Enrico Morselli
Sessualità umana

PARTE SECONDA PSICOSOCIOLOGIA SESSUALE

L'”amor venale”.

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L'”amor venale”.

 

L'argomento dell'«amor venale» non è, a dir vero, moderno se non in quanto modernissima, anzi attualissima, la sua diffusione; se non perchè le atroci vicende della guerra mondiale che sono state superate, e quelle attuali stentate che tuttora si superano dal così detto mondo civile, l'hanno fatto fermentare in mezzo a noi con maggiore violenza e i costumi del giorno ce lo mettono sfacciatamente sotto gli occhi.

L'amore mercenario fu sempre giudicato con grande severità da filosofi, da teologi, da storici, da moralisti; e quando gli si attaccarono le malattie infettive che ne sono purtroppo l'ormai inevitabile corredo, fu proclamato un pericolo grave per l'individuo, un male gravissimo per il consorzio umano. I sociologi lo enumerano accanto al delitto, alla pazzia ed al suicidio come una delle grandi «malattie del corpo sociale»; gli igienisti e gli eugenisti, in ragione di quello che esso porta con , lo proclamano un fattore di degenerazione della razza. Ma sta il fatto che la prostituzione sembra immedesimarsi con l'Evoluzione biologica e sociale dell'Umanità: non si conosce popolo dove non sia stata praticata, e si hanno molti esempi di società protostoriche o storiche, dove, a prescindere dalle conquiste violente, la donna non era posseduta dal maschio senza doni, anche se questi andavano ai suoi parenti.

Recentemente si è voluto sostenere che l'Umanità primitiva aveva purezza di costumi, perchè le unioni erano monogame e salde, non c'erano mercenarie di amore, la tribù aveva orrore della promiscuità sessuale e dell'adulterio; ma questo è uno dei lati meno veridici dell'attuale corrente neo-idealistica. Le viventi tribù di Pigmei o Pigmoidi primitivi, presentate ed esaltate dal gesuita etnologo Padre Schmid come il residuo dell'Umanità adamitica, non risalgono di certo a quelle età primordiali, geologiche, quando l'uomo nelle sue fattezze corporee somigliò alla bestia, e bestia rimase nella sua vita individuale e sociale per milioni di anni. È ridicolo ed è scientificamente assurdo retrodatare i costumi, pretesi «puri» nei rapporti sessuali, di popolazioni e razze probabilmente di sviluppo recente: l'Uomo più antico che la Scienza oggi conosce è quello della mandibola di Mauer, il cui solo aspetto belluino ci impone la credenza in una Umanità sotto tutti i riguardi, forse vivente sugli alberi o nelle oscurità delle foreste come gli attuali ultimi branchi di Gorilli o di Orang. In quei branchi, divenuti poi le prime orde e aggregazioni umane, la Evoluzione della famiglia, e con essa la condizione morale della donna, forse seguì linee diverse. Vi sono prove induttive di una formazione famigliare basata sul gran fatto biologico della funzione di maternità, dove pertanto la donna costituì il nucleo dell'aggregato e forse vi dominò in quanto era la «madre» (teoria del «matriarcato»); se ne hanno traccie indiscutibili presso molti popoli antichi, moderni e alcuni viventi, anche se tale assetto sociale non fu generalizzato.

Può anche essere che, dove le condizioni di vita erano favorevoli, la famiglia si sia formata sulle unioni monogame, come avviene in molte specie animali (la fedeltà coniugale non è sicuramente un privilegio dell'Homo sapiens, tutt'altro!); ma dove la vita dei singoli individui era difficile perchè minacciata da nemici o resa incerta dalle scarse provvigioni, certo i maschi più forti si crearono con feroce egoismo una famiglia poligama, donde i giovani più deboli erano cacciati, costringendoli così alla conquista di una femmina altrui o colla violenza o col ratto o colle attrattive dei doni. Ed ecco nascere la prostituzione, poichè fin d'allora la donna conobbe e praticò l'arte della seduzione, non soltanto colla bellezza di quel corpo che era la sua unica proprietà, ma pure col fascino degli ornamenti; per ottenere questi dall'uomo che la desiderava e per rendere la propria condizione meno aspra e meno dipendente, la donna si vendette o si lasciò comprare. Ancora oggi, nel bel mezzo della Civiltà di cui andiamo orgogliosi, non è questa la ragion prima della prostituzione?

Dobbiamo essere sinceri e riconoscere che è molto difficile dire che la prostituzione sia tutta male, e non contenga una parte, se pur piccolissima, di bene. Il fatto innegabile che essa è stata di tutti i tempi, che si è sviluppata e talvolta ha prosperato presso tutte le razze umane, dalle più selvaggie alle più civili; che, anzi, essa è arrivata al suo apogeo nelle grandi epoche della Storia, sia pure segnandovi i principii della decadenza come un frutto che passa oltre alle fasi della sua maturità: tutto ci denota che essa adempie nel consorzio umano una «funzione». Orbene, definire senza preconcetti tale funzione, stabilirne i limiti, indicare, quando sia possibile, gli organi sociali che potrebbero sostituirla col minor danno dell'individuo e col maggior vantaggio del corpo collettivo, ecco un bel programma per una Sociologia positiva, che tenga il piede su di un terreno solido e non si ubbriachi di illusioni astratte. E allora ci si può, ci si deve chiedere, se la prostituzione, dato che appartiene ai fenomeni storici, per così dire universali, sia da condannare senza remissione, e se la mercenaria di amore, dato che si incarica di impersonare questa funzione sociale, sia poi tanto spregevole.

Io non mi erigo a paladino, della funzione, di chi la compie; ma neanco sento di potere erigermi a giudice inesorabile di un fatto che ha le sue motivazioni nella stessa Natura e corrisponde, dal momento che esiste, ad una utilità: il Sociologo non è un moralista. La Scienza ammette oggi che nulla vi è di assolutamente inutile e di assolutamente dannoso, poichè bisogna, persino nelle malattie che ci colpiscono con una infezione che è tale solo per noi e non per l'essere infettante, guardare di dai cancelli del nostro antropomorfismo e antropocentrismo. Non altrimenti si spiega che certi popoli antichi non abbiano avuto alcun orrore verso la prostituzione, e che qualcuno fra quelli più oggi ammirati, l'abbia perfino praticata come usanza sacra; in Grecia antica alle etère più elette, nel Giappone moderno fino a pochi anni fa alle «geishe» più celebri, si alzavano monumenti! Se è giusto che non si arrivi a questo eccesso, neanco ci dimenticheremo che senza parlare della letteratura – e la Dame aux camélias ce lo attesta – anche la Sociologia di spirito più aperto ha difesa, e per così dire, «moralizzata» la mercenaria di amore. Uno scrittore insigne, il Lecky, nella sua celebre Storia della Morale Europea, ne scrisse questo paradossale panegirico: «La prostituta è il tipo del vizio ed è la custode della virtù; essa è la eterna sacerdotessa dell'Umanità, sacrificata per i peccati del popolo» (L. II, p. 283). Perchè, in fine dei conti, gridando tanto contro l'amore venale, forse badiamo troppo ai suoi lati peggiori (la rilassatezza dei costumi, la diffusione delle malattie veneree e sopratutto della terribile sifilide, la servitù delle professionali coercite come un gregge, la frequente associazione col delitto, con l'alcoolismo e anche col cocainismo, in questi ultimi anni), ma badiamo meno ai suoi non facilmente surrogabili bassi servigi. Basti indicarne uno, l'indissolubile nesso che il problema della prostituzione ha con quello del celibato, divenuto oggi una condizione quasi inevitabile per una folla di uomini e di donne, e che in una ideale loro anasessualità fisica e psichica riuscirebbe una sofferenza quasi intollerabile.

Nel 1875, quando Giuseppina Buttler iniziò il suo generoso, ma utopistico movimento contro la regolamentazione ufficiale della prostituzione, giudicandola una immoralità per lo Stato ed una degradazione per la donna, io non mi ribellai al contenuto ideale di quell'apostolato, che mirava in sostanza alla liberazione della donna da una vera schiavitù, ed oggi ancora dubito sull'efficacia e sulla opportunità etico-giuridica di quelle coercizioni; ma nella mia qualità di medico e di antropo-sociologo credetti mio obbligo di mettere in rilievo il lato fisiologico della questione, che la celebre agitatrice trascurava. Certamente se si pensa alle tristizie connesse a quei Regolamenti di Sanità si ha motivo per auspicarne l'abolizione; ma converrebbe che prima la mentalità individuale si perfezionasse fino al punto da indurre a rinunzie penose per l'egoismo in vista del Bene pubblico; ciò che può appena sperarsi in una Umanità futura, lontanissima.

Ed aggiungevo queste altre considerazioni pratiche. «I più robusti, i più validi, quelli che sentono più energicamente la voce imperiosa di natura, dovrebbero forse rinunziare alle soddisfazioni normali e seppellire o ingannare l'istinto? Se si abolisse la prostituzione regolare o regolarizzata, che è intanto una immoralità patente, libera, esposta alla luce e perciò controllabile, almeno entro certi limiti, per certi suoi inconvenienti che possiamo vedere e schivare, noi avremmo l'immoralità subdola, tanto più corruttrice, che si infiltrerà sempre più nella famiglia già abbastanza minata dai nostri costumi; allora, sì, che incorrerebbero nel pericolo le istituzioni cui diamo il massimo valore moralizzatore, famiglia, matrimonio, maternità, diritti di successione; insomma un male grosso invece di un male mediocre...». La menzogna fatta regola di condotta è sempre posponibile alla verità, sia pur confessabile solo con un senso di vergogna.

Oggi torno a ripetermi. È vano scandalizzarsi, è sciocco protestare in nome di un'Etica, più formalistica che sostanziale, quando ci si trova in contrasto colle leggi fisiologiche dello sviluppo individuale e con le leggi sociologiche dell'Evoluzione civile. Nell'individuo la maturità sessuale sempre più di gran lunga precede quella tale maturità sociale, che in una Società idealmente monogama permette le soddisfazioni dell'istinto soltanto entro i limiti della sana, della legittima unione coniugale. Dove le difficoltà economiche dell'esistenza diventano inibitorie per le nozze regolari, i maschi cercheranno sempre le femmine e si adatteranno a comprarne in qualche modo il possesso; e le femmine, qualora ne abbiano il «temperamento», cercheranno sempre i maschi che se ne lascino sedurre, o andranno a offrirsi per soddisfare i loro appetiti di lusso, il loro desiderio di relativa indipendenza, e alcuna forse il suo stesso istinto! Penoso a dirsi, ma per ora e chissà per quanto tempo ancora, penosamente vero!

Si scorge qui l'intreccio gordiano dei problemi sociali: la coercitiva astinenza sessuale, per chi non è maturo o non è portato al matrimonio, e la necessità dei mezzi artificiali di seduzione, consistenti nelle appariscenze ornamentali che i costumi hanno inflitto alla donna; esse si presentano interdipendenti. Si escirà senza dubbio da queste difficoltà e imperfezioni della odierna Vita sociale; ma per ora bisogna contentarsi di esprimere voti perchè siano liberate le generazioni future: la Sociologia vegga intanto ed esamini la Realtà, e così si troverà in grado di indicare ai nostri figli e nepoti le vie dello scampo.

Ma oggi, senza l'amore venale, chi salverebbe il matrimonio e la famiglia? Esso è spesso una valvola di sicurezza pei nostri istituti famigliari già in via di dissoluzione; su questo punto il Lecky, che scriveva nel 1869, aveva ragione. In fondo, la mercenaria di amore, più che colpevole, è una vittima che la Società sacrifica sull'altare della Morale domestica: se non altro, salva la gioventù dallo schifoso vizio solitario, o almeno attenua gli effetti che sono il gesuitismo ipocrita e la stupida misoginia, e da quella lurida piaga conseguente alla pretesa «continenza» che è l'omosessualità, la quale giunge all'estremo della depravazione sostituendo alla donna prostituta il cinedo e il pederasta. Insomma, dirò con Weininger, la donna mercenaria è la salvaguardia della donna-madre.

La castità assoluta è una delle virtù individuali più elogiate; ma è forse quella che, in realtà, meno si pratica, tanto che chi l'ha o si suppone l'abbia praticata (parlo della castità che rispetta anche il proprio corpo) è stato messo sugli altari. La continenza dei costumi è una delle virtù pubbliche più apprezzate; ma è anche, in realtà, quella che pochissimi popoli hanno imposta all'individuo, anch'essi sotto l'assillo di leggi severissime o di inibizioni di casta. All'opposto la prostituzione è una delle cose di cui si dice o si fa mostra di pensare il peggior male; ma il vero si è che la si disprezza in teoria, nei panegirici della purità sublimata, nelle prediche dei moralisti e nei libri dei filosofi pseudo-idealisti, mentre la si pratica su scala sempre più grande, mentre la si tollera, la si sottopone a regole «saggie» e «previdenti» al pari di ogni altra utile ed elogiata istituzione pubblica: lo Stato ne ha fatto un organismo semi-ufficiale, e da Solone in poi ne trae dei loschi profitti fiscali. Ecco la posizione del problema sociale; è dessa da riformare? Sicuramente: ma come? ma quando?

Si proclama che la gioventù deve essere casta; e sta bene: nessuno, di fronte al dilagare della sifilide, nega i pregi individuali e sociali della continenza; ma non ha questa pure i suoi svantaggi? non ha le sue scappatoie nel vizio di Onan, o i suoi malanni nella neurastenia genitale e nella demenza precoce imperversanti assai più fra i casti che fra i libertini, per mia esperienza clinica? E poi, con quale coraggio si reclama la continenza in mezzo ad una Società dove sono permessi e ricercati e favoriti tutti gli eccitamenti al vizio, sia nella Letteratura, sia nell'Arte, sia nei costumi di abbigliamento? Agli occhi di un sociologo positivista, tutto si collega; se vi lagnate dell'aumento della prostituzione, dovete anche ammettere che nulla è stato fatto dai Pubblici Poteri, ben poco dalle Associazioni umanitarie, pochissimo dalle iniziative private di «moralizzazione», per impedire tale fenomeno impressionante. Si protesti pure contro la donna che si vende; ma allora perchè le si lasciano porre in mostra quelle cose, che per l'appunto si vendono e si comprano, le belle scollacciature, le braccia ben tornite e desiderabili e le cervine caviglie?

Ognun vede come in questo momento, preparato diggià dall'avanguerra, accentuatosi dopo la guerra, il fenomeno psico-sessuale imperi; la costumatezza diventa sempre più il mito astratto di una Moralità che, anche quando si teneva abbracciata alla Religione, non seppe mai salvarsi dalla sconfitta di fronte al prepotere degli istinti, ai capricci della moda, alle conseguenze dei grandi rivolgimenti politico-sociali.

Ognun vede come la Vita moderna sia piena di brutture; ma vorremmo sapere quando mai la vita fu pura e non schiava delle finalità sempre mal conculcate di Natura. Per diventare anacoreti, e per resistere al contagio psicosessuale che tutti circonda, occorre una tempra speciale o frigida o inibitrice, che nella massa grigia dell'Umanità costituisce un'eccezione; per sfuggire alle impulsioni dell'istinto occorre un potere di «sublimazione», che lo sappia trasferire nelle alte forme dell'attività individuale, ma che, comunque la pensino Freud e i seguaci della Psicanalisi, è accessibile a pochissimi ed è sempre transitorio. I costumi sono plasmati dalle modalità di esistenza e di condotta della immensa maggioranza degli uomini conviventi in un dato aggregato sociale; e di questi nostri costumi, di ieri, di oggi, di domani, e certamente di un lungo posdomani, l'amore venale è l'effetto. Reciderne le radici connettive è un magnifico programma morale; ma per ora conviene contentarsi di tagliarne le escrescenze mostruose e morbose: dobbiamo cioè mirare a rendere almeno minori i suoi danni fisici che sono gravissimi, ad eliminarli con una elevazione della coscienza individuale, non tanto nelle donne dalle quali soltanto si pretende o si attende l'osservanza di regole igieniche, siano obbligatorie siano volontarie, quanto dai maschi che sono, a parer mio, pel loro inconscio egoismo, i veramente colpevoli della propagazione dei contagi di origine genitale, così che li portano fin qui spensieratamente ed impunemente anche nel talamo coniugale!

Poichè abbiam visto che l'amor venale, in sostanza, adempie nel corpo sociale una bassa funzione collegata ad uno degli istinti fondamentali dell'uomo, che esige, comunque, una soddisfazione, è necessario chiarire il problema e definirlo nettamente per non intorbidarlo con elementi estranei.

Alcuni chiamano prostituzione la «promiscuità sessuale», che si suppone essere stata la forma primordiale delle unioni sessuali nella specie umana, almeno in taluni suoi gruppi; altri designa come tale la soverchia rilassatezza dei costumi, per cui le donne si concedono facilmente ai maschi. Ma queste definizioni non sono esatte: bisogna restringere il nome di «prostituta» a colei che fa commercio del suo corpo contro una mercede, che è per lo più pecuniaria, ma che può anche essere rappresentata da oggetti di valore necessarii per la sua esistenza in genere, per le sue arti di seduzione femminile in ispecie. E allora si pone il problema particolare sui caratteri individuali, somatici e psichici di quelle donne che nel corpo sociale si incaricano della funzione sessuale più su enunciata. Sono esse diverse dalle altre, che sotto l'impulso sano e normale della riproduzione della specie si uniscono soltanto all'uomo che le presceglie e che esse accettano per essere esclusivamente sue? Si può già presupporre, almeno in via astratta e sintetica, che qualche cosa di profondo e di intimo, di «costituzionale», come diciamo in Medicina, distingua la donna destinata al compito superiore della maternità da colei che si destina preferibilmente a soddisfare, con indifferenza quasi di scelta, i desiderii puramente sensuali dei maschi.

Per tradurre il presupposto in dato di fatto sopraggiunge la Scuola antropologica Italiana, la quale checchè si dica, non invecchia mai se non nelle parti esuberanti e caduche, ma resta solida nei suoi concetti fondamentali perchè sono il frutto della spregiudicata osservazione dei fatti. Essa ci disse già che la classe sociale delle vere mercenarie di amore, di quelle donne che si senton «nate» per la gioia dei maschi, «femmine da conio» nel Poema Dantesco, «femmes de joie» o «donne di piacere» nel linguaggio comune, offre in massima caratteri di inferiorità, sia nel corpo, sia ancora più nello spirito.

A prima vista si dovrebbe credere che per esercitare codesto mestiere sieno necessarie qualità estetiche somatiche, come il mito e l'arte assegnarono a Venere, la Dea un po' volubile dell'amore. Ma l'indagine scientifica non lascia illusioni su questo punto. L'elenco delle stimmate suaccennate di inferiorità, cui si il nome, più o meno giusto, di «degenerative» (non poche, come dimostrò Tarde, sono però professionali, ossia acquisite e non congenite), sveglierà in chi lo legga una profonda impressione. Senza alcun dubbio la donna mercenaria per lo più è una creatura morfologicamente mal costrutta, dotata di un ancor più basso potenziale psichico: nella gerarchia dei valori sociali essa va ad occupare i gradini sottostanti alla normalità, e quasi si direbbe che per renderla più adatta alle funzioni esclusivamente sociali, essa perda una certa parte dell'attitudine alle funzioni biologiche del suo sesso. È il trionfo più legittimo della maternità sul sessualismo.

Ma di fronte ai responsi di una indagine troppo esclusiva, che giungerebbe a fare della donna mercenaria una varietà simile ed affine a quella del criminale, io penso che oggi, come già si è fatto per il criminale-nato delle primitive dottrine lombrosiane, si debba operare una revisione.

Le donne che si vendono non compongono una «classe», sono tutte di un tipo antropopsicologico, tanto meno sociologico. Io, per farla breve, ne distinguerei almeno tre categorie: 1a le mercenarie volgari, o coatte, quelle che sono sottoposte alla regolamentazione dei costumi, ed esercitano il loro mestiere senza false reticenze, perchè ufficialmente riconosciute Veneri veramente pandemie, perchè sono di tutti e non possono rifiutarsi, in generale, a nessun maschio che le domandi: vivono per lo più insieme nelle case di tolleranza, e sono quasi tutte delle miserabili naufraghe nella tempesta della vita sociale; 2a le mercenarie libere, che battono d'ordinario i marciapiedi delle grandi città, sfuggono alla regolamentazione con mille stratagemmi o per indulgenza e talvolta complicità degli agenti incaricati di sorvegliarle: Veneri girovaghe, che hanno perciò un volontariamente ristretto diritto di scelta sui maschi che adescano; e sono assai più pericolose delle precedenti per le infezioni che spandono con quasi assoluta impunità; 3a mercenarie privilegiate, che non appartengono alla massa, ma si dànno a loro scelta, ancora più liberamente delle seconde: esse formano la categoria più variegata ed instabile che va dalla donna che si concede nascostamente a pochi «amici» (ce ne sono oggi moltissime nella media ed anche nell'alta borghesia), a colei che rimane legata per più o meno tempo soltanto ad un maschio che la paga, o come si dice, «la mantiene». È qui che si ascende fino alla sommità della scala di prostituzione: vi figurano le «relazioni», le «amanti» (maîtresses), le «galanti», le «mondane», e vi si debbon collocare le grandi «mantenute» fino alle «favorite» dei Re o... dei Presidenti di Repubblica. Anelli di congiunzione, varietà e subvarietà, condizioni miste o intermedie, fra le tre categorie esistono, qui, forse anche più che in altre categorie sociali; ma insomma, mi basta avere indicato come sia larga la cerchia della prostituzione intesa quale «mercimonio sessuale» (a prescindere dall'ignominiosa prostituzione maschile, che si lascia in disparte), e come perciò sia necessario graduare le nostre valutazioni antropopsicologiche a seconda della categoria che si vuol prendere in esame.

Il «Problema» dei fattori della prostituzione implica, dunque, due faccie principali: quali le ragioni individuali, per cui una donna si fa mercenaria, anzichè restare onesta e aspirare soltanto alla unione socialmente legale o libera, serbandosi fedele all'uomo cui si è unita? E quali le cause che agiscono su quelle donne che si dànno alla più bassa prostituzione facendole uscire dalle vie che la Società considera normali e accomunandole alle altre classi «dannose» o «pericolose» per il corpo sociale?

Mentre al secondo quesito non si può dare soluzione soddisfacente se non con una ampia escursione nella Sociologia pratica esaminando uno per uno i singoli fattori causali della prostituzioneegoismo dei maschi, posizione giuridica della donna, miseria, allettamenti illeciti ma purtroppo tollerati al vizio, pregiudizii rispetto alla verginità, alti salarii, abitudini e recrudescenze del lusso, ecc., ecc. – ciò che mi porterebbe fuori dei limiti che debbo imporre a questo mio scritto, la risposta al primo quesito si trova nei risultati della Scuola Lombrosiana messi in accordo colle nuove correnti della Biologia e della Patologia umana. Diventano mercenarie d'amore consacrate alla schiavitù della professione, quelle donne che portano in loro stesse una «predisposizione» individuale, manifestantesi per l'appunto con le caratteristiche morfologiche, fisiologiche e psicologiche del triste albero della Degenerazione. Si ha insomma nel campo della prostituzione, che è una «malattia sociale», quel che si osserva nel campo più vasto della Patologia individuale e collettiva a riguardo della tubercolosi, della pazzia, dell'alcoolismo, e, lombrosianamente parlando, della delinquenza congenita; allo sviluppo di queste malattie fisiche o morali abbisogna un terreno propizio, formato da determinate particolarità di costituzione o di temperamento.

Tutta la Biologia è oggi impregnata dal concetto delle cause predisponenti persino nella teoria delle «mutazioni»: ed è doveroso e aggradevole, in uno scritto Italiano, rammentare che alla odiernissima Dottrina della predisposizione hanno dato la prima base scientifica, da un lato i lavori del Lombroso, dall'altro le ricerche geniali del De Giovanni, così che il costituzionalismo è attualmente argomento di studii profondi tanto in Italia quanto all'estero. Sono linee apparentemente diverse seguite dalla Scienza, ma in verità linee convergenti verso una unica meta.

Fuori di , cioè fuori della categoria delle vere «professionali», le indagini sono naturalmente più scarse; ma qualora fosse possibile eseguirle col metodo che venne applicato alle donne di bordello, è facile prevedere che i risultati ne sarebbero diversi; ce ne accorgiamo subito sol che nelle pubbliche vie o nei ritrovi mondani e nelle stesse sale della vita «elegante», noi gettiamo un'occhiata alle mercenarie di selezione, alle grandi mantenute, alle etère di cartello, alle più celebri «artiste» di teatro e cinematografo, alle frequentatrici di quei luoghi divenuti famosi perchè vi si accoglie il fior fiore del cosmopolitismo. Sarebbe assurdo immaginarci fisicamente e anche intellettualmente degenerate quelle che gli Inglesi chiamano le «bellezze professionali» (il termine ha qui un altro significato) e che formano quasi una specie entro la specie, come quei cavalli da corsa, che rappresentano un tipo eletto, prodotto magari artificioso di una selezione operata sul tipo naturale equino. Dal lato del somatismo, anche a prescindere da quelle grandi atlete del sensualismo che furono Messalina o Madame Tallien, non portavano di certo note degenerative Frine Nanà (la cito come tipo della cortigiana moderna perchè descritta sul vivo da E. Zola): che anzi e la Storia e l'Arte ce le hanno fatte conoscere e, magari, desiderare per la squisitezza della loro femminilità trionfante: nel nostro pensiero, o malgrado o appunto perchè strumenti di piacere, noi attribuiamo ad esse tutti i raffinamenti dell'Estetica biologica. Una donna che fu un che di mezzo tra Frine ed Aspasia, voglio dire Ninon de Lenclos, parve anzi vincere le stesse leggi naturali, rimanendo seducentissima sino oltre le soglie della presenilità.

Potremo, d'altra parte, pensare che Margherita Gautier muoia di tubercolosi, perchè deficiente di energie somatiche difensive contro i bacilli di Koch, ciò che costituisce una inferiorità biologica, senza dubbio; ma intanto le sue qualità «affettive» non inventate, ma copiate anch'esse sul vivo da A. Dumas, come quelle di Manon Lescaut dall'abate Prévost, compensano queste manchevolezze della costituzione fisica e possono ben surrogarle quali arti di seduzione femminile. Giacchè anche dal lato psichico, dove la mercenaria volgare palesa innegabili inferiorità, c'è da fare la tara alle risultanze delle inchieste che vorrebbero generalizzare il legame della prostituzione colla degenerazione mentale. Ciò si applicherà alle mercenarie di bassa lega, che son per lo più donne incapaci di vivere in condizioni famigliari regolari di esistenza e sopratutto di vivere di quel lavoro che richiede intelligenza e volontà, ma non si applica menomamente alle altre due categorie più su elencate. Sarebbe poi un grave errore supporre che anche alla vita galante non servano qualità di selezione mentale, come in massima corrispondono caratteri di selezione somatica. Gli esempi di Aspasia e della Pompadour ci ricorderanno bensì le raffigurazioni maggiori della «etèra» o della «favorita» (mercenarie, in realtà); ma chi frequenta per poco gli ambienti così detti mondani, vi si incontra spesso con donne di spirito vivace, di colto intelletto, e (a che negarlo?) di buona e perfino superiore sentimentalità.

Certo, però, nella maggioranza delle donne mercenarie e delle galanti deve esistere una ragione biopsicologica che le inducaspesso dall'età prepubere – all'amore venale. Io penso all'antagonismo che il genio infelice e paradossale di Otto Weininger ha delineato con tratti scultorii fra la donna-madre e la donna-prostituta. In fondo a queste due categorie (fra le quali, naturalmente, si avranno gradazioni ed intrecci) esiste una tendenza costituzionale ad essere o l'una o l'altra, una di quelle impulsioni che la Psicologia odierna chiama «vocazioni»; se fosse altrimenti, la donna-madre finirebbe collo scomparire. Ma per fortuna l'Umanità civile, per quanto in preda ad una evidente marea di corruzione, massime dopo la catastrofe che ci lascia tuttora trepidanti sul suo destino, può ancora fare assegnamento sopra la Donna per salvare dalla rovina quel suo prezioso patrimonio di tendenze ed idealità conservatrici, che poi sono le ragioni morali e normali della condotta. Il fatto della «vocazione» individuale determinata da certi caratteri somatici o mentali, ora separati ed ora associati, non contrasta al concetto di una etiogenesi sociale della prostituzione, giacchè la Biologia ha dimostrato come tutte le varietà e specie naturali, anche se ingenerate col processo saltuario della «mutazione» e non sempre con quello lento della «trasformazione», nascono dopo un lavoro di intima preparazione organica, che poi assume la forma e il grado della già accennata «predisposizione».

Nel campo sociologico avviene il medesimo che in quello biologico; perchè dati individui, e non altri, si assumano una delle funzioni create nell'aggregato dalla socievolezza primordiale umana, è sempre necessario che essi nascano con caratteristiche, con capacità, con «disposizioni» di adattamento particolare; ciascuno si specializza non a caso, ma per un impulso quasi sempre incosciente e intuitivo o, se non tale, dovuto ad una azione esterna che deriva o da modificazioni ambientali o dalla limitazione o dalle convenienze personali, e porta l'individuo a scegliere o a prendere una data linea di condotta e un dato tenore di vita. Ecco perchè non diventa mercenaria d'amore ogni donna; ma lo diventano preferibilmente quelle tali che avendo ottuso l'istinto e il sentimento della maternità, sono individualmente preparate a compiere la triste e degradante funzione di Veneri pandemie o girovaghe o selettive; la «varietà» sociologica, ingenerata da una specie di selezione a rovescio, ha pertanto le sue ragioni profonde nella varietà «biopsicologica». All'ambiente sociale non spetta altro compito se non quello di rendere manifesta, nelle varie realtà dell'esistenza, ogni singola personificazione della necessità o del bisogno collettivo.

Sarà, questo, un determinismo del fenomeno «prostituzione», ma se non si parte da concetti biologici non si costruisce una Sociologia scientifica degna di questo nome. Ed io sono e rimango seguace impenitente del metodo positivo, rallegrandomi ogni qualvolta esso sia applicato, ma domandando però che al suo primitivo troppo esclusivo rigore, vengano inflitte quelle correzioni e quei perfezionamenti che un più ampio concetto della Natura e della Storia ci obbliga oggi ad accettare in omaggio ad una valutazione più dinamica della funzione psichica immedesimata con la Vita.

 


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