Gian Pietro Lucini
Scritti critici

ANTIPATIE INTORNO ALLA GEORGE SAND

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ANTIPATIE INTORNO ALLA GEORGE SAND

Il giornalismo e la letteratura alta e bassa francese si commosse alla celebrazione del centenario della George Sand. Si rievocarono grandi nomi e piccole personalità erotiche; un de Musset, un Giulio Sandeau, un Michel de Bourges, filosofo umanitario, un Pietro Leroux, un Sainte-Beuve, moschettiere armato e galante di critica universitaria; un Federico Chopin, rivolto ad azzurri troppo angelici e genialissimo cantore di malinconie; un Mérimée, napoleonizzante di ironia velata e scherzosa alla Stendhal, di cui seppe, per il primo, l'arguzia; un Pagello insignificante medico veneziano di nobile prestanza fisica, che le fece, con opportuni intermezzi persuasivi, sopportare il soggiorno a Venezia, quando, col poeta del Rolla, touriste d'amore, di poesia ed infermiera le fece lasciar l'anima ed il cuore al de Musset, il corpo e i sensi alle sapienti vibrazioni ch'egli sapeva suscitarvi.

Nata baronessa Dudevant, il 16 messidoro dell'anno XI (il 5 luglio del 1804), fu, dopo gli amori celebri, le accensioni romantiche, il cumulo di volumi scritti alla lesta, tra una sigaretta e l'altra, che non dimetteva mai dal labro, la bonne dame de Nohant: l'estemporaneità delle commemorazioni ufficiali cosí la predica ed ama raffigurarsela canuta e sorridente nel racconto delle sue piccole eccentricità: le foglie di lauro e l'intermittente sentimentalismo della donna, che spesso rievocava l'età passata, s'intrecciano alle clorotiche fettuccie rosee delle orazioni di parata. «Rétrécis ton coeur, mon grand George, tu en as trop pour une poitrine humaine», le aveva scritto Alfredo, chiaroveggente tra il letto ed il lettuccio; e l'eufemismo poetico, che mascherava qualche cosa di meno simbolico, come il rettificare la coscienza del codice di Manú, oggi può sembrare una sentenza persuasa e non vaga.

Molti amori, nessuna passione. Era moda svolazzare, scegliendo fior da fiore; cosí vi erano le api professionali della letteratura, mentre proclamavano l'unico martirio e la unica dolcezza, amore e morte, per un solo e divino eroe. Moltissimi capricci: esponeteli alla luce beffarda e sarcastica della critica moderna; come rimpiccioliscono, come smuntano, come si vedono industriati, composti sui vecchi motivi del classicismo decaduto, colle stesse ricorrenze di apparati scenici, nella poco mutata decorazione delle pose e del gesto! Moltissime effervescenze: ma, vi prego, lasciamo nel calice e depositarsi le bolle bianche e turgide di aria della schiuma; la colonna candida si abbassa, discende dentro il cristallo iridato, si trasforma in un'ambra liquida e lattiginosa sul fondo. Bionda cervogia! L'ubriacatura ne è pericolosa perché è una indigestione; ed al palato latino come il lievito aspro e pizzicante sa di grassa dignità universitaria e come rievoca la greve affettazione dei languori tedeschi in braccio alle paffute Gretchen sospirose!

Per ciò non pochi, siano pur riverenti, in caccia del documento postumo, volsero alle minuzie dell'alcova. Chantavoine sui Débats, il Brunetière, Enrico Gay, l'uno dopo l'altro, hanno articoli, conferenze, perorazioni intorno agli Amants de Venise; testé Felix Decori ha stampata integra a Bruxelles la corrispondenza tra Alfred de Musset e George Sand; Ginisty, che ultimo venuto fu il piú fortunato ed ha potuto sfogliare tra le carte inedite di lei, , sul «Figaro» del 9 giugno, il risultato delle sue scoperte letterarie. Dalle lettere che vi si leggono, sappiamo com'ella scrivesse troppo bene, ragionatrice d'amore, compresa del suo passo di prosa per crederle in tutto a quanto dice, cioè alla passione espressa nella patetica che soleva confidare al romanzo.

La Sand è cosí; la sua schiettezza apparente è il risultato di un ragionamento; la sua impressionabilità delicata è lambiccatura romantica. Come tale si è fatta e ha goduto una speciale esistenza; violenta, imperativa, tumultuosa, fu di se stessa eroina, come volle che lo fossero le sua figure romanzesche.

Buon tempo delle nonne, in cui gli occhi oscuri e lucenti si allargavano, sulle guancie, perché le occhiaje artificiali si tingevano di datura stramonium. Le gonne fluttuanti ed ampie, le scolacciature tra la pudicizia e la sfacciataggine, i piccoli piedi nella scarpetta di raso, la lunga calza bianca di seta, gli scialli che venivano dall'India, un Lara di Byron, i cappelli alla Bolivar, le treccie ricciolate ed inanellate, il gilio bianco a tramontare sul berretto frigio delle mal composte giornate di luglio, suscitarono assai Mademoiselles de Maupin, piú vere, nel fittizio di una favola logica, che non un vissuto cavalier-damigella d'Eön, figura storica e neutra tra gli squadroni de' cavalleggeri e le consulte internazionali della diplomazia.

La Sand, che predilesse gli abiti maschili, che forse, e, non invano, diede pretesto all'irritato de Musset, se in una notte allucinata ha composto una Gamiani, sadica al punto e saffica da suscitare una vampata di erotismo pazzo e meraviglioso, la Sand, cercò d'essere l'amazzone del bizzarro stallone della rinomea e della bizzarra chinea della fama. Pensò al pubblico tra un bacio e l'altro; fu attenta ad imbellettare la frase del sentimento con cura e rispetto, perché sapeva che non sarebbe stata proferita in un dialogo solitario, ma davanti alla platea; non fu una sensuale, perché la stessa ricerca di variazioni erotiche l'indica come poco voluttuosa ed amò farsi credere, non perversa com'era, ma ardente. Ella abbandonava il suo corpo al desiderio suo e d'altrui senza resistenze, senza previi terrori, senza fluttuare; ciò indica quant'ella poco vi partecipasse: senza altro capriccio che l'effimero di una sera, dice a Mérimée: Viens Prospér, tu verras que mon âme n'est pas corrompue! ed il prezioso concettino di educanda, démi-vierge, diventa una ridicola esclamazione nella bocca di una scrittrice provata ed avida di celebrità.

Tale riflesso di pedanteria, scusa ad un temperamento freddo che ricerca per ogni dove pretesti onde si ecciti e ribolla, le ha determinato l'ideazione. Seguí la moda e la moda la protesse, fu del suo tempo, anno per anno, amante per amante. Ogni suo romanzo è l'opera del maestro e signore di quel dato momento; ella vi aggiunse la declamazione floscia ed il pathos lacrimoso per cui riallaccia, con evidente continuità, l'uno all'altro i suoi volumi. Indiana, Lélia, anche La Petite Fadette, e Valentine Mauprat, e Consuelo, e Mademoiselle de la Quintine, ci annoiano e ci irritano: vi scorgiamo sotto il fittizio, lo sforzo, la pretesa nell'autrice di essere una grande scrittrice. Comunque, svampata la meteora dell'attualità, diminuita sul suo piedestallo, che al Lussemburgo, tra gli ippocastani, la espone in vestaglia scollata, seduta sopra uno scoglio e pensosa piú di se stessa che d'altri, rimarrà di lei questo: «ha molto lavorato e collaborato d'amore e di letteratura cogli uomini celebri del suo tempo».

In fondo, borghese, sotto quella maschera d'arte esagitata e stanca cui il primo Impero legava alla Francia; sotto una nervosità trepidante che sorge dopo l'arresto immediato e violento di una energia operante ed interrotta, ebbe una affettazione di audacia, un aspetto provocatore, ma fu sempre statica, e, se non passiva, pacifica. Ha ella pianto mai veramente? No. In questo non poteva ripetere col de Musset: «Le seul bien qui me reste au monde — est d'avoir quelque fois pleuré». Le risponde il cippo di granito della sua tomba a Nohant, disdegnoso ed altiero nella voluta e squadrata semplicità (a codesto piccolo corpo varrebbe, per segno funerario, una leggiera lastra di marmo): poco s'impersona alla posa rilasciata e languida con la quale lo scultore Sicard ha postillato le allee del giardino popolare; bianco rispecchio tra la fuga degli ippocastani ed il trillar sommesso delle fontane provvide. Bene stia e vi pompeggi indifferente.


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