Gian Pietro Lucini
D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo

"Puff" e "Bluff" con "Polemichetta" (1908)

Voto per me (1912)

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Voto per me
(1912)

Io credo in me, perché sono il dio del mio universo, il re del mio orizzonte, il padrone assoluto della mia coscienza e il produttore dei miei movimenti. La natura mi ha dato delle facoltà destinate a fare di me una individualità sensibile e pensante; mi ha costituito con un organismo capace di produrre il calore e la vita; finché non avrò raggiunta la vecchiaia, ho un corpo che non chiede che di rafforzarsi, e un'anima che non domanda che di elevarsi; da me solo dipende il dare un regime abbastanza favorevole all'uno e un orizzonte abbastanza luminoso all'altra... Io credo in me perché la mia intelligenza non chiede che di svilupparsi; la mia ragione non è inferiore a quella degli altri uomini; la mia volontà è ardente, il mio sentimento è elevato...

Parole di Andrea Jayet,

ciabattino filosofo.

Nel bel meriggio del 17 agosto 1912, riceveva, da Milano, a Breglia, la scheda-invito che voi andrete più in giù a leggere; in qualche parte lusinghiera, però, che coll'indirizzarsi a me mi credeva capace elettore per un suffragio di regal-poesia; in parte ironica, però che, nel cuor dell'estate a corto di notizie meno vagabonde, la Rivista da cui si spiccava, desiderava con inediti graziosi sopra una vexata quaestio rimpolparsi di abbonati, far sorridere lettori, ingraziarsi candidati. Comunque, risposi: essendo poi questo un fatto attinente all'Antidannunziana, a cui può fungere come "Per Finire" eccovi domanda e risposta, che ignoro se venne stampata.

Milano, Agosto 1912
Via Petrarca, 4
Telefono 87-20

"Varietas"
Casa e Famiglia
Rivista mensile illustrata
Amministrazione

Illustre Signore,

La proclamazione del nuovo principe dei poeti francesi d'avanguardia ci ha indotti a rivolgere la seguente domanda ai nostri lettori in generale e ai Letterati e Poeti in particolare:

Se Gabriele D'Annunzio, principe dei nostri poeti viventi, avesse, per un capriccio, ad abdicare al trono su cui fu inalzato dall'universal consentimento, chi, fra i giovani poeti nostri, potrebb'essere il successore? E ove mai una personalità non si fosse ancora ben definita, chi potrebbe assumerne, fra i poeti non più giovani, la reggenza?

La S.V. potrà rispondere, volendo, anche senza motivazione alcuna, favorendoci con cortese sollecitudine due soli nomi: il per l'eventuale futuro Principe, il secondo per il Reggente.

E poiché non si tratta di un semplice perditempo estivo, non dubitiamo del favore, ed esprimendole i sensi della nostra ammirazione, vivamente La ringraziamo.

"Varietas" (Casa e Famiglia)

Via Petrarca, 4. Milano.

Egregia "Varietas",

Già, io sono un abbonato a questi –così dettireferenda; non ne mancai uno in quest'ultimi tempi; prova è che rispondo anche al vostro.

Per esempio, mentre ammetto che il poeta di Ballades françaises è degnissimo, non solo di principato, ma pure di reame letterario, in Francia, dove essendoci la repubblica è logico aspirare alla Monarchia; non so capire come mai, voi, senz'altro e per seguire il suffragio della consuetudine popolaresca ed ingannata, bombardiate un D'Annunzio despota nella poesia, nel Regno d'Italia, dove, a forziori, si dovrebbe anelare alla Repubblica. Se bastasse il mio voto a raggiungere la maggioranza voluta per questa elezione come l'ho già rifiutato, tornerei a rifiutarvelo.

Se non che voi, con una fortunata ipotesi, me lo raffigurate abdicatario, ed io v'acconsento, augurandomelo, per l'amore che porto alle lettere ed al carattere italiano, almeno per sempre morto. Ed allora: "Viva il successore!".

Fu il grido della folla piazzajuola quando morirono Carducci e Pascoli, quest'ultimo intronizzato al posto del primo con ben più spiccia procedura e più breve protocollo, ma non so se davvero meritevole. Oggi, i tempi in sull'aure libiche, promosse dalla concorde e belligera italianità, son divenuti, per rispettare anche l'aulica sanzione di un quasi suffragio universale, più democratici, ma più tristi; però che fidandosi sulla intuizionelxi bergsoniana appannaggio della plurima ignoranza, l'astuzia ha trovato modo di far il proprio libito colle mostre di ubbidire alla volontà altrui, la quale indifesa, perché analfabeta, ripete, senza saperlo, le pretese di quella. Dunque, da buon analfabeta in poesia nominiamoci il Re: lascio da parte il Reggente, perché non ne vedrei il Pupillo; ed, in genere, come avvenne al tempo de' Maggiordomi Merovingi, il Reottino non raggiungerebbe mai la maggiore età. Qui, un Re ci vuole.

La mia ignoranza si china sopra di sé; si involge, scruta ed affina la vista dentro le più recondite pieghe delle sue conoscenze: mentalmente sgrana un rosario di nomi, di titoli, di libri, di opere, di gesta reclamistiche, di insulti al buon senso ed al buon costume, di svenimenti ed isterismi feminili, di pum-pum, di mezze rivoluzioni, di false modestie, di irritanti orgogli, di capacità incomprese, di genii sventurati e diffamati. "Scegli, scegli", eccito "povera cara ignoranza mia!". E non sceglie:... finché lo Spirito Santo mi percuote. Un lampo! Una illuminazione interiore alla Rimbaud; una folgorante rivelazione! Potenza della intuizione! L'ignoranza vaticina. Despota, Papa, Re, Reggente? Ne abbiamo noi visti mai nella letteratura italiana pei secoli e le epoche? Papa di cozzanti eresie? – E per quali ragioni, essendo liberi, vorremmo essere schiavi? Per autenticare la bontà del suffragio universale giolittiano? Perché domani il tiranno, a suo pro, invochi il Plebiscito? Fossi pazzo! Ma io non voglio pagar tasse ed imposte di letteratura, né mantenermi, colle regalie, un parassita in dosso; ma io non concedo che altri venga a dominare in casa mia; ma la mia ignoranza è così superba che non accorda privilegi sopra sé stessa nel suo vastissimo imperio, che giunge dove arriva la sua imaginazione, affermata dal suo verso insolito e disordinato. E chi può essere Re, qui, quando io sono l'Imperatore? Perché, in fin dei conti, non conoscendo bene che me stesso, non mi affido che in me. E su questa proclamazione luciferina, ma di mia abitudine, ho il piacere di salutarvi:

G.P. Lucini,

poeta non più giovane.

Palazzo di Breglia, il 20 Agosto 1912.

 

 

Nota

 






lxi    Qui, sta proprio bene una nota d'alta filosofia, che non voglio lasciarmi sfuggire. Chiama intuizione San Tomaso la facoltà che hanno li Angioli di comprendere il volere di Dio e di eseguirlo senza che la Celeste Potestà intervenga direttamente, tra la sua volontà ed il fatto che ne deriva, con un atto di comando. E però gnosticamente è prerogativa di Eone della Ogdoade, e, pneumaticamente è ragione spiritica della noesis: in sostanza, è organo e parola metafisica. – Vi piaccia leggere quanto dice Dom Bruno l'oblato – o meglio, al secolo, l'Abbé Charles Rivière – del En Route di Huysmans, a Durtal – che rappresenta lo stesso Huysmans: "Oui, le bon Dieu m'accorde parfois des intuitions". – In fatti, tomisticamente, non si può parlare d'intuizione se non si ammette il buon Dio; come gnosticamente, non vi è intuizione senza l'ordine delli Eoni: Dom Bruno era elegantemente logico; non so se più di lui lo sia il Bergson, che confonde Dio colla Natura, l'Idea col Fatto. – E pure, ad essere sottili, si potrebbe sanare scientificamente il concetto della intuizione, sorgendo alle conclusioni sperimentali, qualora questa divenisse un atto dell'istinto psichico. Come esiste l'istinto fisico, così dovrebbe ammettersi l'esistenza anche di quello psichico: è questione di gradi, però che sono due modi di vita, tanto l'uomo che il bruto possedendo similmente e l'intelligenza e l'istinto. L'intelligenza è un sentimento riflesso e ragionato: l'istinto una impulsione spontanea irriflessa, che conduce ad un atto ugualmente irriflesso e spontaneo applicato, generalmente a difesa, – Self-defence –: e l'intelligenza, l'istinto e la volontà sono il fondamento della coscienza individua sia del bruto che dell'uomo; la differenza è di tono e di grado. Se non che, al bruto mancherà, o non ha ancora acquistato, la facoltà di poter conoscere per sé, senza previa esperienza o dottrina, un fatto nuovo o sia una verità; però ch'egli manca dell'istinto psichico, della intuizione, che scatta, a richiesta di una domanda, automaticamente, ad illuminare la coscienza umana oltre e fuori le prove e le esperienze; perché è obbligo alla intelligenza umana di rivelarsi in quanto le è tutt'ora oscuro, come è obbligo all'Angiolo tomistico di sapere il pensiero ed il desiderio di Dio, senza che Dio li esprima, essendo quello nel Plerome una delle categorie animiche più vicine, per struttura, alla Ragion prima, al Noos completo, intermediario tra la Idea e l'Uomo, determinatore di realtà. Sì che al posto dell'Angiolo qui agirebbe l'istinto psichico, e, con queste chiacchiere alessandrine, anche l'intuizione, su cui oggi s'impone tutta la novissima filosofia del conoscere senza ragionare secondo Euclide, sarebbe riabilitata razionalmente. – Chiacchiere alessandrine ho detto per denigrarmi piacevolmente: ma ai tedeschi, in qualche di nebbia e di lenta digestione, possono sembrare qualche cosa di più; ebbene, essendo generoso per indole, a loro regalo lo spunto per un trattato ad hoc.



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