato in Pisacane allo stesso modo se non più che nei libri di Carlo Marx e dei marxisti. L'interpretazione materialistica della storia è sviluppata (non importa che le parole materialismo storico non vi sieno pronunciate, dal momento che ce n'è l'idea) nel Saggio sulla rivoluzione più che non sia accennata nel celebre Manifesto dei comunisti di Marx e di Engels. Perfino la teoria della concentrazione del capitale, ormai dimostrata inesatta e che ha fatto tanto furore fino a poco tempo fa, e della miseria crescente, è detta da Pisacane in pagine che, afferma il Colajanni, sembrano stralciate da Henry George. Così la stessa modernità di idee in Pisacane si riscontra quando 2 scrive della fatalità delle rivoluzioni, della minima influenza della propaganda delle idee e della massima pressione dei bisogni.
Pisacane, pur professando la massima stima, affetto e rispetto per Giuseppe Mazzini, molto prima di Michele Bakounine criticò aspramente le dottrine del Maestro repubblicano ligure, sopratutto le idee religiose ed i metodi autoritari.
«Nel Saggio sulla rivoluzione, infine, – continua a dire Napoleone Colajanni nella prefazione succitata – si rinviene nettamente delineata la teoria anarchica col considerare il governo come un'ulcera, nel ritenere che una società si livella da sè e che la libertà non si apprende dagli educatori; nel combattere le leggi perchè riescono sempre a beneficio dei privilegiati che le fanno, nel giudicare che dev'essere spontanea la reciproca limitazione tra i diritti di tutti e legittima la sodisfazione di tutti i bisogni e delle inclinazioni di tutti; nel propugnare la formula: Libertà e Associazione da sostituirsi a quella mazziniana: Dio e Popolo, e all'altra francese: Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, che ai tempi di Pisacane erano in onore tra i rivoluzionari italiani.» (Op. cit., pag. VII, VIII).
Di mettere in luce le idee rivoluzionarie, razionalistiche, socialiste e libertarie di Carlo Pisacane aveva in animo, prima che la malattia tremenda che lo condusse al manicomio e quindi alla tomba lo assalisse, il nostro Carlo Cafiero. Altri ne han parlato più o meno, fra cui gli amici Saverio Merlino in un opuscolo pubblicato a cura della Plebe in Milano nel 1878 (se non erro), Domenico Spadoni in un articolo o due della Critica Sociale di Milano di qualche anno fa, Niccolò Converti in diverse puntate della Questione Sociale di Paterson del 1895-96. Questo, senza parlare di altri autori, di altri articoli di giornali e di riviste in Italia e all'estero. Manca però ancora lo studio coscienzioso, che senza settarismo rimetta ancor più in onore la figura del Pisacane, come filosofo oltre e più che come eroe. Tale studio ci mostrerebbe Carlo Pisacane come uno dei più grandi ed acuti precursori della rivoluzione, come il primo pensatore e teorico del socialismo anarchico. Egli infatti, lungi dalle astruserie metafisiche e paradossali di Max Stirner come dal confusionismo e dal praticismo opportunista di G. P. Proudhon, fu il primo a fare una critica ragionata del principio d'autorità e del privilegio di proprietà individuale, che coonestò l'idea della libertà individuale a quella della socializzazione del capitale, che vedendo inseparabile la questione politica da quella economica, disse non potervi essere libertà laddove c'è privilegio, e che più forte e più nocivo dei privilegi è quello che fa dei pochi i padroni di tutto, e dei molti i servi di pochi.
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Un altro dei suoi meriti è quello di essere stato molto meno unilaterale di molti socialisti venuti dopo e che si sono chiamati da sè stessi scientifici. Più scientifico di tutti, e meno dogmatico, assegnando a ciascuno dei problemi che agitano il pensiero contemporaneo il suo valore, non trascurò a profitto di uno solo tutti gli altri lati della questione sociale. Così, dando al lato economico della questione la più grande importanza, non trascurò il lato politico, e disse che l’uguaglianza economica non avrebbe potuto essere garantita che da una eguaglianza radicale in politica, e cioè dalla libertà individuale, non inceppata da leggi o governi, di ciascun associato.
Lungi dal trascurare la questione religiosa, ne affermò la grande importanza, ed ateo egli stesso, cercò di dimostrare la iniquità di tutte le religioni, e sopratutto quella del cattolicesimo. Molta parte del primo capitolo del suo libro su La Rivoluzione intende a demolire l'ipotesi religiosa e deista della creazione. Nonostante, il suo ateismo non è una specie di bigottismo a rovescio come quello di molti nostri anticlericali, e non è neppure l'apriorismo dogmatico di molti materialisti alla Büchner. Da buon positivista egli non immagina, non afferma a priori. Sentite:
«Chi ha creato il mondo? Nol so. Di tutte le ipotesi la più assurda è quella di supporre l'esistenza di un Dio, e l'uomo creato a sua immagine; questo Dio, l'uomo l'ha creato ad immagine propria, e ne ha fatto il Creatore del mondo; e così una particella è diventata creatrice del tutto.»
Sviscerando la storia e interrogandone la filosofia, Carlo Pisacane rintraccia le origini religiose di tutte le tirannie e di tutti i privilegi, dimostra la enorme influenza perniciosa di tutte le religioni, e, preludendo agli ultimi moderni studi critici sul cristianesimo, nega che questo abbia portato alcun beneficio all'umanità, smentendone altresì la leggenda d'una origine libertaria ed egualitaria.
«Se qualche aspirazione alla fratellanza v'è stata, dice Pisacane, l'avvenire immaginato dai cristiani in tale aspirazione sarebbe stata la trasformazione del mondo in un convento.... Per contro le dottrine dei moderni socialisti, fra le loro massime, non avvene alcuna che dissolva o avvilisca; gli uomini oggi si associano non già per pregare e soffrire, ma per prestarsi vicendevole aiuto, lavorando per acquistare maggior prosperità e per combattere; l'aspirazione del socialismo non è quella di ascendere in cielo, ma di godere sulla terra. La differenza che passa tra esso e il Vangelo è la stessa che si riscontra fra la rigogliosa vita di un corpo giovine, ed il rantolo di un moribondo.» (Saggio sulla rivoluzione. Edizione citata, pag. 69-70).
Come si vede, Carlo Pisacane non sottintende la sua fede socialista; socialista si dichiara ed il socialismo difende a spada tratta. Già nella prima parte dei suoi saggi (Cenni storici) aveva affermato che «la proprietà, primo errore dell'umano istinto, era la più potente, se non la sola cagione della cancrena sociale.» E prima ancora, nel libro La guerra combattuta in Italia nel 1848-49, aveva detto che «il progresso mira ad uguagliare tutte le classi, ed a proclamare la sovranità del diritto».... nel senso di un «socialismo fondato sull'utile di ciascuno, e non sull'abnegazione e sul sacrificio....» Nella medesima opera egli aveva già fatto il processo alla borghesia3 nel modo più severo, ma sempre sopra un terreno eminentemente scientifico. La frase celebre di Prampolini «La miseria non nasce dalla malvagità dei capitalisti,» con quel che segue di buono, ma non con l'ultima illazione pessima, era stata già detta da Carlo Pisacane nel La guerra combattuta: «Egli è una verità incontrastabile, che i mali delle nazioni non dipendono dagli uomini, i quali non sono che i frutti delle loro costituzioni sociali, e da cui non bisogna attendere un'abnegazione sinora sognata per mancanza di principii.» In qualche modo si direbbe che Pisacane precorre il venturo socialismo marxista anche nelle sue esagerazioni fataliste.
Così pure egli enuncia la teoria della lotta di classe applicata alla storia nel modo più moderno, seguendo l'evoluzione del proletariato nella triplice fase della schiavitù, del servaggio e del salariato, proclamando la necessità che anche quest'ultimo giogo sia scosso e che gli operai inalzino la bandiera che sventolò a Lione nel 1833, su cui era scritto: Vivre en travaillant, ou mourir en combattant, il motto cioè che Filippo Turati ha tradotto nel suo inno col ritornello:
O vivremo del lavoro,
O pugnando si morrà.
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Affermando che «l'Italia non ha altra speranza che nella grande rivoluzione sociale» (Saggio sulla rivoluzione, edizione citata, pag. 265) Carlo Pisacane si augurava che sorgesse anche nel nostro paese un partito socialista, che della coscienza dei propri mali sorta nel popolo si facesse bandiera. Scopo dell'azione di questo partito avrebbe dovuto essere, come appare evidente da tutto il complesso dell'opera del Pisacane, il socialismo anarchico.
Già, ne La Guerra combattuta in Italia negli anni 1948-49, egli aveva detto che «l'era nuova verso cui ci avviciniamo a gran passi, ridurrà l'immensa e putrida macchina governativa alla sua più semplice espressione; il popolo non delegherà più, nè potere, nè volere.... Il genio è destinato a servire il popolo coi suoi lumi, ed ottenere non altro compenso che l'accettazione delle sue idee.»
Ed il tipo di società verso cui secondo Pisacane gli uomini devono avvicinarsi è.... «quella in cui ciascuno fosse nel pieno godimento dei propri diritti, che potesse raggiungere il massimo sviluppo di cui sono suscettibili le proprie facoltà fisiche e morali, e giovarsi di esse senza la necessità o d'umiliarsi innanzi al suo simile, o di sopraffarlo; quella società, insomma, in cui la libertà non turbasse l'eguaglianza; quella in cui in ogni uomo il sentimento fosse d'accordo con la ragione; e in cui niuno fosse mai costretto di operare contro i dettati di questa, o soffocare gli impulsi di quello. In tal caso l'uomo manifesterebbe la vita in tutta la sua pienezza....» (Saggio sulla rivoluzione, edizione citata, pag. 2).
Or che cosa è questa se non l'anarchia degli anarchici odierni? Con i quali Carlo Pisacane va molto d'accordo, per esempio, nella critica al matrimonio ed all'attuale organizzazione della famiglia. «Tutte le leggi, egli dice, sono scaturite dalle dipendenze che la violenza e l'ignoranza stabilì fra gli uomini; ed in tal guisa il matrimonio risultò dai ratti, che i più forti fecero delle più belle, per usurparne il godimento. La natura, per contro, sottopone l'unione dei sessi alla sola legge dell'amore, e se un'altra regola, qualunque siasi, interviene, l'unione cangiasi in contratto, in prostituzione.... L'amore adunque, nel nostro patto sociale, sarà la sola condizione richiesta a rendere legittimo il congiungimento dei due sessi.» (Saggio sulla Rivoluzione, ed. cit., pag. 241).
Così, comune agli anarchici socialisti, Pisacane ha la relazione e filiazione che egli stesso trova delle sue teorie dalle idee dell'utopista Fourier; comune cogli anarchici ha il concetto della rivoluzione e della espropriazione, la critica al suffragio universale (che chiama amara delusione), al parlamentarismo ed al costituzionalismo. Ai repubblicani egli dice parole che sembrerebbero tolte ad un giornale socialista di oggi: «.... i repubblicani dicono di non accettare il formalismo, ma combattono il comunismo, temono dichiararsi socialisti, propugnano il vangelo, in una parola niegano la rivoluzione, e vogliono la rivoluzione. Quali sono le riforme da essi desiderate? Si ignora, l'ignorano essi medesimi, e pretendono che il popolo, per conquistare questo futuro incognito, compia la rivoluzione, ed attenda che Iddio comunichi le tavole della legge ad un nuovo Mosè.» (La guerra combattuta, ecc.). Chiama «strano ed assurdo argomento» quello dei dottrinari che sostengono «che bisogna educarsi al vivere libero, ottenere la libertà per gradi e non per salti, ed accettare una mezzana libertà come sgabello all'intera, come pegno di migliore avvenire.» (Saggio sulla Rivoluzione, ediz. cit., pag. 93). «La libertà non ammette restrizioni di sorta alcuna, nè fa d'uopo d'educazione o di tirocinio per gustarla; essa è sentimento innato nell'umana natura.» (Idem, pag. 98). Si dichiara contrario alle dittature rivoluzionarie (Idem, pag. 197 e seguenti), e parlando degli eroi delle rivoluzioni, da buon positivista sostiene che non questi fanno i loro tempi, ma sono i tempi, le circostanze e l'ambiente che creano gli eroi.
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Insomma, i libri del Pisacane sono una vera e propria miniera di idee per il socialista, per l'anarchico, per il rivoluzionario, per il sociologo. E – insisto nel notarlo – non si tratta di idee utopistiche fondate sul sentimento più che sulla ragione; non si tratta di concezioni astratte d'un immaginoso e generoso riformatore di uomini, come potevano essere i Moro, i Campanella, i Saint-Simon, i Fourier, gli Owen, i Cabet, ecc., ma di tutta una serie di osservazioni, di argomentazioni e di illazioni solide, positiviste e scientifiche, che il lettore, sorpreso, trova di aver lette e sentite mille volte in forma meno concisa e meno chiara, da autori vissuti parecchio dopo il Pisacane, più di questo saliti in fama di scienziati del socialismo.
Certo, molte idee da Carlo Pisacane appena accennate, sono state poi ampliate e precisate meglio, incanalate per vie da lui non prevedute, per le diverse condizioni politiche dell'Italia di allora e per l'assenza di un partito socialista, e sopratutto per l'assenza del proletariato come classe militante. Ciò spiega le contradizioni del nostro autore, quando dalle idee volendo passare a dar consigli pratici, come nel capitolo ultimo, non sa spastoiarsi di tutte quelle medesime istituzioni che ha criticato tanto aspramente.
Ma questo è naturale in un precursore a cui mancava la collaborazione della più piccola minoranza, che non aveva sotto gli occhi e sotto mano l'elemento principale per un'azione veramente socialista, il proletariato, e su cui influivano potentemente le condizioni politiche diversissime del proprio paese, le quali esigevano attenzioni ed azioni politiche più che sociali. Eppoi si sa bene che c'è sempre incertezza in sul primo elaborarsi d'una idea; e Carlo Pisacane fu il primo (e forse il solo veramente originale, prima di Antonio Labriola) in Italia, e dei primi in Europa, a dare al socialismo un contenuto scientifico e veramente rivoluzionario. Forse che lo stesso Marx, lo stesso Bakounine, e tutti gli internazionalisti della prima ora, autoritari e libertari, non vagarono in principio in una quantità di incertezze, maggiori anche di quelle di Pisacane, prima di formulare un completo ed organico programma di azione? E c'è del resto anche oggi questo programma? È lecito dubitarne.
Ma Carlo Pisacane ha elaborata una dottrina più che un programma, ed un programma massimo più che un programma minimo. Una azione socialista era allora impossibile, e per aprire a questa la via c'era bisogno dell'azione rivoluzionaria politica. Carlo Pisacane comprendeva bene questa necessità, e non si ritirò perciò sul Monte Sacro a sognare il socialismo e ad aspettare che il tempo venisse di poter agire socialisticamente. Egli agì con gli altri rivoluzionari politici italiani perchè questo tempo arrivasse più presto, ed agì in modo da insegnare con l'esempio ai socialisti d'oggi come si combatte e si muore per una idea.
Abbiamo visto come Carlo Pisacane fu un filosofo ed uno scenziato del socialismo; or vediamo come seppe essere un eroe della rivoluzione.