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3. Il giornalismo dei giorni magri
D'Annunzio, che si rivelò giovanissimo pur nella prosa alimentare de' foglietti e fogliacci periodici, vestì spesso di molti e strambi pseudonimi la varia e falsa letteratura, per cui poteva vivere meno male a Roma. Non è indifferente compitare i barbari monosillabi che invaghirono il giovinetto tanto da mettersi sotto il loro patronimico pronostico: Floro, Floro Bruzio, Mario de' Fiori e poi Shiun-Sui-Katsu-Kava, Happemouche, Vere de Vere, Il Duca Minimo, Mambrino, Filippo La Selvi, Musidoro, Il conte di Sostene, Il marchese di Caulonia, Miching Mallecho, Myr, Mab, Swelt, Puck, Lila Biscuit, Morillot e Bottom.
Sul punto, si era verso il 1883, nel frenetico sbocciare dell'Intermezzo di Rime, polposamente lussurioso: e, perché il Sommaruga aveva edito anche Il Libro delle Vergini, scritto in collaborazione sottaciuta con Guy de Maupassant, ed insignito da una titillante copertina, in cui sfoggiavano, mal disegnate, nudità complete tre femine, egli se ne sdegnò, dicono con tanta ira da rompere ogni rapporto coll'editore. Veramente, la ragione fu altra, ma non importa, e già ve la dissi: però fermatevi a considerare, che, anche i sudicioni, hanno la loro pudicizia, specialmente quando l'essere impudichi non giova loro più.
Ma, ed il risultato di quelli articoli sottoscritti così barbaramente e pur d'annunziani? Un certo Alighiero Castelli di Roma (? ni vu, ni connu, – vi è da temere, sotto questa maschera di paglia, una soperchieria: si era in un momento in cui stagnava ad acque basse anche la réclame d'annunziana, ché, alla fine ogni tino, come ogni scarsella, si essica) dunque un signor Alighiero Castelli, non è molto, se ne avrebbe voluto fare, esumandoli, l'editore.
Corrono i reporters al patrocinatore legale di fiducia Avv. Ferruccio Foà; lo bloccano con ardentissima curiosità sul portone della Corte d'Appello milanese: interrogano: stampano: non si tratta del maggior poeta italiano?
– Dica, avvocato: ma è possibile che Gabriele D'Annunzio s'acconci a lasciar ristampare in volume e a suo dispetto gli articoli pubblicati su per i giornali, così disse l'imaginifico, ai tempi della sua prima giovinezza?
– Non soltanto non è possibile, ci rispose cortesemente l'avv. Foà; ma il fatto è che egli si oppone alla pubblicazione che è stata annunciata, e difenderà il suo diritto. Proprio in questi giorni, io stesso ho provveduto a far intimare al signor Alighiero Castelli a Roma, una regolare diffida, avvertendolo che Gabriele D'Annunzio non intende in nessun modo consentirgli di effettuare la pubblicazione ch'egli ha in animo di fare. Sotto questo rispetto, le parole del poeta sono forse state male interpretate dal suo intervistatore; giacché io, suo avvocato, non ho mai dubitato un momento che l'impedirlo fosse nel pieno diritto del mio illustre cliente.
– È il destino degli intervistatori quello di sentirsi dire che non hanno capito niente. Tanto che non ho più nemmeno il coraggio di pregarla di accennarmi le principali ragioni di diritto che sorreggono la diffida intimata. Se non capissi niente nemmeno io?
– Questa non è un'intervista; e poi si tratta di principi fondamentali. Prima di tutto bisogna considerare che si tratta di articoli pubblicati in giornali, pei quali c'è un articolo speciale della legge sui diritti d'autore, l'articolo 26, che mentre ne permette la riproduzione in altri giornali, non conferisce la facoltà di pubblicarli separatamente... se non trascorso il periodo massimo consentito alla tutela della proprietà letteraria.
C'è poi un'altra ragione giuridica insormontabile: ed è che, essendo stati quegli articoli pubblicati con un pseudonimo, non può esser lecito, ad ogni modo, a nessuno ristamparli ponendo in capo ad essi non il pseudonimo, ma il nome dell'autore consacrato dalla celebrità.
– Cosicché...
– Cosicché il signor Castelli è avvertito che Gabriele D'Annunzio non gli permetterà di mettere in vendita il minacciato volume...
– E se Alighiero insistesse..
– Non vede che bei palazzi hanno fatti gli italiani per discutervi le cause contro gli ostinati?
Epirema: ciò significa che anche D'Annunzio può avere qualche volta vergogna di quel sé stesso, rappresentato, dai suoi Sosia, in un giorno di necessità.