Gian Pietro Lucini
D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo

"Puff" e "Bluff" con "Polemichetta" (1908)

10. Esempio di arguto e bello scrivere. Lettera famigliare

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10. Esempio di arguto e bello scrivere.
Lettera famigliare

Siamo ancora a Parigi, la città della indulgentissima sciocchezza mondiale, dell'intransigente genialità francese: gogos e snobs si gomitano coi filosofi ed i nihilisti sui boulevards.

A Parigi, dunque, la presente metropoli del D'Annunzio dove si è rifugiato e con lui l'aristocrazia dell'intelligenza universale, cacciato dovunque in bando s'egli è d'ogni luogo in ostracismo; – a Parigi, il Poeta viene invitato dalla pittrice Maddalena Lemaire a tenere una conferenza alla Università di belle arti. Era codesta gratuita? O l'uditorio non squisitamente e bello e select, come il Pescarese richiede? Gli doleva la gola? Comunque, la signora Lemaire ha dovuto leggere alle proprie allieve questa argutissima lettera di rifiuto, autentico capolavoro.

Così, perché non corra i pericoli di ogni scrittura impressa sui giornali quotidiani, mi affretto a ristamparla su carta più duratura e meno comoda – perché costa di più – ad esempio specioso d'epistolografia.

Cara signora. Ho veduto or sono otto giorni il nostro maestro Anatole France sottoporsi alla vostra graziosa ed imperiosa ostinazione sul palco provvisorio che avete elevato nella Università di belle arti, per il piacere femminino di torcere il detto del buon Orazio e persuadere le vostre candide allieve, che la poesia è come la pittura e la pittura come la poesia. Avrei dovuto dietro le vostre graziose insistenze succedere a quel musicista perfetto che ancora una volta ha affascinato con la "discordante concordia" del suo spirito, in cui tutti gli aspetti della verità e dell'errore sorridono insieme divinamente. Concordia discors, avrebbe detto della sua diversità misurata come dell'organo numeroso di re Mattia Corvino, uno dei suoi dotti confratelli del 15° secolo mediceo. Ma, ahimè, io meriterei soltanto l'epiteto, se osassi per tante orecchie delicate sostituire alle melodie delle api attiche che dimorano sulle sue sagge labbra, il ronzio dei miei mosconi napoletani.

Sapete che quando i cortesi cronisti mi fanno l'onore di glorificare le mie piccolezze nelle loro gentili fantasie, mi fanno inevitabilmente cominciare con un "Moussiou, ze suis". In nome del cielo, cara amica, non insistete dunque. Se ho avuto la folle temerità di scrivere un lungo poema per essere ammesso nel numero dei buoni spiriti italici che onorano la francese, come direbbe il vecchio autore della "Concordia delle due lingue", confesso non senza arrossire che "ze suis" incapace di ben parlarla. Ma come potreste rimpiangere il mio balbettamento, poiché avete sul vostro palcoscenico fiorito due lettrici mirabili? Mi rallegro pensando che l'una e l'altra voce arricchiranno oggi alcuni ritmi dei miei sogni meno pericolosi nella nobile scuola, in cui voi eccitate le pure giovinezze alla aspirazione espressa dal più alto grido del mio poema: "O bellezza, vivere e morire per te".


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