Gian Pietro Lucini
Scritti critici

«CRAINQUEBILLE»

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«CRAINQUEBILLE»
di Anatole France

La scorsa primavera parigina fu deliziata dalle tavole sceniche della «Renaissance», col Mannequin d'Osier, in cui Anatole France ha trasfuso e composto i quattro volumi della sua Histoire contemporaine. Direttamente il pubblico elegante e delicato che predilige la prosa comica si è visto davanti, nella persona dell'attore Guitry, il suo Mr. Bergeret, fuori di ogni pensata, miope, il capo coperto di un feltro floscio e sbarazzino, bonario e meditativo, filosofo disoccupato per interessarsi alla filosofia suscitata dai suoi contemporanei, diserto e limpido nelle parole espresse con accento persuasivo, qualche volta sospeso a ricercar le migliori e le piú specifiche colla voce esitante, come a cancellare, mentalmente, il vocabolo improprio e meno efficace: eloquio da professore. E vide M.me Bergeret, di sua famiglia Poully, quasi bella, altiera, con l'arte nobili e stanche artificiali; con l'evidente disdegno contro il marito che non vuol comprendere, colle svenevolezze sentimentali e romantiche nel suo pietoso e disgraziato adulterio con Roux, il giovincello allievo intraprendente. E sfilarono: la vecchietta zitellona Zoè, ordinata e meticolosa borghese; l'archivista Mazure; M.r Gromance e Cassignol, il procuratore della repubblica in riposo; l'abate Lantaigne, alto, magro ed ossuto nelle pieghe inquiete della sottana; la bella signora Gromance, e Paolina, la maggior figlia di Bergeret prediletta, sotto l'ormeneta frondosa del viale pubblico di una cittadina di provincia tra le rivalità, le passioni, le gelosie, le invidie, le cattiverie e le sciocchezze, appannaggio necessario ad una vita racchiusa e pettegola quale i piccoli centri offrono all'osservazione dell'artista critico.

Qui vissero di una esistenza effimera e pure intensa quei personaggi, che ciascun lettore della tetralogia aveva, a suo modo e colla imaginazione, plasmati; qui la relativa materialità e la piú concreta designazione delle maschere comiche nulla tolsero al valore suggestivo delle pagine, ma furono una garbata traduzione del pensiero del France, esposta col sottinteso e la malizia di un moralista, quando voglia, per poco, divertire ridendo e punzecchiando con grazia sottile ed opportuna.

Solo il mite e rispettoso Riquet, che sogguarda, venerando, il padrone, come il gran feticcio, distributore della luce e dell'ombra della morte e della vita, manca tra gli interlocutori.

Noi siamo cosí privati dei monologhi mentali del cagnuolo, e profondi nel corso di Monsieur Bergeret à Paris; e ce ne doliamo un poco, pure ci compensiamo pensando, che quand'anche l'arte e l'artificio mimico possano riflettere qualunque personalità umana, non potranno mai emulare le attitudini semplici ed istintive degli animali; né questi costringere, con scienza di giuocoliere e di ciurmadore, a rappresentarsi nei casi voluti e composti dall'uomo, in ore stabilite ed in cospetto alla platea, per illustrarci una favola comunque dignitosa e morale.

Non per questo Riquet cessa di vivere. Troppe sono le obbligazioni che il professore Bergeret ed Anatole France gli hanno perché lo dimentichino, sperduto tra le ombre delle loro conoscenze, dietro le quinte, ora che, come fa si tace, nell'intermezzo, l'azione preparandone un'altra forse migliore. Riquet, tra l'altre macchiette già da noi conosciute, vorrà intervenire anche in Crainquebille; dove sfogherà il suo cattivo umore contro gli operai che aiutano allo sloggio del suo padrone, e dove ripeterà, mutamente dentro di sé, alcune massime tra le quali è necessario ricordare queste asperse, all'intendimento umano, che non è cosí semplice come il canino, di molta ironia.

«Una azione per la quale si venne picchiato, deve essere una cattiva azione. Una azione, invece, compiuta la quale si ebbero carezze e pappa è certamente una buona azione». — «Un cane che non è religioso verso gli uomini e che sprezza i feticci raccolti nella casa del padrone, conduce una vita vagabonda e miserabile». — «Non si sa mai se ci siam bene comportati verso gli uomini. È necessario adorarli senza comprenderli: perché la saggezza loro è misteriosa». E via su questo tono.

Crainquebille, nel presente volume ed ultimo di Anatole France, si è ricoperto, di tra le molte sue vesti tipografiche, di un'altra nuova: non è lussuoso ed ornato dalle sessantatré illustrazioni di Steinlen, come la prima volta, curioso gioiello di edizione, ricercato e tenuto caro dai bibliofili; è meno popolare di quando apparve nelle Opinions sociales, libriccini di propaganda minuta che non disdegnano l'arte e che si vendono a cinquanta centesimi. Ora, l'Affaire Crainquebille, che ebbe i suoi applausi sul teatro e di cui Lucien Guitry impersonò in un carattere di tragica grandezza l'umile figura del protagonista povero fruttivendolo ambulante (e nessuno ne ignora, credo, l'avventure, che, dal banco del correzionale, incappato per caso e per un'ingiuria all'agente dell'ordine, ve lo riconducono; da che nulla piú predispone alla delinquenza quanto una prima condanna iniqua e fredda per ossequio alla legge scritta) Crainquebille, ha logico corollario e seguito d'onore con Putois e Riquet, e, badate, con plusieurs30 autres récits profitables. Senz'altro Cervantes de Saavedra avrebbe chiamato questa raccolta novelas exemplares.

Tali sono e per lo spirito che le informa e per lo stile impeccabile e gustoso con cui vengono espresse. Codesta è letteratura utile e bella; è l'ottima azione che l'autore di Lys rouge continua sulle carte, dopo d'aver dato la sua persona nel cimento torbido dell'affaire Dreyfus; è l'istanza critica sopra la società, perché si raggiunga quella libera ed equa giustizia di fratellanza che instaura Magnaud, il buon giudice, dai fondamenti di una filosofia determinista e razionale. Leggete con attenzione: Emile; Les Juges intègres; Jean Marteau, al secondo capitolo La loi est morte mais le juge est vivant; Monsieur Thomas; Vol domestique, e, certamente, pel cuore e per la intelligenza saranno ore non sprecate ma profittevoli. Gli altri racconti ricordano l'Anatole France, letterato puro, ironista squisito, lo scettico per difesa della sua personalità, il tenero che aggiunge alle virtú estremamente facili e limpide di novellatore, lo stile e l'erudizione del dotto, non freddo, meticoloso, né cattedratico, ma generoso che or mai raggiunse in patria il suffragio di tutti.

In oggi il poeta delle Noces Corinthiennes e di Thaïs è pervenuto, coll'insistenza ascendente, a divulgare se stesso e la sua intimità come provocando, ma senza capriole da ciarlatano.

Nell'opera sua, che riguarda la modernità coll'occhio indulgente di chi compatisce, intarsia osservazione ed autobiografia, come nel Livre de mon ami: ed in Pierre Nozière, dai ricordi d'infanzia, evoca le fasi successive per cui la sua intelligenza di giovanetto sognatore si evolveva a contatto delle bellezze letterarie della Grecia, tentando, per altre parti il verso che già contrastava colla marmorea impassibilità del fare di Leconte de Lisle.

Cosí egli si mostra in Silvestro Bonnard, nuovo tipo di vecchio dotto di cui l'egoismo si tempera nella dolcezza indulgente per gli altri quando scrive: Le crime de Sylvestre Bonnard, membre de l'Institut; cosí sarà ancora Bergeret quando le convulsioni patriottarde gli saranno un pretesto logico e coraggioso d'uscire dalla vita trapassata dei libri per scendere, con nuova fede, in piazza, sbarazzatosi dalla tonaca di bénédictin narquois, come qualcuno lo aveva chiamato, per tramutare la beata ataraxia del giusto, nella lotta cosciente del buono e del forte.

Istoriografo artista, scrittore di critiche, in cui il pretesto del criticare gli serviva per esporre le avventure del suo animo a traverso i capolavori, esumatore di una decadenza alessandrina piena di fascini e di grazie sfiorenti ed ancora in bocciolo; erudito, perché delicato, ed emotivo senza spegnere gli ardori dell'intelligenza e senza metallizzare il sentimento, ascese tra l'indifferenza, la battaglia, l'applauso all'Accademia di Francia. Di , socialista, e nel medesimo tempo individualista dopo di essersi mostrato un aristocratico dell'intelligenza, non gli ripugna di scendere, conoscere e confondersi nelle masse popolari; ne ama il contatto, cerca di disciplinarne le forze non ancora spiegate e coscienti, ma cosí presto deviate. Non disdegna il discorso breve, piano, consigliatore in pubblico, inaugura Università popolari, mescolandosi colle casacche operaie e colle berrette dei sobborghi. Gli stanno vicino Jean Grave, il refrattario sociologo, e Laurent Tailhade, il poeta classico ed anarchico; le palme d'oro e verdi del suo abito di parata sono cosí ottimamente condecorate.

Letterato per filosofia disceso da Renan, delicato e perverso, ironico e sentimentale, credulo all'apparenza, ma scettico, pieno di grazia e di elasticità, riflette la realtà a traverso il suo temperamento già preparato ed adatto dalla scienza, dalla antiquaria, dalle impressioni anteriori, dalle meditazioni sollecitate.

Stilista senza pari, Ferdinando Gregh dice di lui: «Spero che daranno a tradurre ai fanciulli, qualora il francese divenga una lingua morta, dei frammenti di Anatole France, come ora, ad esempio, traduciamo nei Ginnasii Il sogno od il Gallo di Luciano di Samosata». Che del resto è della medesima famiglia, né i tempi comportano, a chi ben li comprenda, diversamente: osservate Alessandria al secondo secolo e Parigi all'inizio del 1900; sapetene la storia, la cronaca; conoscetene il costume, se non per vostra osservazione per aiuto di Pierre Louys e di André Lebey, giudicate infine. Quale la differenza? E non fatemi sdrucciolare su questa china, per me troppo facile e troppo saputa, perché non vi sciorini le molte note ai Vasi e Nottole condensate in un effimero articolo: e vi basti l'avervi annunciato i due termini dell'identità.

Anatole France adunque, che visse la sua giovanezza e la sua maturità «a scombiccherare della carta co' suoi sogni», lavorando per sé e per la posterità, venne sul tardi e semplicemente verso le masse agitate. Ciò del resto ha la sua bellezza d'azione; qui recava ai giovani di tutte le opinioni e di tutte le idee la luce simpatica del suo eloquio e la preventiva testimonianza delle sue lotte precedenti, attitudine che riconforta ed incita alla lotta; bel dono di maturanza e ricchezza di un generoso autunno.

E perché in parte quest'ultimo periodo è di Roger le Brun, vi rimando a lui, se volete, come spero, saperne di piú. Egli, in un'aurea collezione, Les Célébrités d'aujourd'hui, edita e diretta da Sansot Orland, che ho conosciuto a Milano, proprietario di una «Anthologie - Revue», pur troppo morta innanzi tempo come le cose utili e buone, testé ci ha fatto regalo di una biografia di Anatole France, interessantissima e completa.

Vi troverete autografi, riproduzioni di ritratti e di caricature, una esauriente bibliografia, l'opinione dei confratelli intorno all'autore di l'Orme du Mail. Ed ancora, penso, come in questo campo l'industria libraria francese ci sorpassi e quanto piú e meglio si legga in Francia, se questi volumetti sono alla portata di tutte le borse, e, quello che piú importa, trovano, senza fatica, l'operaio che se ne interessa e li diffonde tra gli amici.

A quando questo lusso d'intelligenza e di buon mercato in Italia?

[In «L'Italia del Popolo», a. XIII, n. 1293, 31 luglio-1 agosto 1904.]





30 Calmann Levy, Paris.



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