Gian Pietro Lucini
D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo

"Puff" e "Bluff" con "Polemichetta" (1908)

11. Di alcune utili superstizioni

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11. Di alcune utili superstizioni

Gabriele D'Annunzio gioca al lotto ogni settimana. L'ha confessato egli stesso a Jean Carrère che lo intervistava per incarico del Je sais tout. "Non amerei Napoli se non giocassi al lotto regolarmente. E non m'è occorso d'essere sfortunato! Un giorno – ero in viaggioappresi senza dispiacere d'aver vinto sessantamila lire". E glielo annunziava il fido Rocco con un dispaccio che diceva: Sessantamila lire, deo gratias. Rocco. Il poeta non ha detto se poi l'importo della vincita sia stato riscosso: ha preferito parlare d'altro, sorridente e lieto per il suo attuale soggiorno francese che gli svaghi brevi dopo giornate, anzi nottate di lavoro. Poiché – e questo è già noto – il poeta preferisce i silenzi notturni per le estenuanti fatiche cerebrali.

Ma non solo il Poeta si affida, da buon quasi-partenopeo, all'alea dei numeri innocentati, per cui anche il regno d'Italia fa la propria concorrenza al bestemiato Montecarlo ed alla religione cattolica, ambo larghi di promesse venture – con qualche intervallo – in questo e nell'altro mondo; ma frequenta Pizie dozzinali, magnetizzate e chiaroveggenti, strologatrici, e teme la morte, e si affida al sortilegio, ed abborre il 13.

Oh, come gli sorridono e lo compiacciono le Consolazioni delli Umili. Parrebbe che Maeterlinck ne abbia scritte le pagine per lui, coi piccoli misteri comunissimi, col fradiciume del mistero cotidiano, colla miseria compassionevole del feticismo urbanissimo della plebe contemporanea, dame e pedine, che, tra il credere sì e no in Dio, si affida meglio alla fattuchiera. D'Annunzio, che è nato femina barbara, non può sottrarsi, come una sua qualunque Figlia di Jorio o Basiliola, al fascino del fantastico e della stregoneria, ammanito in una chicchera di caffè, od in un mazzo di carte segnate.

Dolcissime e torbide pene, nell'aspettare inquietamente l'avvento di una profezia! Accostiamoci ad un suo biografo, che è pur figliuolo, il Gabriellino: egli ce ne dirà il patema vario e complesso, tra la paura e la speranza che si avveri il trapasso, affrontato dal poeta con grinta stoica e cattolica ad un tempo; però che colui, che giuoca al lotto, può anche accendere ceri alla taumaturga imagine del Sant'Antonio suo giocando menzionato per tutto il , ed aver cieca fede nei manubrii, come indispensabili collaboratori di Fedra, e patir la mania superstiziosa, per cui può affidarsi alla predizione di una falsa e modernissima pitonessa.

Quando venne il giorno fatale egli fu sin dal mattino in preda, non alla paura ma ad una specie d'orgasmo, che alimentava con la sua avidità di acri sensazioni. Ed accadde veramente che i casi più impreveduti e più fastidiosi gli si presentassero quel giorno, quasi un presagio e un ammonimento del suo prossimo fato. Al mattino, com'egli era disceso in città dalla villa di Settignano per iscongiurare appunto taluno di quei fastidi, mentre attendeva che la sua automobile, fermata in mezzo alla via Calzaioli da un ingombro di veicoli, potesse riprender la corsa, dall'alto d'una casa in riparazione cadde un mattone che gli sfiorò il cappello e s'abbatté sul predellino dell'automobile, spezzandolo. Non dunque sotto la percossa d'un vile laterizio doveva egli morire... Ma forse il destino gli riserbava una morte più conforme ai suoi gusti: una morte equestre. E nel pomeriggio, facendo la sua solita galoppata, egli spinse il cavallo contro i più duri ostacoli, come per tentare la sorte, per iscovarla dal nascondiglio insidioso donde gli tendeva l'agguato. La prefezia non si compì. Quella sera, coricato nel suo letto, attese vegliando lo scoccare della mezzanotte, ultimo termine di vita assegnatogli dalle pitonesse, e sorrise più volte alla tentatrice rivoltella pendente dal capezzale, non senza una certa vertigine d'afferrarla... Queste cose egli mi raccontò un giorno con un'efficacia di parole che non so riprodurre, e con sulle labbra quel misterioso sorriso che suol velare d'ambiguità il suo discorso, quand'egli si diverte a stupire l'ascoltatore. E soggiunse: "Da oggi sono immortale, perché ho superato la morte". – Quod est in votis.

Oh sì! egli fu allora immortale; perché vive in carne ed ossa tuttora gli è d'accordo anche La Palisse: ma un'altra volta, più recentemente, superò la morte – potrà mai debellare l'oblio colle sue opere? – quando, a D'Annunzio, un buon uomo di suo confratello comediografo, Gabriel Trarieux, che consacra volontieri alcune delle sue veglie, non dedicate alle quinte, alla astrologia, pronunciava il volere delli astri: "Morirai presto!". Brrr! Quale brivido per la schiena! due miseri e soli anni di vita appena! Per la qual cosa, non converrebbe, da parte nostra, rispondere alla predizione col solito e mal auguroso: "crepi lo strologo!".

Comunque, il maggior interessato se ne guarda. Para il malocchio, la jettatura, il guignon al giuoco, a tavola ed in letto coi preservativi ad hoc sufficenti a qualunque scongiuro. Se non basta il cornetto di corallo crispino, ritto e provocante, sulla punta del quale si calamitano tutte le avversità spossessate della loro nequizia, – rude simbolo del phallus propiziatorio, vestigia delle antiche religioni latine verso le divinità generatrici –; se non basta il cornetto di corallo, appeso ciondolo alla catenella dell'orologio, si schivi almeno il tredici.

Fatalità: in ogni atto più comune, per 365 giorni ossia per 52 seguite settimane, per quanto durerà il 1913 appena incominciato, la cifra maleficente dovrà ricorrere sia si firmi un contratto di semplice locazione d'operametti col primo maestro di musica o pel primo impresario – sia si sottoscriva, datando una lettera anche d'affari a – metti – alla Rubinstein. Ma, all'inconveniente ha sopperito la genialità d'annunziana. Esempio: ve lo racconta il Resto del Carlino, che vuol sempre trovarsi d'accordo con coloro che gli nutriscono gratuitamente il giornale:

Giorni sono Gabriele d'Annunzio faceva pervenire al professor Giorgio Del Vecchio una copia della vita di Cola di Rienzo colla dedica: "A Giorgio del Vecchio annum novum bonum faustum felicem": era un omaggio al filosofo pensoso dell'italianità, era un saluto allo spirito colto che aveva invocato il D'Annunzio sulla cattedra di Bologna; ma dove il volume acquista sapor di curiosità è nella data che conclude la dedica: da buon abruzzese, spirito timoroso delle sorti e dei numeri, Gabriele d'Annunzio non ha osato scrivere il millesimo 1913: ha ricorso ad una circunlocuzione aritmetica: ha scritto 1912 + 1! e ha fatto precedere al numero un cabalisto segno di scongiuro.

Sarebbe curioso a sapersi se il Poeta seguiterà tutto l'anno a segnar così la data.


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