Enrico Morselli
Sessualità umana

PARTE SECONDA PSICOSOCIOLOGIA SESSUALE

L'educazione sessuale.

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PARTE SECONDA

PSICOSOCIOLOGIA SESSUALE

L'educazione sessuale.

 

In verità c'è da ritenere che la diffusione incondizionata di conoscenze mediche nel gran pubblico non sia sempre utile, fors'anco, sotto certi riguardi, possa riescire decisamente dannosa, poichè il pubblico spesso si forma idee che mancano di base, o restano alla superficie delle cose, o sono subordinate non a criterii ragionevoli, ma il più delle volte a speranze irragionevoli, o, meglio, ad illusioni. Talvolta, certe idee pseudo-scientifiche si mutano in una rivolta contro quello che sarebbe più indicato nel caso particolare; da ultimo, filtrando piano piano e fissandosi nelle classi meno istruite, finiscono con l'essere sempre in ritardo sui progressi della vera Medicina.

Date queste lacune della «mezza coltura», certamente sarebbe preferibile che le masse versassero ancora nella pristina ignoranza, che intanto le rendeva più fiduciose verso la Medicina, e più docili e riconoscenti verso il medico, laddove oggidì prevale nei più uno spirito di ipercritica e di sfiducia verso la prima, di intolleranza e di sconoscenza verso il secondo. Ma in fatto di infezioni, di contagi, di malattie ereditarie, stimiamo utilissima questa tendenza dei «laici» a voler sapere, perchè allora si tratta di mali che abbastanza spesso la profilassi individuale serve a scongiurare; e se essa non venisse effettuata dagli individui singoli, il corpo sociale non saprebbe come difendersene se non con mezzi coercitivi.

Questa non è che una frazione del problema più vasto, che riguarda la opportunità della cosidetta «educazione sessuale», giacchè la maggiore ignoranza dei non medici intorno a cose di igiene e di medicina ha riguardato per lungo tempo appunto quelle malattie infettive, che traggono la loro ragion d'essere dalla funzione sessuale. Nell'epoca presente le nozioni su questa funzione e sugli organi che la compiono, sono molto più diffuse, quantunque arrivino al pubblico travisate da errori, da pregiudizii e da lacune; ma è merito di studiosi insigni dell'igiene sociale di avere sollevato il quesito di una conoscenza più copiosa e regolare a tale riguardo tra le giovani generazioni.

Nel termine di «educazione sessuale» si confondono due cose abbastanza distinte: la diffusione di buone e indispensabili conoscenze intorno agli organi ed alle funzioni di riproduzione, ossia, propriamente parlando, la istruzione sessuale; la regolazione volontaria delle tendenze sessuali a scopo igienico e morale, ossia la vera educazione sessuale.

Oggi è di moda combattere il razionalismo, ma basta la più superficiale considerazione di questa duplice faccia della questione per convincersi che la seconda dipende dalla prima, che cioè l'individuo e l'aggregato sociale non possono governarsi, secondo le buone regole, nelle cose sessuali, se prima queste non sono conosciute. Qui c'è una risposta che ci sembra vittoriosa, a tutti i pragmatismi fantastici per rispetto a quella attività fondamentalissima degli uomini che è la sessualità anche nel seno delle Società civili: anzi, più in queste che non nelle incivili. Derivi pure la Ragione dalla pratica, ma nella evoluzione intellettuale e morale della Umanità essa deve avere il predominio: il che vuol dire precedere, dirigere, regolare l'Azione. Non v'è dubbio che in tutte le questioni concernenti la sessualità, la saggezza prende la sua rivincita sull'istinto, ossia su ogni sorta di misticismo, vecchio o nuovo!

Parliamo di una istruzione sessuale quale fondamento di una ideale educazione sessuale; e già vediamo che essa ci pone dinnanzi parecchi quesiti secondarii, subordinati l'uno all'altro: – Devesi impartire una istruzione sessuale? E a chi, e a quale età, deve essere impartita? Quale ne sarà il programma? Chi si incaricherà di impartirla? – Dal che si vede quanto il problema sia complicato, e si capisce come diversi siano i pareri e i consigli dei pedagogisti e igienisti. Ora, senza volere esporre singolarmente i diversi punti del programma di una bene intesa istruzione sessuale, diremo soltanto che lo si deve esaminare, bensì con larghezza di idee, ma anche con quella prudenza di criterii che deriva da una conoscenza profonda della psicologia e sociologia. Citeremo un esempio che ci viene porto da una conferenza tenuta tempo fa da un insegnante delle Scuole primarie, il sig. Marino Venturi (cfr. «Rivista pedagogica», 1914, N. 15).

Il Venturi sostiene con vigore la necessità dell'insegnamento sessuale, e presenta un programma abbastanza particolareggiato per le sei classi elementari. Ritiene compito del maestro lo spiegare ad alunni di 7 anni che cosa sono il feto, la gestazione, il parto; ad alunni di 8 anni, che cosa sono il sesso, gli organi generativi, l'ufficio del maschio, la fecondazione; ad alunni di 9 anni, che cosa sono le malattie veneree (?!) e l'onanismo; ad alunni di 10, che cosa è il prodotto degli organi generativi; a quelli di 11, la concezione, la donna e l'uomo (descrizione); e a quelli di 12, il matrimonio, il divorzio e la prostituzione (!!!).

Quantunque noi siamo propensi ad istruire liberissimamente, per evitare i notevoli danni che alla salute nervosa e mentale dei giovani può derivare dalla completa ignoranza delle funzioni sessuali e dei nocumenti che in essa si nascondono, non possiamo ammettere che il programma del Venturi sia realmente vantaggioso. Fanciulli di 7-9 anni, adolescenti di 11-12, non possono rivolgere senza pericolo la loro attenzione agli organi generatori: e pur noi col Carassali, che sulla «Rivista pedagogica» criticò la soverchia anticipazione di una istruzione sì fatta prima della pubertà, crediamo più utile non esagerare. D'altra parte, è assurdo parlare a ragazzi di 9 anni di malattie veneree, e far sapere a quelli di 12 anni che cosa sono divorzio e prostituzione: qui si cade nel grottesco! Appena a giovinette di quella età si potrà insegnare che cosa sia il fenomeno della mestruazione, e prospettare più tardi i diritti e doveri del matrimonio.

Sopratutto a fanciulli e adolescenti appartenenti a famiglie tarate e predisposti dalla eredità patologica a nevrosi e a psicosi, e la cui igiene mentale implica delicatissime norme educative, ci par pericoloso il discorrere di sessualità e di organi genitali, dato che non di rado la predisposizione neuro-psicopatica si può rivelare per l'appunto con la precocità dell'istinto. Soltanto quando occorra premunire tali soggetti contro i danni del vizio solitario, la completa istruzione sessuale sarà necessaria. Qui si scorge quanto il problema teorico si faccia arduo ogni qualvolta si passa a guardarlo sotto l'aspetto pratico.

La Scuola, per il contagio psichico che facilita tra gli alunni, non ci sembra il luogo più adatto alla istruzione sessuale; per ora i nostri insegnanti delle scuole elementari o medie sono maturi abbastanza al gravissimo compito. Parrebbe ovvio che istruttori, e sopratutto educatori, in tal caso dovrebbero essere i genitori: certo, per le fanciulle la maestra migliore sarà sempre la madre; e questa sarebbe una funzione sociale nobilissima che il movimento femminista dovrebbe reclamare, piuttosto che rivolgersi al soddisfacimento di aspirazioni semi-mascoline. Per i giovanetti, la questione aumenta di difficoltà, poichè i padri non sono sempre i più idonei. Se ne potrebbe incaricare il medico, qualora la Medicina sociale cessasse di rimanere asservita a programmi semplicemente di indole economica, ma avesse la completa coscienza della propria funzione rispetto all'igiene fisica e psichica delle popolazioni largamente intesa. Sarebbe, dunque, un compito da assegnare a quella categoria di «Medici scolastici» che venne istituita per difender meglio nella Scuola i diritti dell'Igiene, ma che dovrebbe tutelare oggi, più specialmente, quelli della Eugenetica.

Nel programma minuto del Venturi esiste una proposta che a noi, alienisti e neurologi, oggi appare importantissima: vi si accenna ai danni dell'onanismo per l'igiene individuale, e ai pericoli ancor più gravi delle malattie veneree, massime della sifilide, per l'igiene individuale e sociale ad un tempo.

Questa proposta, discutibile solo per l'età cui si riferirebbe l'insegnamento, va contro tutti i vecchi pregiudizii circa l'insegnamento pieno e completo della verità in fatto di costumi sessuali. Infatti, noi abbiamo letto molti scritti e udite parecchie conferenze attorno a questo acutizzato problema della Pedagogia diretta a scopi di «vita reale» come si suol dire; e siamo rimasti un po' sorpresi che nel programma della istruzione sessuale che si vorrebbe impartire ai giovanetti dei due sessi, vi si accennasse di sfuggita alle malattie di origine genitale. Se il programma pedagogico da quella parte vuole essere anche un mezzo di fare della Eugenetica, quasi quasi diremmo che ciò che più importa di far sapere non è tanto la conformazione e la funzionalità degli organi genitali (chè a tali conoscenze tutti arrivano oggi di buon'ora), quanto la parte meno allettante e più disgustosa dello spinoso argomento.

Ma la sifilide, e anche la blenorragia (che contrariamente alla opinione volgare lascia spesso dannosissime conseguenze per tutta la vita tanto nel maschio quanto sopratutto nella donna), sono tra quelle piaghe dei popoli civili, che per essere prevenute e cancellate esigono il maggior contributo della saggezza individuale, fatta di conoscenza e di volontà, come lo esigono l'alcoolismo e in parte la stessa tubercolosi. Invece, per lunghissimo tempo, in ragione delle loro origini impure, esse, e principalmente la sifilide, sono state considerate «malattie vergognose» anzi «colpose», di guisa chè non si usava parlarne tra gente per bene, e la gioventù veniva lasciata nella più completa ignoranza intorno alla facilità di contrarle e intorno alle loro conseguenze funeste per la salute pubblica e privata. Naturalmente se ne taceva nel modo più assoluto con le fanciulle e giovinette anche alla vigilia delle nozze: agli adolescenti si dava, per contro, in lettura l'opuscolo terrificante del Tissot sull'onanismo, che pur essendo ispirato a scopi utili ha provocato e provoca tuttora numerosi casi di ipocondria masturbatoria. La letteratura igienica sull'argomento, che potesse essere accessibile ai «laici», è stata fino a questi ultimi tempi scarsissima: soltanto molti anni or sono comparvero quegli Elementi di Scienza Sociale, che un medico inglese illustre, il dottor Drysdale, dovette pubblicare in forma anonima, e nei quali accanto a capitoletti di filosofia naturale, filosofia religiosa, ed etica, si parlava apertamente delle malattie di origine venerea. Nessuno dei nostri più insigni scrittori di igiene ha scritto rispetto a queste malattie un libro di valore, paragonabile a quello che è Un giorno a Madera di Paolo Mantegazza per la tubercolosi.

Venne un giorno in cui un commediografo di ingegno, il Brieux, ebbe l'audacia di mettere la sifilide in scena: non ebbe però il coraggio di chiamarla col suo nome malfamato, e la disse «avarie», usando un termine che non è specifico preciso, che dice troppo e non dice niente, perchè le malattie tutte intaccano, guastano l'organismo. Il Brieux fece male perchè non si modificano le cose cambiando loro nome, e per di più gli spettatori debbono capir presto e non fare sforzi inutili. Meglio fu ispirato Ibsen negli Spettri. Lasciamo dunque i pregiudizii: la scienza e la verità non debbono tollerarli. E diciamo chiaro e schietto, e facciamo sapere il più ampiamente possibile, che la sifilide è una malattia come tutte le altre, ma la più funesta di tutte, dopo la tubercolosi, per la razza umana; bisogna difendersene, bisogna conoscerla, bisogna pensarci: e non esistono al mondo cose alle quali si debba pensar sempre senza parlarne mai.

Perciò noi abbiamo visto con piacere che prima della immane guerra, i giornali più serii, aventi lo scopo di accrescere la coltura generale, si erano messi a diffondere tra il pubblico cognizioni precise fino a popolarizzare gli acquisti terapeutici della Medicina scientifica intorno alla sifilide. Così nel 1914 la «Revue des deux Mondes» riportava un articolo molto ben fatto di Carlo Nordmann sotto il titolo espressivo di Grandi flagelli. Ed in questi anni del dopo guerra il problema della prevenzione delle malattie veneree è stato da venereologi, da sociologi, da alienisti e da neurologi, intensamente dibattuto non solo con articoli, con volumi, o in seno a speciali associazioni colturali, ma è stato portato alla gran massa del pubblico con intenti piani e semplici di istruzione sessuale e di profilassi venerea.

È certo che ogni persona dovrebbe sapere fino dalla adolescenza che la sifilide è un terribile malore, che bisogna prevenire con tutte le cautele possibili, e che una volta contratta, se fosse sottaciuta da chi la porta, diventa a sua volta una grave colpa in ragione degli effetti possibili sulla persona del coniuge e sulla discendenza.

Ora, la sifilide può essere talvolta vergognosa conseguenza della dissolutezza, e allora si presenterà come un biasimevole errore; ma molti si infettano nel modo più incensurabile, e non raramente fino dai primi inesperti rapporti sessuali. Indubbiamente essa, nella immensa maggioranza dei casi, viene contratta per mezzo di commercio carnale diretto o indiretto. Ma quel che aumenta di molto il pericolo del contagio nei maschi, è che la infezione si può trasmettere anche coll'uso di bicchieri, di pettini, di spazzole e rasoi, ecc., ed esser presa nei bagni pubblici o tra le lenzuola di alberghi poco puliti: tuttavia, la evenienza che la infezione entri accidentalmente per queste vie, costituisce una rarissima eccezione. Però sarebbe un eccesso far credere che tale fatto sia comune: in una vera istruzione sessuale, il neurologo e l'alienista, che oggi valutano in tutta la sua ampiezza la subdola azione del treponema, insisteranno sempre che si fissi bene la nozione realistica del contagio per mezzo dell'atto carnale o dei suoi più o meno artificiosi sostituti.

Bisogna anzitutto, che chi ha avuto la sfortuna di contagiarsi, si appresti con abnegazione a sopportarne da solo il gravissimo peso fisico. Questo contagio impone doveri morali, che purtroppo la massima parte degli uomini considera con leggerezza; perciò diciamo che dalla conoscenza più ampia del male deriverà il principio etico della vera educazione sessuale. Chi è sifilitico, non si ammogli prima del tempo che gli verrà concesso da oculati e non condiscendenti sanitari; che se proprio non può o non vuole farne a meno, sappia quale enorme responsabilità si assume di fronte alla sua sposa, alla sua figliuolanza, alla discendenza, e perciò di fronte alla società ed alla umanità.

È doloroso constatare che per almeno tre secoli l'educazione reticente ed ipocrita, imposta dai Gesuiti al nostro mondo occidentale, col suo colpevole silenzio intorno alle cose sessuali ha resa ottusa la coscienza morale che riguarda i doveri dell'individuo verso gli altri in questa sfera della condotta, dando una superflua importanza alla peccaminosità «veniale» delle soddisfazioni solitarie, e dimenticando le vere «immondizie» dei «peccati della carne». È codesto silenzio, purtroppo frequentissimo per non dire universale, dei sifilitici, non già l'aver preso il contagio, quel che dovrebbe essere considerato un atto quasi criminale, specialmente quando si voglia convolare a nozze, o quando più tardi si introduca inconsideratamente l'infezione nel talamo coniugale.

Non si può più credere che oggi esista persona appena mediocremente colta che non sappia quel che di terribile può colpire la discendenza del sifilitico. Eppure, è orribile pensare che vi sieno ancora in mezzo alla cosidetta umanità civile degli incoscienti, che recando in il germe di tanti mali degenerativi, dolorosi, irrimediabili, lontanamente trasmissibili, massime nel sistema nervoso, non riflettano alle conseguenze dei loro rapporti sessuali, non abbian forza morale per contenersi, e contribuiscano alla creazione di tanti infelici.

La donna, specialmente, ha diritto di sapere, come sposa e come madre, che la sifilide, oltre ad essere contagiosa, è ereditaria; che il triste malanno passa attraverso l'alvo materno nel fragile organismo della nuova creatura; e che più tardi questa lo suggerà col suo latte, mentre essa, la innocente che ne è stata contaminata, non lo saprà lo potrà impedire. La donna deve sapere che la sifilide è, fra tutte, la malattia che cagiona il maggior numero di aborti, e che uccide il maggior numero di neonati. E volendosi cifre, bastino queste: all'Ospedale di Saint Louis, a Parigi, su 148 gestanti sifilitiche si registravano 123 nati-morti, e all'Ospedale Broca la mortalità è stata di oltre 75 su 100 in casi analoghi.

Per giudicare della importanza sociale di una coltura sessuale così concepita, occorre ricordare ai giovani che, secondo il professore Fournier, un uomo su 6 a Parigi è sifilitico; e che secondo il Blaschko, a Berlino, fra i giovani al disotto dei trent'anni la proporzione è di uno su 4. La nostra esperienza non ci porta fino a quelle cifre: noi teniamo conto da molti anni del dato anamnestico della sifilide dei nostri malati nervosi e mentali, e non siamo arrivati per un pezzo al di del 15 per cento.

Ma con gli ultimi studii sulla eredo-sifilide e sulla reazione di Wassermann è evidente che la cerchia delle malattie sifilogene si trova enormemente cresciuta, dal momento che vi possono entrare moltissime encefaliti infantili, moltissime epilessie pretese idiopatiche, e gli idiotismi cerebroplegici, e molte pazzie morali (Plaut), e una folla di degenerazioni psichiche, fors'anco certi casi di sclerosi multipla, di miopatia primitiva, di atassie famigliari, di demenze precoci, ecc., ecc.

E bisogna combattere l'idea falsa che di lue celtica non si muoia. La mortalità è altissima; il prof. Leredde ha sostenuto, con ragionamento un po' pessimista ma confortato da validi argomenti, che se nel 1910 a Parigi 11.000 decessi furono dovuti a tubercolosi e 2500 a cancro, ben oltre 3000 derivavano da sifilide, almeno indirettamente, annettendole cioè i numerosi casi di tabe e di paralisi generale, la quale, come è ormai noto, dopo le scoperte del Noguchi e le conferme del Levaditi, di A. Marie e di altri, è dovuta al treponema pallido. Inoltre il treponema si trova di certo nella preparazione di molte malattie di origine mal nota, fra cui le emorragie cerebrali, massime precoci, l'arteriosclerosi, gli aneurismi aortici, talune nefriti, e via via.

Bisogna riconoscere che negli ultimi tempi i medici che eserciscono specialmente nei maggiori centri urbani, hanno rilevato nei clienti un minore riserbo per ciò che è dichiarazione esplicita di avere preso il contagio, maggiore premura di essere assicurati con particolari indagini cliniche, e vivo desiderio di essere sottoposti a cure «energiche»; ma ciò che più importa, scorgono ora un accresciuto senso di responsabilità personale di fronte al matrimonio ed alla procreazione.

Crediamo pur noi col Nordmann che questa odierna fase della coltura generale in riguardo della lue celtica sia stata specialmente iniziata o, almeno, vivificata dalle notizie apparse a loro tempo sui grandi quotidiani intorno alle celebri esperienze compiute nell'Istituto Pasteur sulla trasmissibilità del contagio dall'uomo alla scimmia. Da quando il pubblico ha saputo che le dottrine darwiniane ci fanno apparentati colle scimmie, queste godono di una certa fama e svegliano maggiore interessamento di prima. Un bel giorno si seppe che Elia Metchnikoff era riuscito ad inoculare la sifilide nella scimmie antropomorfe, e che il suo povero Scimpanzè presentava lesioni cutanee diffuse, identiche a quelle che si manifestano nell'uomo. Se per i patologi questa apparve una inestimabile scoperta, perchè mai si era prima riusciti a trasmettere la malattia agli animali e si acquistava così un eccellente mezzo di studio sperimentale, e se agli antropologi il fatto venne ancora a dimostrare in maniera inconfutabile la stretta parentela (filogenetica) fra tutti i rappresentanti del ramo attuale dei Primati, il pubblico vi scorse invece il lato pratico della cosa, ossia la diretta contagiosità della sifilide; e da allora si riaffermò o si sviluppò nei più il giusto timore della infezione.

Contemporaneamente si è avuta la diffusione di altre notizie non meno utili nella loro determinatezza. Ormai si conoscono e si apprezzano i progressi che han fatto in questi ultimi tempi le nostre conoscenze sulla patogenesi della sifilide: cioè che lo Schaudinn ne ha scoperto il microbo, il treponema pallidum, che permette di caratterizzare immediatamente una lesione sospetta mediante l'ultra-microscopio; e che metodi nuovi di diagnosi, come l'ingegnosa e celebre analisi del sangue con la reazione del Wassermann, ci rivelano la malattia nelle forme meno evidenti. Dobbiamo però dire che se la prima nozione, per sua stessa indole tecnica, non ha molto impressionato il pubblico, che si contenta di sapere che la lue è una infezione da schivare, la seconda, in ragione della sua utilità pratica, ha invece fatto già il suo ingresso più che trionfale fra le cose meglio sapute anche fuori delle sfere mediche. A noi specialisti delle malattie nervose avviene quasi ogni giorno di sentirci domandare la «reazione del sangue» da persone che non crederemmo dotate di adeguata coltura scientifica: qualche paziente ha già pensato a procurarsela mediante il proprio medico fiduciario, e ce ne porta scritta la relazione fin dal primo consulto.

Un altro fatto che ci prova il miglioramento della coltura, consiste in ciò che oggigiorno quasi tutti gli individui che furono contagiati, non solo ricorrono al medico specialista, ma eseguono altresì con maggiore pazienza le lunghe e fastidiose cure necessarie per combattere la sifilide. Ordinariamente questi ammalati accettano oggigiorno il penoso dovere di continuare i trattamenti specifici per anni ed anni; e se questo fatto si deve ascrivere a merito dei sifilografi, non è meno vero che ci rivela nei pazienti uno stato d'animo vantaggioso all'individuo ed all'aggregato sotto l'aspetto eugenetico.

Si è segnalata da alcuni, per certi paesi, una diminuzione della paralisi generale e della tabe (noi stessi ce ne siamo convinti). Orbene, non si potrà attribuirla soltanto al miglioramento delle prescrizioni da parte dei medici: vi contribuirà anche da parte dei contagiati una più scrupolosa esecuzione di esse; come ci prova il fatto che, ricorrendo allo specialista neurologo, molti di quegli infermi gli dicono di meravigliarsi delle loro sofferenze «avendo essi preso il mercurio o l'jodio durante tutti gli ultimi anni».

Ma sopratutto ha giovato la pubblicità che si è fatta attorno alla scoperta di Herlich e di Hata. Quando si annunciò che l'insigne scienziato, dopo centinaia di tentativi, era arrivato a comporre il suo famoso rimedio, che ha poi cangiato l'ispido nome chimico primitivo in quello a tutti accessibile di «salvarsan», tutti lo accolsero con speranza, anzi con fervore di fiducia. Se il fanatismo dei primissimi tempi portava danno, poichè presentava quale panacea di tutti i casi di lue un acquisto della terapia che lo stesso suo scopritore coscienziosamente avvertiva dover essere usato con le debite cautele e non poteva applicarsi al di di certi limiti, ciò dipese dal solito svantaggio della mezza coltura dei giornalisti, che non comprendono quasi mai la necessità dei mezzi termini e sempre descrivono o definiscono in maniera recisa per potere essere capiti dai loro numerosissimi lettori. In seguito, le polemiche, le discussioni, ridussero giustamente l'importanza del prodotto: nuovi ritrovati chimici sulla base di quello scoperto da Herlich vennero introdotti nella terapia; ma il grosso pubblico di tutto questo movimento di teorie, di ricerche chimiche, di osservazioni cliniche, ha afferrato la modalità mutata della cura, cioè la via endovenosa; ed attualmente sa che la diagnosi di una sifilide deve essere seguita da una terapia che utilizzi la via delle vene per la introduzione del medicamento.

Ora nessuno di questi prodotti ha una azione assoluta: la stessa quantità di essi lo dice chiaramente. E questo deve essere bene risaputo per una reale educazione sessuale. I credenti suppongono che la Provvidenza, non avendo potuto impedire la creazione dei mali, abbia poi fatto nascere nel mondo i rispettivi rimedii; così gli ignoranti o i mezzo-colti, che sono anche peggiori, chiedono alla scienza quello che essa non potrà mai dare, appunto perchè mancano del concetto di «relatività», il cui possesso richiede un po' di filosofia.

Al gran pubblico non conviene mai creare illusioni o speranze caduche; esso non è in grado di valutare la reale portata dei ritrovati medicamentosi e propende sempre ad esagerare da un lato o dall'altro: ora per eccesso di fede, ed ora per sragionato scetticismo. Una istruzione sessuale appropriata al suo fine deve stare lontana dai danni e dagli svantaggi di una esagerata popolarizzazione della scienza.

 


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