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"Puff" e "Bluff" con "Polemichetta" (1908) 6. D'Annunzio-Pietro Micca, o il più grande "Sparon" d'Europa |
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6. D'Annunzio-Pietro Micca,
o il più grande "Sparon" d'Europalx
Alle ore otto della mattina del 14 luglio 1908, D'Annunzio appariva l'atteso Magister Maximus di una mina colossale, allo sperone di Monte Maggiore, presso Carrara, donde dovrebbero uscire duecentomila metri cubici di bellissimo marmo, per ricordare, al tempo venturo, li uomini e li avvenimenti di cui la storia non crede di considerare il nome ed il risultato. Ottomila chilogrammi di un potentissimo esplosivo disgregarono dall'alveo materno il blocco; l'elettricità era stata incaricata a portarvi il fuoco dell'esplosione; la mano che scrisse i più bei versi italiani, dopo la Divina Comedia, fu quella che suscitò, di un rapido gesto misterioso e miracoloso la scintilla, in cospetto della folla e dello stato maggiore di artisti e di snobs che circondavano il poeta ed avvaloravano col rumore e le molte persone la festività rumorosissima.
Per questo, i giornali, trovarono ai loro articoletti un titolo superlativo: "La più grande mina di Europa", essendo che l'iperbolismo regna e regge le stereotipie quotidiane della gazzetteria. D'allora ad oggi, converrà nominare D'Annunzio, l'incruento Pietro Micca altore di materiali primi per la statuaria, un altro titolo alla nostra benemerenza. Noi non abbiamo potuto, come Carlo Fontana, Plinio Nomellini, il Bistolfi, il marchese Origo, circondando delle loro cure l'Imaginifico, assistere allo spettacolo e riconoscere de visu e di presenza la commozione del poeta, che vi era accorso "con una mortifera automobile di novanta cavalli, con ansia e condegna preparazione allo spettacolo, memore di lontano giorno": ma il nostro Guerino, messo per l'importanza all'intervista, nella vigilia, ha potuto raccontarci, essendo stato ammesso nella sacristia del sacerdote, in che modo egli, e con quali sacri indumenti, si preparasse alla cerimonia "memore di lontano giorno":
L'Imaginifico mi precedette nella Capponcina. Le aule erano spoglie; qualche cassapanca; un giaciglio di paglia; qualche lampadina da minatore sospesa alla volta. Gli arnesi del mestiere erano raccolti in un angolo.
– Ecco la mia casa, da oggi. Io l'ho ricondotta ai principî. Ho risospinta la cosa degenere ne l'utero de le formazioni integre. Troppo era essa pomposa di superposizioni voluttuose. Al culto de 'l morbido ho substituito il culto de 'l duro. Ora parto per le sommità Carraresi. Indosso ora le vesti de l'artiere.
Gittò via in un momento il suo involucro mondano. Con la rapidità propria dei grandi poeti, esso apparve nudo nel mezzo della stanza. Le pareti, il pavimento, il soffitto, le finestre si compiacquero un poco di lui che era una meraviglia rosea con una puntella di peluzzi biondi sul mento. Udii come un remoto spasimo di donne bramose, ascendere dalla distesa dell'estate toscana verso il bel viro. Egli pure lo udì, ma vi oppose risolutamente le spalle.
– Incomincia il rito, disse.
Entrai in istato di riverenza.
L'Imaginifico indossò un paio di calze di seta nera, rude opera di mano filatrice, ben diverse dai delicati tessuti delle macchine; poi indossò una flanella di peluria di cigno neonato, assai opportuna difesa dalle umidità del sottosuolo; sopra di essa stese una molle camicia di batista color mezzogiorno del proletario; un paio di mutande di vivace panno turchesco per rallegrarsi le solitudini e le oscurità della miniera; dei calzoni aspri di velluto negro tolto da una vecchia zimarra di Michelangelo; una blouse di raso turchino semplice e frugale; delle scarpe di cuoio durissimo profumato all'essenza di rose. Per completare la sua vestizione si collocò sulle palme de le mani alcuni calli di finissimo lavoro, estirpati in una notte di luna, mentre cantavano gli usignuoli dai piedi d'una ninfa, con arnesi d'oro disinfettati all'acido borico disciolto nella rugiada.
Così vestito, il maestro era solenne. Un che di asprigno gli traluceva dal viso; egli pareva un titano visto col cannocchiale alla rovescia.
– Ora parto, disse. Avrete letto sui giornali che si sta empiendo di migliaia di chilogrammi di polvere la bocca dura d'una mina. Da giorni e giorni, degli uomini silenziosi e tragici premono il generatore de 'l rombo e de 'l fuoco in una escavazione lunga che andrà ad attingere il cuore senza palpiti de 'l monte. Io sono stato chiamato a dar fuoco a la mina che dovrà scuotere mezzo milione di tonnellate di marmo bianco...
– Oh anima intrepida! E non ha paura?
– La paura ignoro. Io mi porrò senza un brivido a qualche chilometro da la formidabile mina. Premerò il bottone che scaricherà l'impulsione elettrica, chiudendo gli occhi, e forse solo facendomi turare le orecchie. Resterò immobile al mio posto, guardando la morte con ilare viso; e canterò anche una canzone trionfale, al fuoco laceratore, a colui che cresce, si dilata, lacera, erompe! Vedrò i macigni volare; la danza de le rupi, furente a 'l ritmo de 'l mio polso. Tutta una petraia ossea, lucente, candida, generata da 'l mio gesto, avulsa da la sua stasi antica per la determinazione ignea de 'l mio imperioso desiderio! Il dominatore de li uomini ascende ora al trono de la materia universa. Io movo la guerra a le montagne dentate; io solo, tra i popoli stupefatti, patefacio l'ostinata opposizion de 'l marmo...
– E di quel mezzo milione di tonnellate di marmo, Maestro, che ne farete?
– La base de 'l mio monumento, rispose.
Poi afferrò il piccone, uscì da la gran porta, e andò in mina.