Gian Pietro Lucini
Scritti critici

UN POETA SOVVERSIVO RINSAVITO

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

UN POETA SOVVERSIVO RINSAVITO

Quando Gérard de Nerval elesse la morte da un legaccio di cortigiana, appiccandosi con quello alla torta colonna del talamo mediceo, unica ricchezza della sua soffitta di spiantato geniale e di scialacquatore di idee, non so chi dei due, Gautier o Baudelaire, commemorandolo, rivendicasse, pel caso, due libertà: quella di uccidersi e l'altra di contradirsi. Or io, logica ammetto la contradizione del perfezionarsi; e, per quanto stimi umana l'opposta dell'involgersi, non vorrò ritrarmi dal deplorarla. Meglio ne avrò rammarico, se mi appare una mancanza di fedeltà ai principii professati; e, se avendo incominciato per una via difficile, scarsa di risultati palesi, deserta d'ammiratori, inospite d'oasi confortatrici e pratiche, aspra di mille intrichi, sbarrata d'ostacoli, trascurata dai molti, e sembrata sciocchezza o perditempo ai critici professionali, alla prima occasione, alla prima svolta occorsa, per un'altra piú facile si immetta, sorretto dalla abiura e dalla estemporaneità delle lodi poco convinte, onde piú presto si arrivi alla rinomea.

Colui che ciò faccia, per un fine che è di arte, erra. Erra dall'incominciare; perché, procedendo, non va verso la giovanezza: non si rinnova, non può dire come Viélé-Griffin: «oh, bellezze di ieri, o miei pensieri, ora, al giorno dopo, sciupate e stanche e rugose, lacrimate da chi vi è padre»: non può lamentare come Nietzsche: «Idee dell'altro giorno, che avete fatto, in che modo vi ho guaste, in che vi siete rimutate?».

Ma dovrà pur troppo sentirsi ripetere da quanti conoscono l'opera sua intiera: «Questa vostra maturità, questa vostra integrazione è artificiosa, non è genuina, è sforzata, voi vi siete subito essicato, ed i fiori che la vostra pianta non hanno piú nessun profumo».

Qualcuno, del resto, può essere assolutamente sincero nel ripiegarsi e nel passare tra le schiere spesse della gente facile ad accontentarsi e ad accontentare; di ciò parlo rileggendo l'ultimo volume di Romolo Quaglino, Cibele Madre29; il quale, col ripetere una forma ch'io credeva in lui abolita, nell'ultima e romantica raccolta di Fior' Brumali, mi fa oggi in tutto credere ch'egli ci abbia lasciato per sempre.

Ricco di assai erudizione e di molta dottrina, nobilmente inquieto di curiosità, porgendosi dei problemi di nuova estetica e di razional sociologia; ardente, audace e generoso, mandò, come una sfida al pubblico grosso ed incitamento ai geniali, I Modi. Anime e Simboli. Fraternamente nella Epistola Apologetica io lo sentiva pulsare pei comuni ideali; il nostro pensiero si confortava e si completava come per riflesso di simpatia e per alacrità d'azione.

Allora furono le papere giovincelle e diguazzanti nel pantano a schiamazzare, le piccole ire degli ignoranti, gli abominii dei timorati, le paure dei semplici puristi e dei concordatarii di letteratura.

Allora furono i microscopici ed avvelenati bacilli follicolari, che inquinarono contro di noi le gazzette frascheggianti, dichiarandoci e pazzi e decadenti ed anarchici in una volta sola: allora, suscitammo impensati fervori e non sperate ma care solidarietà e, se con entusiasmo, vennero a noi, giovani, altri giovani, nell'aiuto di questa piccola battaglia, non cruenta, ma d'inchiostro, nella quale si tempravano, a prova, le armi per una prima libertà contro ai dogmi della retorica, riguardando a tutte l'altre libertà di cui aspettavamo, insofferenti, l'avvento.

Rispose al mio intendimento, dopo la stasi dei Fior' Brumali, in cui lenti imputridivano il miasma di forzata etisia, la incombenza di una fatalità di razza, la mollezza sopra venuta nella fibra, per un coma morale, da cui non sapeva uscire, I Dialoghi d'Esteta.

Qui, molte preziosità; qui, morbide dilettazioni, molte domande che lo facevano irresoluto. Ma il dubio del cercare, l'arrovellata febre del ubi consistam, la filosofica convinzione di riuscire al certo, si porgevano in forma assolutamente nuova, dissueta e complessa. Quaglino aveva assodata la sua originalità in un metro suo, in una acatalessi di rime aritmetiche e suonanti, in una logica di vesti, di ornamenti superficiali, che non opprimevano, non caricavano il pensiero, non l'involgevano di densità oziose, ma l'inguantavano come una maglia, e lo circonfondevano di veli, donde la sostanza viva, umana, risplendeva, come un bel corpo nudo esposto al sole. Certo, io vi trovai molta nostra filosofia, e, memore, fraternamente, me ne compiaccio.

Dianzi, tolse una maschera al suo desiderio: pudico ed insieme audace, volle far confessione. L'animo suo, forse, sanguinava, mentr'egli lo metteva a scoperto con nessuna pietà per se stesso, ma con molto utile dei venienti. Per un amore di stranezze e di futilità, per un'acre soddisfazione di martirio, un suo protagonista soffre e s'indura di sofferenza, e pur sapendo non porta riparo all'angoscia. Egli è un veggente che si fa cieco ed incosciente davanti all'atto semplice e riparatore di tutta la sua vita; è un ottimista attratto al nihilismo morale; perché non ha piú la volontà di fare il gesto normale e santo della liberazione.

E l'ho seguito nell'ultima tappa anelando e commosso; ed avrei voluto essergli di causa efficiente perché spezzasse i vincoli; ma credo che le mie lontane parole abbiano, come una brezza cordiale di primavera, cozzato contro la triplice chiostra della sua moral reclusione, infruttuose. Doloroso al cuore dell'amico il riconoscere, avendo ragione, la tristezza ed il rimpianto di un'ormai dissoluta fratellanza.

Ond'egli periclita, perché l'onde lo cullano, e nell'abbandono della speranza, trova voluttuoso il mareggio della barca sul ritmo mosso del mare: vi si addormenta sognando.

Per tutti questi successivi passaggi abbiamo saputo che egli si era compromesso con una prematura affermazione.

I Modi. Anime e Simboli segno di partenza gli sono pietra miliare; egli non può infrangerla per farne ghiaia di giardini. Ma, fra tanto ch'egli allevava il suo albero non comune di poesia, inradicandolo tra i bronchi e i macigni del campo poco arato, che una semplicista e falsa denominazione attribuisce, protestando, al simbolismo, s'accorse pure d'aver trapiantato, con poca antiveggenza, rispetto alle sue cure ed alla sua indole, un fruttico dei nostri boschi lariani, per farlo appassire sotto un sole troppo cocente e tra le frondosità meravigliose ed eccezionali della flora esotica.

Romolo Quaglino si trovò male: passivo, non ebbe costanza. A lui si rivelò una debolezza che ripugna dallo strano, dal mutamento, dalla cinetica. Le nuove idee, colle quali doveva prendere dimestichezza ed il regime psichico in cui si doveva mettere per elaborarle, necessitavano di una virtú, di uno sforzo d'adattamento, ch'egli non poteva apprestare.

E come spaventato e disilluso dal massimo d'energia sommossa per uno scopo che gli sembrava misero, lasciò che l'albero morisse. Calmo, senza apparente ironia, ma in sé doloroso, ha ceduto ed ha confessato tacitamente di prediligere le abitudini ereditarie, la banalità delle opinioni correnti, l'insipidezza del luogo comune.

In questi sdraiò la sua estetica e la sua inquietudine filosofica; non volle, come prima, pungere la restia volontà a raddrizzarsi ed a pretendere; rilasciò il cervello dalla ginnastica d'adattamento, dal fabbricare pel nuovo; del resto pericoloso funambulismo per una educazione distruttiva e per un edificio che inverte le norme consacrate della architettura. Altra volta, egli si era riscaldato, eccitato alla credenza ed al valore della sua parola, nel futuro; pensava che l'avvenimento storico passionale ed estetico, a punto era necessario e doveroso se avesse sollecitato un numero maggiore di eroi usciti dal marasma borghese con tutte le nobili intenzioni della novità: ed aspettava il gran vento dell'orgasmo, per tendergli aperte tutte le vele, onde si gonfiassero e lo portassero in alto mare. Altra volta, gli si era la Bellezza presentata,

. . . . enorme e secolare
genesi eterna dell'evoluzione.

Natura e piú che Natura, Venere ed Elena seminatrice di conflitto, di soavità, d'ardenti desideri e di irritamenti, bellezza d'Eschilo, sovrana buona e cattiva, fatale, una forza: altra volta egli disse:

O Bellezza, o miracolo o martirio,
scendi, profumo di cielo,
anima delle anime scendi,
io voglio imporre le mani
su le cose e dir «siate belle»
e sian ben oltre il sogno.

Ora dirà:

Calma come un iddia,
alata come la strofe,

fanciulla bianca. E, per quanto ripeta il motivo dei Dialoghi d'Esteta il suo incesso è qui stanco ed il passo ripolito ed incastonato, tra l'impassibilità dei suoi romani bassorilievi, si trova a disagio e ripete un'eco inattuale e stanca.

Cosí ritorna con Cibele Madre: statiche, marmoree ricompone le sue liriche sui modelli classici, a punto ricercando il sonetto e la saffica. Negli uni è la breve tempera di paesaggi riveduti ed accomodati nello studio, riflessivamente, sulla scorta di una imperfetta notazione all'aria aperta; nelle altre un lusso prezioso di erudizione e di scienza, d'antropologia e di dottrina linguistica, non fatta rivivere ma ossidata. Di se stesso nulla accenna, nulla immette. Oggettivo, rappresenta bene ma senza anima; diligente ed abile si vale della buona retorica, ma è freddo ed assente.

Facile mi soccorre la frase comune: poesia di maniera e la sua maniera la ritrovo in Carducci. Lode questa, per altri, non per lui, che aveva incominciato a provarci di voler essere lui stesso.

Forse l'emulazione lo spinse, per il cammino piú facile, a piú facile applauso? E non si accorse come fittizie e vacue sono le approvazioni della folla, se in se stesso non è partecipata simpatia a quella mediocrità che la moltitudine porta sugli scudi, in un'ora di breve entusiasmo? Perché dimettere la buona indifferenza orgogliosa e dolorosa per chi non può o non vuole comprendere?

L'autore di Cibele Madre s'involse dentro, cosí da tornare ad essere lo scolaro studioso, diligente, testardo, avido del primo posto tra i banchi; ed il suo verso risente di tutto questo, volgendosi alla critica come al maestro e pregandola (perché l'ha obbidita) della piú alta classificazione in faccia ai condiscepoli. Io amo gli errori sinceri ed audaci, e gli impeti originali della spontanea creazione: potrei lodare qui? No, a meno che l'ultima forma di lui sia la piú sincera, cosa di cui mi dorrei.

Cibele Madre deriva dalla bella fonte che calò da Brandusia all'Enotrio; nel rivolo confonde le sue acque. Vuole per questo rinverginarsi? L'allegoria iniziale può farcelo sospettare. Dice infatti Giuliano l'apostata (il Quaglino lo riporta in nota) che, venuta da Pessinunte di Frigia la statua di Cibele, madre degli Dei, onorata come caduta intatta dal cielo, per mare alle foci del Tevere, donde la si sarebbe processionata a Roma, l'oneraria che la portava, rifiutò di risalire la corrente. Inutili furono gli sforzi di tutto il popolo romano per trascinarla verso la città sacra; quando Claudia, vestale accusata a torto d'aver violata la sua verginità, annodata alla prora del naviglio la sua ciarpa, dopo di aver pregata la dea di esaudirla, per quel tessuto fragile e lilliale, la condusse, tra l'ammirazione dei presenti: «Tutti riconobbero allora e la potenza della divinità e l'innocenza della vergine».

Tutti: io dubito della verginità cosciente di Cibele Madre, a meno che il suo autore, in sulla via, non abbia trovato il fiumicello Canato di Nauplia, nel quale, annualmente, Giunone si bagnava per tornar perfetta nelle braccia di Giove delicato e goloso di primizie: dubito: e penso che i Galli frigi e Preti della dea, per necessità de' loro uffici erano eunuchi. Curioso e logico rapporto: che se la verginità è promessa quasi sempre mantenuta, l'evirazione è forzata castità, infeconda e perenne.

Molti non si trovano del mio parere; e, confondendo facilmente acerbità sintetica aspra, con secchezza legnosa e stentata, si troveranno contenti del modo piano, facile ed insolito in lui di presentarsi con Cibele Madre. Diranno: «Egli è un giovane che ha finalmente compreso; che ha lasciato da parte le frasche dismodate, o non ancora venute di moda, gli enigmi e gli indovinelli di una sua fu poesia.

Si è fatto serio e non è piú sventato; alla sua Musa, che si convalida e che dimostra colla sua pacatezza di riuscire una buona massaia senza languori e vapori, senza scatti nervosi, senza inutili insubordinazioni, stiamo preparando lo sposo; un giovanotto già decorato e ricco industriale. Oh, vedete dunque che i sovversivi di letteratura e del resto si medicano da se stessi e tornano alle buone usanze in seno alla gente per bene?». Vecchie storie: e se da una parte deploro di non riconoscere piú l'autore de' Dialoghi d'Esteta in Cibele Madre, d'altra parte non mi posso esimere da un piccolo sentimento di soddisfazione. Egoisticamente penso, che si sta con maggiore franchezza e libertà solo: e la critica, che fin qui usò imperturbabile del binomio Quaglino-Lucini, deve da oggi scinderne i termini e nominarli molto distintamente. È bene che le confusioni, specie in letteratura, abbiano qualche volta un fine.

[In «L'Italia del Popolo», a. XIII, n. 1178, 5-6 aprile 1904.]





29 Remo Sandron, Milano - Palermo - Napoli 1903.



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License