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È noto che all'autopsia del celebre letterato francese Anatole France si è trovato un cervello di piccola mole, più piccolo ancora di quello del non meno celebre uomo politico e patriotta Leone Gambetta. Se questi, che, a quanto pare, morì ucciso per una questione amorosa, ancora abbastanza giovane, a soli 43 anni, mostrò un cervello di grammi 1294, il France, morto in età avanzata, ne possedeva uno di peso molto inferiore, sembra di solo 1150 grammi. Ora, quando si consultano le tabelle dei pesi cerebrali che figurano nei trattati classici di Fisiologia, Antropologia e Psicologia, ad esempio quelle del Vierordt, del Donaldson, del Manouvrier, dello Spitzka, ecc. si trova che questo sarebbe il peso di un cervello di fanciullo fra i tre e i quattro anni o di una bambina fra i quattro e i cinque.
Si sa infatti, dalle misurazioni di Broca, che il peso medio dell'encefalo dei maschi Parigini è di grammi 1362, che è più alto fino ai 40 anni, ma che ad ogni modo nei vecchi non scende sotto a 1268 gr. Mancherebbero dunque al France circa 120-130 gr. di cervello per essere soltanto un uomo «mediocre»! Donde, la solita proclamazione della «bancarotta della Scienza», la quale pretenderebbe che fra cervello e mentalità esista un rapporto materiale proporzionale.
Ma io, che ho pesato molti cervelli umani, massime di alienati, e ho sempre trovato che nella media il rapporto ponderale esiste, voglio chiarire questo punto affinchè chi fosse rimasto impressionato dalla piccolezza del cervello del France, in opposizione ad un presunto dogma anatomo-fisiologico relativo al valore assoluto del peso in una valutazione di gerarchia mentale, comprenda ed ammetta che anche in questo caso le leggi e formule scientifiche debbono essere interpretate con criterio e con misura.
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E non casualmente ho scritto «dogma scientifico», perchè solo i profani, gli incompetenti, gli orecchianti, gli esordienti, possono supporre che la Scienza enunci le sue leggi ed induzioni in forma assoluta, apodittica. Basta il più piccolo senso filosofico per capire che ogni problema conoscitivo non può ricevere una soluzione definitiva, ma finchè durano i mezzi di conoscenza dei quali l'Uomo attuale dispone, viene risolto soltanto in modo approssimativo.
Trattandosi poi di una semplice correlazione, quella fra mole o peso del cervello e grado e forza di intelligenza nella variabilissima specie umana, noi dobbiamo accettare ogni enunciato in questo campo della Biologia come un risultato medio, al quale contribuiscono valori individuali differentissimi, e nel quale si condensano e si elidono molte circostanze modificatrici e perturbatrici. Quindi, anche se Gambetta e France, che passano ed erano certamente uomini intelligentissimi (ciascuno dei due però sotto un aspetto assai diverso e con una funzione sociale e storica diversissima), avevano un piccolo encefalo, la legge del rapporto proporzionale fra cervello ed intelligenza rimane egualmente nelle sue grandi linee. Ed ecco come.
A prescindere dalle cause particolari, che avranno agito sulla personalità somatico-psichica dell'Uomo di Stato e del Letterato, cioè eredità di razza e di famiglia, costituzione, temperamento, età, malattie infantili, vicende della vita, ecc., noi, compulsando le tabelle statistiche quassù accennate, troviamo invece parecchi «grandi» uomini con un cervello assai voluminoso e di molto sopra il peso della media. Per esempio, il famoso naturalista Cuvier, morto a 63 anni, mostrò un cervello di 1830 grammi; il fisico Abercombrie, morto a 64 anni, uno di 1784; il romanziere Tackeray, morto a 53 anni, uno di 1640; l'anatomico Goodsir, morto a 54 anni, uno di 1629; il celebre frenologo Spurzheim, grande studioso per l'appunto del cervello, ne portava uno di 1559 grammi; il non meno famoso naturalista Agassiz, morto a 66 anni, uno di 1512 grammi; il grande matematico Gauss, morto a 78 anni, uno di 1492 grammi; il valoroso generale russo Skobeleff, morto a 39 anni, uno di 1457 grammi... e potrei citarne molti altri, tutti uomini «superiori» e con un cervello oltrepassante di assai la media dell'uomo comune. Ma è pur vero che vi sono anche uomini di riconosciuto ingegno che portavano piccoli cervelli, fra cui, fatto singolarissimo, degli anatomici di notevole reputazione, ad esempio il Döllinger, morto a 71 anni, con soli 1207 grammi di cervello; il Tiedemann, morto a 79 anni, con 1254 grammi; il Grant, morto a 80 anni, con 1290 grammi. Aggiungo un fisiologo insigne, l'Harless, morto giovane, a 40 anni, con un peso cerebrale di soli 1238 grammi. Un buon numero di uomini illustri non sorpassa la media; Liebig, uno dei fondatori della Chimica moderna, deceduto sessantenne, aveva un cervello di 1353 grammi come potrebbe averlo il più umile dei farmacisti; Whewell, un filosofo che ai suoi tempi andava per la maggiore, morto a 71 anni, ne possedeva uno di 1390 grammi, forse come quello di un bravo professore ginnasiale. Rammento anzi qui un dato fenomenale: dalla cavità del cranio di Dante Alighieri, studiato or sono pochi anni a Ravenna, si è desunto, mediante un calcolo ben noto agli antropologi, che il Divino Poeta, il «genio» per eccellenza, doveva avere un cervello di mole e sviluppo inferiore alla media!
Ma ciò malgrado la legge ponderale rimane, perchè se si prendono cento uomini di levatura mentale e di cultura da una parte e cento altri di basso ed incolto intelletto dall'altra, e si pesano in massa i loro duecento cervelli, si troverà sempre (e il mio «sempre» si riferisce alle diverse razze umane ed alle diverse classi sociali) che il gruppo degli intelligenti possiede una proporzione percentuale maggiore di cervelli più voluminosi e più pesanti che non il gruppo degli inintelligenti e indotti; quindi una massa ponderale collettiva più alta. Questo dato positivo scaturisce anche dalle indagini più volte eseguite nelle scuole, tanto in Europa come in America: cento studenti di scelta offrono cervelli proporzionalmente più evoluti che non cento loro compagni di grado inferiore. Allo stesso modo si è trovato e si è ormai sicuri che la donna possiede in media un cervello più piccolo e più leggero di quello dell'uomo. Non sarà il caso di scagliare contro le donne le celebre invettiva che il rifiutato Leopardi gettava contro la civettuola «Aspasia»; ma a nessuno, che abbia occhi per vedere e mente per riflettere su ciò che vede, può sfuggire questo raffronto differenziativo dei due sessi nella nostra specie. Come dico altrove, la spiegazione esauriente di ciò mi sembra d'altronde assai semplice: nella evoluzione dell'Umanità la donna ha acquistato un cervello adattato alla sua funzione biologica e sociale, che non è profondamente intellettuale ma affettiva, non inventoria o progressiva ma conservatrice.
E allora come spiegare le così impressionanti eccezioni alla regola? come giustificare la non applicabilità della formula scientifica concernente la correlazione tra il volume e lo sviluppo ponderale del cervello e la potenza delle facoltà intellettuali ad un France, ad un Gambetta e (approssimativamente) ad un Dante? Semplicemente, col fatto che la «funzione» di un qualsiasi nostro organo non è proporzionata soltanto alla sua quantità misurabile coi nostri mezzi un po' grossolani; tanto meno l'intelligenza, questa funzione, diremo così «imponderabile», non è il prodotto solo del peso e della mole, ma più ancora lo è della qualità del cervello. Certamente, quando volume, peso, forma e struttura interna si combinano, si avrà un intelletto superiore a quello che corrisponde alla sola grandezza, al solo peso o alla sola morfologia esterna; ma sarà ben difficile che tutte le condizioni di superiorità si associno in un dato individuo. Un cervello grosso può essere, mi si passi il bisticcio, di fattura grossolana, di struttura rozza, di sviluppo disarmonico nelle sue diverse parti (emisferi, lobi, circonvoluzioni), di composizione meno fina (nei suoi elementi cellulari); e allora il possedere quel grosso blocco di materia cerebrale dentro alla testa non basterà a conferire all'individuo una superiorità mentale. Viceversa, in un cervello di piccola mole possono trovarsi una morfologia più evoluta, una armonica proporzione delle parti, una ricchezza insolita di circonvoluzioni, uno strato più alto di corteccia grigia negli emisferi (l'organo del pensiero elevato), una più complicata rete di fibre associative, che permettono l'entrata simultanea in azione di più centri alla volta... Il peso, il volume, non perdono con ciò il loro valore di elementi o fattori di superiorità o di inferiorità funzionale, ma essendo caratteristiche di quantità rimangono subordinati alle caratteristiche di qualità. Ognuno comprende benissimo le cause che faranno, caso per caso, individuo per individuo, variare il rapporto completo fra cervello e pensiero.
La prova di quanto dico si è avuta già in parte esaminando la morfologia esterna del piccolo cervello di Anatole France; esso si è mostrato nelle sue divisioni in lobi, circonvoluzioni e pieghe così sviluppato, e diciamo pure così complicato, da apparire quale un meccanismo di perfezione, una specie di orologio di squisita fattura nelle sue singole parti. E questo basterebbe a compensare il suo piccolo volume che, del resto, potevasi prevedere da chiunque avesse osservata la conformazione della testa del celebre scrittore: egli portava un cranio a cingolo, di forma brachicefalica, con oggetto facciale piuttosto pronunziato. Non ci è dato sapere se il suo cervello sia stato sottoposto a indagini più minute sulla sua morfologia interna e sua struttura; ma se, come spero, sarà esaminato a fondo anche sotto l'aspetto istologico, si vedrà che per la qualità del suo organo pensante (o strumento di pensiero secondo gli idealisti), senza dubbio, il celebre scrittore superava la media comune. Quando si ha la fortuna di aprire un cranio di uomo illustre e ci si accinge a studiare il cervello, bisogna possedere una tecnica perfetta, bisogna avere minutamente esaminati molti altri cervelli prima di esprimere un giudizio. Vi sono a tale riguardo dei lavori classici, ad esempio, sulla morfologia delle circonvoluzioni; se non se ne conoscono tutte le varietà che, sotto tale aspetto, può presentare il cervello umano anche solo nelle popolazioni Europee, non si può avere la presunzione di concludere scientificamente. Bastano piccole divergenze nella disposizione delle scissure, dei solchi, delle pieghe della corteccia per dare ad un cervello il carattere della superiorità o della inferiorità; certi minimi particolari, quale sarebbe la copertura o mancanza della famosa piega di passaggio del Gratiolet, portano un cervello verso la fase animalesca, verso la forma propria delle grandi Scimmie Antropomorfe. Che dire poi se si scendesse allo studio della intima struttura della corteccia medesima?
Noi assistiamo proprio ora alla formazione di un capitolo nuovo della Morfologia cerebrale, quello della Istotectonica, cioè delle disposizioni architetturali assunte dalle cellule e dalle fibre della corteccia, e chi osserva i preparati microscopici di un solo suo millimetro cubico quali ci sono date dal Brodmann, dai coniugi Vogt, e più recentemente da Von Economo, resta sorpreso, dirò anzi smarrito dinnanzi a tanta complessità, a tanto differenziamento negli elementi nervosi in così piccolo territorio. Non ostante i tentativi di localizzazione e stratificazione funzionale, fra cui sono considerevoli quelli del nostro L. Roncoroni, noi non sappiamo ancora nulla sul significato fisiologico, tanto meno sul psicologico, di quelle meravigliose figurazioni istologiche, cui sarebbe da aggiungere la diversità individuale che ci lascia intravvedere la Istochimica. A dire la verità, la nostra mente si perde in illusorie congetture davanti a tali enigmi!
Prima dunque di dichiarare fallita la Scienza antropologica perchè Anatole France, nonostante la sua bravura di scrittore (lascio da parte la sua «filosofia» che, a parer mio, valeva poco rispetto alla sua arte), possedeva una testa piuttosto piccola ed un cervello pressochè infantile, almeno nel volume, converrà attendere gli ulteriori reperti anatomici; può darsi che, esaminato più a fondo, esso si dimostri invece di evolutissima morfologia e di finissima struttura. E me ne dà la certezza il fatto abbastanza simile accaduto in Germania per il cervello di Ernesto Haeckel, che è stato esaminato in modo ben più completo dal prof. Maurer. Questo distinto anatomico non vi ha trovato quelle caratteristiche morfologiche, che avrebbero teoricamente spiegata la poderosa mentalità del famosissimo naturalista e filosofo monista di Iena; egli perciò ha insistito con grande chiarezza su quanto ho detto quassù circa la impossibilità che i soli rilievi di peso e forma bastino alla correlazione fra pensiero e cervello. Per contro, investigandone la fine struttura istologica, il Maurer ha scoperto nella corteccia degli stessi emisferi di Haeckel delle particolarità citologiche importanti; la finezza della intima struttura compensava la relativa mediocrità della massa e della forma esterna.
L'attività del cervello è sopratutto in relazione col suo ricambio chimico, che può essere più o meno vivace, intenso, rapido. È assai probabile, per non dir certo, che un cervello, nel quale gli scambi degli elementi chimici che compongono la sostanza fondamentale di tutte le sue cellule e fibre, sono più pronti, e nel quale perciò la restaurazione dopo il lavoro è resa più facile e completa, un cervello dove prevale il movimento disassimilatore o catabolico sull'assimilatore o anabolico, sia dotato anche di una più sollecita e forte e bene integrata attività. In allora le percezioni saranno più rapide, la ritenitiva mnesica più persistente, la evocazione delle immagini più viva, l'associazione delle idee più agevole, le interferenze fra la sfera cosciente e la subcosciente più automatiche; ora, tutti questi fenomeni fisiopsicologici costituiranno altrettante ragioni di superiorità mentale anche se la massa in totale ne fosse piccola ed il peso ne fosse basso. Tutto ciò può indurre ad ammettere che nel cervello di un France o di un Gambetta (per rimanere nei due casi classici di apparente sconfitta della legge di correlazione) esistesse per l'appunto uno scambio più intenso di materia e quindi una produzione più forte e più rapida di energia psichica. I recentissimi lavori di un antropologo russo, il prof. Boris Hindzè dell'Istituto anatomico di Mosca, sulla circolazione arteriosa del cervello negli uomini dell'«Eletta», com'egli si esprime, portano un validissimo contributo a questo presupposto. Non è forse il sangue arterioso che arreca ai nostri organi gli elementi indispensabili per il loro lavoro funzionale?
L'Hindzè ha avuto la fortuna di potere esaminare parecchi cervelli di russi illustri, alcuni dei quali noti anche fra noi; mi basterà citare il Bernstein, professore di psichiatria a Mosca, morto a 52 anni; il poeta armeno Owanece Toumaniane, morto a 54 anni; il celebre antropologo e naturalista Anoutchine, deceduto nella avanzata età di 80 anni; il non meno celebre poeta e letterato Valerio Brussoff, morto invece a soli 47 anni; il famoso matematico prof. P. Nekrasoff, morto a 74 anni. Egli li ha confrontati con cervelli di ignoti morti all'ospedale, di individui noti per la loro inferiorità mentale, ed anche di notissimi per la loro criminosità. A tale proposito si deve sapere che in Russia si procede adesso all'autopsia con la massima frequenza e che là molti uomini eletti lasciano nel testamento che il loro cadavere sia esaminato; ciò spiega le favorevoli occasioni sfruttate dal prof. Hindzè.
Ho dinnanzi a me la riproduzione esatta di fotografie delle reti arteriose encefaliche di parecchi uomini illustri, di un soggetto comune e di un bandito, quali sono state presentate dall'Hindzè alla Società Antropologica di Parigi; e posso accertare che le differenze fra il gruppo dei «superiori» e quello degli «inferiori» o «mediocri» sono visibilissime, e in taluni casi addirittura sorprendenti. Sopratutto mirabile è la ricchezza e la finezza delle diramazioni arteriose nel cervello dell'Anoutchine, che pur essendo, come ho detto, un ottuagenario, presentava arterie ancora diritte ed uniformi, senza quelle flessuosità e quei gonfiamenti (ectasie, aneurismi) che tradiscono costantemente la senilità cerebrale. Ancor più meraviglioso per delicatezza di rami, ramuscoli e capillari, era il circolo arterioso del matematico Nekrasoff, pur egli defunto in un'età in cui di solito le arterie sono in preda a processo sclerosante. Per contro l'encefalo del bandito palesa una povertà estrema di ramificazioni terziarie e anche secondarie, ed è ridotto alla più semplice, alla sola indispensabile configurazione vasale.
Le conclusioni dell'Hindzè meritano pertanto di essere accolte con sicurezza. Le arterie del cervello degli uomini dell'eletta intellettuale – egli afferma – si distinguono per un tipo morfologico particolare: rispetto alle arterie delle persone ordinarie, esse spiccano per la loro lunghezza, la loro larghezza e la grande quantità delle branche secondarie. Perciò si può ritenere che per stabilire la correlazione tra l'organo e la funzione della mentalità, la morfologia del circolo sanguigno del cervello abbia importanza eguale a quella, fin qui presa soltanto di mira, dei solchi e delle circonvoluzioni della superficie degli emisferi.
In conferma potrei citare anche i bei lavori della dottoressa Berta de Vriese, la quale aveva già dimostrato che nell'uomo si rivelano differenze nel tipo della circolazione cerebrale fino dalla vita endo-uterina. Si sono inoltre studiate le variazioni nella forma e nella grandezza del così detto «circolo o pentagono del Willis» costituito dalla disposizione e dalle reciproche comunicazioni delle grandi arterie della base, cioè della vertebrale con i rami ascendenti della carotide interna. Nè sono mancate le indagini anatomiche sulle anomalie di questa parte limitata del circolo sanguigno, destinata a irrorare l'encefalo e a portargli il pabulum nutritizio che gli serve per il suo lavoro funzionale (sensorio, psichico, motorio). Si è inoltre veduto che nei cervelli degli alienati e dei criminali esiste una proporzione più alta di anomalie; per mio conto posso dire che ho trovato assai frequenti le alterazioni arteriosclerotiche, le ectasie, gli aneurismi e le anomalie nel pentagono arteriale del Willis, ciò che conferma l'importanza della circolazione sanguigna sulla complessa e integrale funzione mentale.
Secondo le moderne dottrine di Fisiologia e Patologia, una grande influenza sulla funzionalità cerebrale hanno le così dette «secrezioni interne», quelle sopratutto derivanti dalle ghiandole endocrine, dalla tiroide e paratiroidi, dalla ipofisi o pituitaria, dalle capsule surrenali, ma in particolarissimo modo quelle delle ghiandole sessuali. È assai verosimile che gli individui si differenzino tra loro per una formula endocrina; anzi, la odierna Scuola costituzionalistica, derivata dalle dottrine geniali di Cesare Lombroso, fondata da Achille De Giovanni, professata ora ardentemente dal prof. G. Viola di Bologna è dal prof. N. Pende di Genova, propugna il concetto che la psiche sia in dipendenza diretta dal neuro-chimismo determinato dal sistema nerveo-vegetativo, diviso in simpatico ed in parasimpatico, e delle ghiandole endocrine. Costituzione somatica, temperamento funzionale, carattere morale, e subordinatamente intelletto, sentimentalità e volontà, sarebbero determinati dall'equilibrio vario e variabile degli «ormoni». Orbene, quando vogliamo comprendere una personalità, un dato «biotipo individuale», noi non possiamo fermarci a prendere in considerazione uno solo suo elemento costitutivo, fosse pure lo sviluppo morfologico del cervello; questo, anche se organizzato secondo la più perfetta apparente normalità, potrà fornire un minor rendimento psichico qualora gli arrivi un sangue povero di ormoni stimolatori, mentre, d'altra parte, potrebbe possedere una fecondissima attività di pensiero, anche se organizzato materialmente al di sotto della media, purchè gli giungessero stimolazioni più efficaci da parte degli organi endocrini. Si vede in allora la complessità del problema.
Ho già messo in rilievo l'azione eccitante delle ghiandole sessuali; si può legittimamente supporre che i succhi testicolari, massimamente quello della sostanza interstiziale, agiscano in determinati momenti per eccitare gli organi della mentalità, e fare loro svolgere una maggiore energia. Quel che sappiamo sulla intensa «virilità» di molti uomini superiori, ci permette di attribuire una non piccola frazione della loro attività mentale all'influsso endocrino della ghiandola seminale. Fu già osservato che nell'opera dei poeti le date delle loro creazioni migliori riflettono quella periodicità, che oggi dobbiamo riconoscere anche nella funzione genesica maschile, come avviene più esplicitamente nella femminile, massime in relazione alle stagioni stimolatrici del ricambio (primavera, estate). E si può inoltre ricordare che parecchi uomini dell'Eletta sociale, sopratutto i così detti «conduttori di popoli», sono grandi amatori; la sessualità impera nella loro costituzione mentale. Infine, è curioso osservare che non pochi uomini di genio hanno prolungata nella età senile la loro attiva virilità, e i risultati, anche se scarsi, delle esperienze di innesto testicolare del mio illustre amico Sergio Voronoff, non debbono essere qui trascurati nè passati sotto silenzio. Sulla intelligenza gli ormoni genesici avranno ben più influenza che non il semplice volume cerebrale.
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Ecco pertanto come il dato bruto della mole e del peso, la quantità, debba essere considerata soltanto quale uno dei cento fattori della superiorità intellettuale. Lungo cammino dovrà ancora percorrere la Scienza prima di risolvere con tutti gli elementi necessarii il problema dell'equazione tra cervello e pensiero; ma già il solo averlo proposto è indizio del punto cui è giunta la conoscenza positiva. Se non che, occorre intenderci bene sul miglior modo di risolverlo; non si deve fare a fidanza con un dato solo; neanche molti dati ci gioveranno qualora questi manchino di coesione e non corrispondano ad un piano fattivo di ricerche individuali e di comparazioni.
In un lavoro più recente di quello quassù sunteggiato, e che riguardava alcuni cervelli privilegiati caduti sotto la sua osservazione, il prof. Hindzè ha esposto quali sarebbero i modi per abbordare completamente ciò che egli chiama «il problema antropologico degli Uomini dell'Eletta» («Bull. Soc. d'Anthropol.» di Parigi, febbraio 1927). Egli ricorda i primi lavori del R. Wagner risalenti al 1860 e quindi la fondazione della Società d'autopsia di Parigi, che per l'appunto aveva lo scopo di facilitare lo studio del cervello degli intellettuali. Ma giustamente osserva poi che il compito di una Antropologia della mentalità superiore oggi è assai più largo, di allora: non il solo encefalo deve essere indagato, bensì «lo stato e le funzioni dell'organisno intiero e degli organi in particolare». Nè basta; occorre costruire tutto il curriculum vitae d'ogni soggetto, perchè messo in rapporto con la sua morfologia ci indicherà quali potranno essere state le influenze dell'ambiente e di tutte le condizioni ed evenienze della vita che avranno agito sui prodotti della sua mente. Ad ogni modo, sarebbe opportuno unificare le indagini e fin d'ora prefiggersi un programma stabile di investigazione.
Ed il professore di Mosca ne propone anzi due, uno massimo ed uno minimo. Se il primo non sarà possibile attuare perchè comprenderà lo studio completo dell'uomo da vivo e di quello quando sarà morto, abbordando poi lo studio del cervello nei modi classici oramai consacrati dalla Anatomia, Morfologia e Antropologia comparata, converrà bene accontentarsi di quello minimo, che ordinariamente consiste nell'esame dell'encefalo come sin qui si è usato, ma con l'aggiunta almeno di un approfondito curriculum vitae e sopratutto con la determinazione esatta del tipo morfologico, massime cefalometrico. Insomma, concludo con l'Hindzè, se si vogliono stabilire le correlazioni tra cervello e mentalità, bisogna avere un piano uniforme di lavoro: non affidarsi alle iniziative personali dei ricercatori (anatomici, antropologi) isolati, ma accumulare i materiali da tutte le parti.
Nessuno contesterà che questo non sia un programma eccellente, ma per eseguirlo occorre avere del materiale di ricerca, e se non generalizziamo il costume di aprire i cadaveri degli uomini della classe dirigente, come una volta si usava fare coi Sovrani, ad esempio in Spagna, o coi Papi durante il nostro Rinascimento, dovremo sempre affidarci al caso e sfruttare elementi singoli che non si presteranno senza gravi ostacoli ad utili comparazioni.