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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Una domanda che di frequente è posta a noi Sociologi e Antropologi, è la seguente: quale è la vera posizione della donna rispetto all'uomo nei riguardi del cervello, che è l'organo nel quale si riassume e dal quale si esprime integralmente il compito dell'individuo nella vita psichica della specie?
Si può, anzi si deve avere la massima considerazione verso la donna, che è nostra madre, nostra sposa e moglie, è nostra figlia, magari nostra amante, ed essere «femministi» nel senso buono della parola; ma non si può distruggere un fatto biologico che si dimostra con la bilancia e col metro: la donna ha meno cervello dell'uomo, come ha il cranio meno capace, anche se questa sua inferiorità viene, in parte, corretta da qualche dato proporzionale. E se pensiamo agli altri animali superiori, Uccelli e Mammiferi, il fatto è, si può dire, universale.
Tutto sta a darne una spiegazione, che ci porga del problema una soluzione giusta, voglio dire esatta, rispondente all'insieme delle nostre conoscenze biologiche e psico-sociali. Dal nostro punto di vista ciò che preme, è risolvere il problema se la donna cerebralmente valga meno dell'uomo o se lo eguagli, o se, come qualche intelligente e colta signora, molto orgogliosa del suo sesso, mi ha voluto testè sostenere, non lo superi sotto l'aspetto psicologico.
Il problema della rispettiva posizione dei due sessi nella gerarchia dei valori psichici non può prescindere da fondamentali nozioni di Biologia, Psicologia e Sociologia positive. Cercar di risolverlo coi criterii puramente ideali o sentimentali non serve che ad alimentare futili discussioni, senza contenuto scientifico, e buone, tutt'al più, per esprimere delle barzellette nei salotti o attorno ai tavoli di caffè.
Sono dispostissimo a fare mio il motto che Gina Lombroso ha messo in testa ad un capitolo del suo bel libro L'Anima della Donna (3a ediz., Tomo 1°, pag. 25): «Non si può misurare il vino a metratura, nè la stoffa a litri; e noi facciamo qualcosa di simile quando giudichiamo la donna alla stregua dell'uomo, che è differente». Ben detto e tanto più notevole sia detto da una donna; ma la Lombroso è un'alta intelligenza, e non poteva dare alle sue simili il fallace conforto di aspirare a quella fisima, che si chiama «eguaglianza dei due sessi».
Questo è, dunque, il vero punto di vista dal quale si dovrebbero porre tutti coloro che o lusingano la donna proclamandola eguale all'uomo (io non vedo che cosa ci guadagnerebbe in definitiva, eguagliandosi a noi nella sua riscaldata fantasia): o sbraitano che la donna è al disotto degli uomini e sotto ci deve stare.
Chi legge il libro della Lombroso vede subito sotto quali e quanti aspetti la psicologia della donna differisca da quella dell'uomo; forse la insigne scrittrice in parecchi punti esagera e sottilizza, ma quello che essa dice sulle caratteristiche dell'anima femminile, è quasi tutto da accogliere, in parte come una sincera confessione. Io però non voglio rifare qui per la milionesima volta il processo o, se meglio si vuole, il dibattimento intorno alla psicologia sociale dei due sessi, chè veramente la Lombroso a questa differenza sopratutto mira, mentre forse si cercherebbe quasi invano, nelle sue pagine ardenti di femminilità, la ricerca delle ragioni biologiche del divario sessuale che essa dipinge così minutamente. Il mio intento è, qui, strettamente biologico; e perciò più che valersi della Psicologia sociale, considerata distaccata dal suo tronco principale che è, per me positivista, sempre radicato sui principii della Filosofia scientifica, bisogna rifarsi alla Scienza generale della Vita.
Se in tutta la serie animale i due sessi si differenziano per i caratteri generali somatici, ossia per la forma, la mole, le proporzioni, le appendici tegumentarie del corpo (senza parlare delle differenze direttamente legate alla sessualità), è naturale che anche nelle funzioni si ripetano quelli che i biologi chiamano «caratteri sessuali secondarii»: l'uomo e la donna perciò, sono, anzi debbono essere differenti, non soltanto morfologicamente, ma altresì fisiologicamente. Ora la psiche, a tacere qui di qualsiasi sistema filosofico, e integrando sotto tale designazione tutte le attività che le si riferiscono, sensibilità generale e speciale, motilità, emotività, cenestesi, fa parte delle funzioni dell'organismo vivente e non può sfuggire alla legge generale di questo differenziamento sessuale. Voglio dire con ciò che, avendo in Natura i due sessi una loro speciale finalità ed una diversa fisiologia (in massima parte ascrivibile, oggi, alla loro differente formula ormonica), è assurdo il problema di una loro rispettiva posizione gerarchica.
Sotto questo aspetto, è insostenibile la tesi di una «eguaglianza» naturale e perciò sociale dell'uomo e della donna. I caratteri fisici, distinti, di statura, di peso, di sviluppo osseo e muscolare, di facoltà sensitive, di attività motrici, di potenzialità affettiva ed ideativa, debbono essere naturalmente quelli che sono: mascolini nell'uomo, femminili nella donna. È quasi grottesco dire una cosa cotanto semplice e volgare, ma è necessario ripeterla a coloro che parlano di «eguaglianza» psico-sociale dei due sessi. Me ne duole per i «femministi» infervorati, ma essi hanno sempre dimostrato di ignorare la Biologia, od almeno di non saperne capire le precise informazioni.
Prendiamo pure i caratteri grossolani, materiali, di misurazione somatica. La donna è in generale meno alta, meno pesante, meno forte dell'uomo; si dirà perciò che essa gli è inferiore? Niente affatto; essa ne è soltanto diversa, perchè tale doveva essere la «femmina» della nostra specie in ragione della Evoluzione del tipo Mammifero Primate. Vi sono invece dei tipi di animali, in cui la femmina è più forte, più grossa, e conseguentemente più aggressiva del suo maschio. Questo si vede nei Ragni, ed anche fra certi insetti, ad esempio le Api e le Formiche; anzi, le ragne fanno sentire questa loro superiorità divorando il maschio, non appena sia avvenuta la fecondazione delle loro uova (ciò che sarebbe molto incomodo nella specie umana!); l'ape regina, non solo è incaricata della propagazione della specie, ma domina nell'alveare e guida i maschi e le api operaie dove essa vuole sciamare, mostrandoci il massimo possibile del «matriarcato».
Sta bene che anche fra gli uomini una donna può dominare e «divorare» parecchi maschi, e può anche superarli così in vigore fisico, come in intelligenza ed in iniziativa; ma le cose vanno intese in senso generale, ed è storicamente certo che lungo i millennii e i millennii da che l'Homo sapiens dei biologi esiste alla superficie della Terra, le donne, se hanno avuto, in vista della grande loro funzione materna, un periodo di dominio, che i sociologi dicono appunto del «matriarcato» (non tutti lo ammettono, anzi da molti è contestato), il fatto si è che quasi in ogni tempo e presso quasi tutti i popoli la donna ha avuta, rispetto all'uomo, una posizione di soggezione. È dessa spiegabile con un potere minore del suo cervello? Non sarà invece l'effetto di una sua diversa finalità naturale?
Perfettamente così: la femmina-madre è in tutta la serie animale quella che supera il maschio in riguardo alla definitiva utilità per la specie: ed anche nelle specie che lungo le età geologiche hanno formata la catena ascensiva degli Hominidae, la femmina-madre ha avuto questa nobilissima funzione psicologica di mantenere e di accrescere le facoltà affettive, senza delle quali nè lo sciame, nè l'alveare, nè l'orda, nè il clan, nè la tribù, e conseguentemente neppure la famiglia e tutto ciò che costituisce il legame più profondo e più sentito fra gli animali e gli uomini, si sarebbero formati e sarebbero progrediti nella loro evoluzione.
Io non veggo mai una femmina di animale con i suoi piccoli senza provarne una intima commozione; mi pare allora soltanto di poter comprendere la vita sociale, di cui siamo così orgogliosi, ma che, come provò ai suoi bei tempi la Psicologia comparata per merito di Espinas, di Romanes, di Houzeau, e del popolarissimo Brehm (che gli «snobisti» della Scienza ufficiale odierna ostentano di sprezzare!), non è fondamentalmente diversa da quella degli animali socievoli ed anche, nei suoi elementi famigliari, di quelli viventi in aggregati. Una femmina del genere Felis o del genere Elephas o del genere Troglodytes (Scimpanzè) compie atti di indicibile tenerezza e di ammirabile coraggio ogni qualvolta abbia i suoi piccoli da nutrire, da proteggere, da difendere; quella è la sorgente univoca, ed è la manifestazione più genuina della «femminilità». Se il fatto psicologico ci intenerisce, il fatto biologico, nella sua schietta e universale espressione, ci convince.
Un nostro esimio neuro-psichiatra, il prof. Carlo Ceni, ha dedicato nel 1923 due grossi volumi per stabilire l'enorme influsso che ha avuto ed ha tuttora la maternità nella evoluzione della psiche animale. Egli ha indagato, con acuta penetrazione e attraverso la dura via delle ricerche sperimentali, le fasi ascensive dell'istinto materno nei Vertebrati superiori, negli Uccelli e nei Mammiferi, ed ha trovato che i centri stessi dove la Fisiologia e la Psicologia mettono la sede dei poteri più alti dell'intelletto e sopratutto gli elementi caratteristici della personalità, sono gli stessi in cui si localizzano i componenti del fenomeno psichico della maternità. Il Ceni ha pure scoperto che, mutilando il cervello nelle parti destinate a regolare le funzioni materne, si inducono in tutta la vita delle deficienze mentali e dei pervertimenti negli istinti sessuali. Ciò significa che il cervello femminile è tutto impregnato dalla funzione sublime che spetta alla femmina, sia nella vita in genere della sua specie, sia nelle relazioni intrapsichiche, ossia sociali, dell'aggregato di cui fa parte.
Dalle esperienze del Ceni risulterebbe che distruggendo parzialmente il cervello nelle chioccie e nelle cagne, si veggono seguire varii effetti disastrosi sulle funzioni psichiche e viscerali, tra cui primissima la secrezione lattea (nei mammiferi) con fenomeni di deficienza quantitativa e qualitativa, cioè con pervertimenti. Nella regione polare anteriore ed in quella posteriore degli emisferi si debbono porre con quasi assoluta certezza le localizzazioni dei componenti del fenomeno psichico della maternità e, in generale, di taluni fondamentali componenti dell'attività psichica. E sembra che alla maternità siano connesse specialmente le funzioni fisio-psichiche dei corpi striati e della regione dorsale mediana della corteccia.
È notevole il fatto che queste chioccie e cagne, mutilate variamente nell'encefalo, palesano, sì, mutamenti nel carattere, ma sopratutto mostrano lese le funzioni psichiche, percettive, affettive, istintive, che si riferiscono alla maternità; ciò è reso evidente nel modo con cui trascurano la loro prole lattante e si rifiutano le une alla cova, le altre all'allattamento.
Una cagna di un anno e mezzo, era buona ed affettuosa. Otto giorni dopo lo sgravio le vengono scarificati gli emisferi cerebrali dai due lati: essa aveva fino a quel giorno amorosamente allattato i suoi sei cuccioli, ma dopo l'operazione diventa indifferente, se ne allontana, perciò scarseggia di latte, e si è costretti a farle compiere l'ufficio di madre a viva forza, ossia in modo coatto; non vuole più coricarsi e finisce col dare il latte forzatamente, stando in piedi. Il suo cervello aveva dunque perduto il sentimento e con ciò il comportamento della maternità.
Non saprei dove trovare una dimostrazione più perentoria della specializzazione bio-psico-sociale del cervello femminile. La donna-madre ha dunque una funzione tutta sua nella evoluzione della mentalità umana. E si badi che dalle indagini sperimentali del Ceni sul valore della maternità nella vita non solo istintiva, ma altresì intellettuale, scaturiscono importantissime deduzioni nel dominio della Psicopatologia, che qui è inutile ricordare.
Bisogna anzi dire di più: non solo il legame naturale tra madre e figlio è alle origini di tutta la vita collettiva, così nella nostra specie, come in tutte le altre a dimorfismo sessuale tra i Vertebrati più alti, Uccelli e Mammiferi, ma è anche socialmente e giuridicamente il solo sicuro. Chi non ricorda l'angoscioso dramma che si dibatte nell'animo del «Padre» di Strindberg?
Presso moltissime popolazioni, il pernio della convivenza in forma di clan e tribù è anche adesso e verosimilmente fu per milioni di anni, in tutta la umanità primitiva, il fatto biologico della figliazione. Un dato «padre» non esisteva, ma l'orda, il clan intero, la tribù, si assumevano la funzione paterna che pertanto era multipla ed incerta; anzi, presso certe popolazioni molto arretrate, ancora oggi la maternità è ritenuta autonoma così che non c'entrano i maschi, checchè facciano; la donna forma nel suo seno la novella creatura, non perchè abbia «conosciuto» (come dice la Bibbia) un qualche maschio della sua o di tribù straniera, ma perchè in un dato momento essa è passata o deve essere passata accanto ad un albero sacro, ad una roccia sacra, o perchè pei campi ha incontrato un dato animale; molti «totem» provengono da cotale ignoranza. Ed allora come non ammettere che vi sia stato un tempo in cui la femmina, la «madre», era la Domina, parola che attraverso le peripezie della fonetica è diventata la Donna?
Si capisce come dopo tanti secoli di così spiccato differenziamento psico-sociale fra i due sessi, ciascuno dei due abbia acquistato caratteri particolari in dipendenza degli uffici che all'uno sono toccati o gli furono lasciati (questo vada detto delle donne) o che l'altro si è arrogato (questo vada detto dei maschi). Quello che i biologi chiamano «dimorfismo sessuale», è primitivo, originario, e l'uomo lo ha ereditato dalle specie che lo precedettero nella Evoluzione animale e delle quali egli è per forza l'erede, per quanto specificatamente dissimile. Saranno, come oggi si ritiene, gli «ormoni» degli organi riproduttivi quelli che agiscono per creare e mantenere i caratteri sessuali: benissimo, ma ciò vuol dire senz'altro che un cervello, sul quale agisce l'ormone ovarico, a sua volta rinforzato dal tiroidico, non potrà essere conformato, nè funzionare come un cervello al quale invece arrivano gli ormoni testicolari in maggiore o minore accordo con quelli, puta caso, dell'ipofisi o delle surrenali. L'Endocrinologia ci dà validissime ragioni per risolvere il problema della «eguaglianza sessuale» e ce ne dà anche per stabilire che femmina e maschio nella specie umana debbono differire fondamentalmente pel loro cervello. Questa differenza è stata egregiamente definita dalla Lombroso: – l'uomo, nella sua mentalità e nella sua condotta, è guidato dall'ego-centrismo, ossia dall'interesse individuale; la donna ha il suo fulcro psichico nell'altero-centrismo, e la sua vita è tutta una «dedizione alla specie» di cui, con la funzione materna, conserva e trasmette il tipo, pur concedendo in questo ufficio conservativo e traslativo l'inevitabile posto alle modificazioni evolutive della specie stessa.
Ma l'Homo è un animale politico, come diceva Aristotile, ossia socievole; ed io non posso rinunziare all'azione dell'ambiente, e sostengo che anche la vita sociale, col suo regime collettivo, con le reiterate abitudini, con i perseveranti costumi, con le antichissime divisioni del lavoro, deve avere esercitato il suo influsso per stabilizzare ed accrescere le differenze morfologiche fisiologiche e psicologiche dei due sessi. I femministi ad oltranza sostengono che la donna, quando fosse messa sullo stesso piede di azione e di preponderanza sociale che da milioni di anni gode l'uomo, saprebbe raggiungerlo in tutto: nel raziocinio, nell'inventiva, nell'iniziativa. Invece io credo che per agguagliare i due sessi sotto tutti gli aspetti non basterà che la donna acquisti un cervello più grosso, e si «mascolinizzi» nei centri dell'intelligenza; bisognerà che muti, come abbiam visto, anche le proporzioni dei varii segmenti encefalici, e per ottener ciò renda eguali le azioni dei suoi ormoni a quelli maschili. Cosa assurda! Non ci sarebbe altro mezzo che di fondere le qualità dei due sessi e formare l'Androgino perfetto, che Platone idealmente fantasticò, ma che sarebbe pure a lui apparso come un mito stupido se avesse avuto le conoscenze naturalistiche del suo grande successore, Aristotele! Nessuno, se non è un depravato, può avere simpatie per un terzo sesso.
Che cosa concludere da questi pochi dati positivi concernenti il cervello della donna? Che esso non è nè inferiore, nè superiore a quello dell'uomo; è semplicemente diverso. L'affermazione sembra enunciata da un La Palisse qualunque, tanto è semplice e logica; eppure, quanti sono coloro che accostandosi al problema della gerarchia dei due sessi sono partiti da nozioni biologiche cotanto elementari?
Se la donna avesse in Natura le stesse identiche finalità dell'uomo, allora soltanto il problema della sua «inferiorità» sarebbe ben posto; se a funzioni biologicamente eguali, rispondesse un cervello di minor mole, di più semplice e primordiale architettura, solo allora sarebbe il caso di metter Eva al disotto di Adamo. Ma finchè Eva sarà la «madre del genere umano» e avrà in natura la funzione di mantenere a spese del suo sangue e del suo dolore la specie, finchè sarà riconosciuto che l'uomo «nasce di donna», parlare di un grado più basso della donna che è la «madre», è assurdo, è antiscientifico. Il cervello della donna ha le sue forme, le sue strutture, la sua istologia, la sua architettura, il suo «stile», è meno voluminoso, meno pesante, meno denso, più «angusto», come aspramente giudicò Leopardi, non nella sola «parte» ma nella sua massa totale, perchè questa è e deve essere una ineluttabile differenza sessuale. Incaricata, com'è, della riproduzione della specie (e la Vita universale non ha altra finalità se non di conservare sè stessa e di propagarsi per mezzo degli individui), l'ufficio biologico della donna è in Natura assai più alto di quello dell'uomo.
Lo è forse meno in Società? Neppure, giacchè alla donna è riservata la conservazione della famiglia, di questo sacro focolare dove si maturano le sorti non solo fisiologiche ma altresì morali dei popoli. Colei che è la Vestale del focolare domestico, che forma con il suo sangue e con la sua carne la nuova creatura, che la mette al mondo con sofferenze tali che nessun maschio vi si assoggetterebbe senza protestare contro le leggi divine e naturali, a seconda del suo credo; colei che nutre del suo seno la fragile novella esistenza, che la protegge, l'assiste, ne dirige i primi passi, ne incita i primi balbettii, no, non sta al di sotto dell'uomo: per ciò che è finalità biologica essa lo supera; per ciò che è finalità sociale, essa lo agguaglia: anche nella compagine sociale la donna, massimamente se incivilita, adempie a funzioni necessarie; soltanto esse sono diverse dalle maschili.