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La scorsa primavera (l'indice alacre ed indefettibile corre sul quadrato del tempo e non s'arresta; ora cadono le foglie arrugginite ed arrubinate) mentre frondeggiavano i lecci e le quercie romane, alcuni giovani, con ardimento ed entusiasmo, vagheggiarono a Roma, una Società dei Poeti. Essi invitavano i colleghi e mandavano ai Cari Poeti missive per l'Italia perché venissero al convegno, stabilito in ogni martedí e venerdí in una saletta del Caffè Martini, in via XX Settembre, onde vi si accapigliassero fraternamente in pro' dell'estetica e della poesia. Preannunciavano la pubblicazione di una Rivista dei Poeti, sulla quale si avesse a riversare il troppo pieno delle intelligenze a rivelazione delle nuove attitudini e delle nuove speranze, cui la congrega poteva esprimere in faccia al pubblico.
Non so se questa specie d'Academia (non oso dire Arcadia, perché son persuaso delle nobili intenzioni dei radunati) abbia avuto buona fortuna. Dal canto mio mi limito ad osservare, che qualunque cenacolo, scuola o seduta, la quale voglia rappresentare in modo collettivo e sotto un'unica etichetta, diverse personalità, contrasti attualmente all'indirizzo modernissimo ed alla incalzante evoluzione.
Vuole il nostro tempo, e ciò è riflesso nelle scienze e nelle professioni anche manuali, una spiccata e profonda tendenza alla integrazione dell'individuo. Ciascuno, per quanto alcune dottrine vagheggino un comunismo stabile e legislativo ed una uniformità d'eguaglianza, tenta di farsi la propria vita, quindi il proprio pensiero, personalmente, senza badare ai doveri ed ai diritti altrui i quali lo limiterebbero nel suo campo d'azione. Ciascuno prende la sua felicità e sviluppa la sua energia a detrimento altrui; ciò che la solidarietà racchiusa sotto il minimo comune denominatore di una etichetta non gli potrebbe permettere.
Buono altruismo è questa Società dei Poeti; irrealizzabile prova, nella repubblica anarchica delle lettere; nel cui ambito qualcuno può essere qualche cosa, quando abbia sorpassato moltissimi, dopo d'averli danneggiati, quando, imparate le regole della sintassi e della grammatica, ora le sprezzi e non le usi; quando, infine, dica, secondo sincerità, ciò che non ancora la folla abbia sentito e proferito, non per divulgare messianicamente un suo modo di pensiero, ma per dimostrare, che, semplicemente, e ciò è assai piú difficile, cosí pensa e con logica secondo il suo buon piacere. E dopo ciò, auguri alla Società dei Poeti.
Comunque, non è una professione di fede che qui mi si domanda, né considerazioni generali tanto piú facili a dedursi, in quanto meno siano opportune; piú tosto, la solita informazione di scartabellatore di libriccini e di volumetti, questi, oggi, tutti dedicati al ritmo, e ch'io ho trascurato da molto tempo nella consueta rubrica della quinta colonna.
Angelo Toscano non può essere che un giovane. Ha impeto ed entusiasmo, buona dicitura, guasta qualche volta dalla trasposizione verbale, eccesso di aggettivi; ma, in compenso, forma robusta, pensieri nobili, lucido colorito e ricco rinscintillío di frasi.
Anemos31 intitola le sue eufonie; si vale di preferenza del ritmo barbaro e carducciano, che meglio si confà colla plastica dura della sua poesia; non si perde in nebbie ed appunta l'idea viva e pulsante sulle strofe, farfalla preziosa e variopinta. Non è un inquieto, ma un ribelle, intimamente:
Turbin che incesti il crasso oblio
de' tumoli
— ululi di ombre in giro incito alternano —
su te lanciar contro li eterni Spiriti,
contro un dio voglio l'Anima;
Non è un debole e non ricerca la pace morbida della abdicazione; ma desidera la lotta:
…. Oh meglio,
sovra i transili domi, alto alla Vita
maledicenti,
meglio affisar Prometeo che avanza
prorotto al corso e d'ignea luce inlustre,
mentre è il fragor de' rotti simulacri vasto peana.
Di tal modo, riplasma una sua ideologia, di sulle rovine della età presente, se, col vaticinare, dischiude alla plebe il suo avvenire, alla plebe feconda come il mare, lucida, come il sole, aspra e terribile come l'urano, perché
.... giorni altri verranno
onde un cherubo roggio apra le porte
dell'Imminente e candida palma
varchi l'Ignoto.
Starà per tutte le rivendicazioni e le vendicazioni: nel suo pensiero non patiscono ombra la cortigiana da trivio ed il malfattore per necessità e per nascita: a tutti promette la nepente e l'elleboro che fa dimenticare, quando i giorni saranno venuti e sospinti dalla bufera inevitabile delle coscienze audaci, contro le paure meticolose e crudeli:
…. Il Futuro
necessita le ombre all'amore
i pavidi a me prelio securo:
pe' l corpo un lavacro, pe' l cuore
se il mar mesca un cantico puro,
oh limpide aurore! …..
Grato mi è dunque l'indugio su queste visioni, che non patiscono stanchezza e che non sono ammalate di postreme disillusioni. Molta anima per l'avvenire; perché è un futuro di volontà e di chiaroveggenza; perché è pur sempre l'elemento precipuo della vita attuale, che rinnova ed amplifica se stessa nell'impeto della speranza e nella fede di una calda ed umana idealità.
Giglio di pace l'avvenir ne schiude
ne schiude il cor giglio di canti: i bimbi
levan le braccia bianche, esili, ignude.
Codesta brezza giovanile, fresca e pugnace ha penetrato e sommove, ridendo, la polvere e le pagine rubricate per antiche biblioteche.
Un vecchio uomo di lettere si scuote ed anch'egli vuole, colla sua autorità, dar prova alla robusta rinascenza.
Il Gnoli, bibliotecario a Roma, in sul principio schivo dell'anacronismo, si fingeva Giulio Orsini in un suo poemetto Orpheus, e, dietro allo pseudonimo, faceva correre la critica curiosa di quell'ignoto, che rivelava ispirazioni non comuni e ricchezza d'imagini copiosa.
Ritentò il nome e fa fortuna con un volume di maggior lena: Fra Terra e Astri32 e la soperchieria benigna fu presto compresa dall'acume di dilettanti di quisquilie letterarie.
L'Orsini è stanco di vecchie formole e di cenci orpellati, di parole, che mentono in poesia come in prosa, di lune che luccicano per riflesso, d'anime vuote e diafane, che paiono luminose perché dentro vi han posto una candela effimera; cosí rischiarano i globi di carta variopinti di una illuminazione veneziana. Apriamo i vetri, dice al mondo ed alla sincerità:
Giace anemica la Musa
Sul giaciglio dei vecchi metri.
A noi giovani apriamo i vetri,
Rinnoviamo l'aria chiusa.
Pace dunque alle cose sepolte. Attende in tutto al suo programma? Non si sforza qua e là per un'auto operazione chirurgica di infondersi sangue ricco di globoli sanguigni? La prova è nobile, ma non continua né sempre efficace. Non senza pena si possono, in un impeto d'entusiasmo, gettare all'oceano, che schiumeggia furoreggiando, trent'anni di retorica e di insegnamento metodico e tranquillo, trent'anni di erudizione catalogata in categorie nel cervello. Sotto la forma spigliata e vivace, sotto le imagini che sembrano nuove, ma che non sono provate, né appaiono il risultato di una personale sensibilità, vi è il dotto ed il classico.
Se l'Orpheus intramezza, a filosofia determinista, passione; se le visioni dei paesaggi romani, partenopei e veneziani è resa con dei tocchi d'impressionista, il quale si sforza, piú che di dipingere per masse di suscitare in giro l'aria e la luce; se la fanciulla invocata appare qua e là plastica e sorride e ride ed è melanconica; il contrasto, la fatica, la pena per fare tutto questo, non sono meno evidenti; la freddezza e l'assenza di spirito vi concorrono come a deprimere. Troppa calma, troppo raziocinio, troppa paternità indulgente e cara.
Amica, dolce amica mia,
Che mi nieghi il bacio d'amore
Finch'io non ti rechi il fiore
Della fede nella poesia;
rima bene, sapientemente; ma un giovane vero, che ami veramente, avrebbe trovato altre espressioni.
Migliore si mostra quando è oggettivo, quando suscita un apparato archeologico e lo galvanizza.
Chi arresta la biga irrompente
Dalle carceri? Un'immensa
Folla sui gradini s'addensa
Fluttuando.
Sorge la corsa delle bighe nel circo cruento; ma poco dopo è sconciata da una riflessione:
Vedo qualche cosa sotto
la maschera; ho di Roentgen i raggi
nell'occhio di scienza malato
. . . . . . . . . . . . .
Vedo come presente il domani
E l'oggi come il passato.
E ciò interrompe con una grave callida junctura e con originalità di cattivo gusto: la lirica che per se stessa si sbarazza di una citazione indicativa e modernista non sopporta confini, il classico si riduce ad essere un meditativo pessimista.
Ogni cosa a suo tempo, poesia ed amore: quando la pubertà sbaglia la sua data, i patologi trovano che una malattia la nomina meglio. Il fiumicello di Nauplia, in cui Giunone rifabbricava, ogni anno, la verginità, per essere piú accetta a Giove, sta nella mitologia. Olimpicamente Goethe, vegliardo, poteva ringiovanirsi, e plasmò Venere dopo Gretchen, forse piú fragrante di questa, fiore e gentilezza della sua gioventú; ma si chiamava Goethe.
Victor Hugo, che impersonava la Francia di un secolo, negli ultimi anni era secco e si metallizzava, e, se mai svolgeva il paradosso, ricopiava se stesso come un peggior imitatore della sua maniera. Il giovane perprocura Orsini rassomiglia al caso di un senatore ottantenne e saggio, che, dopo aver scritto La Fisiologia dell'amore e forse appunto per questo, si ammoglia con una giovinetta di diciott'anni.
La prova fisica supera la teorica verbale? Un'altra soperchieria. Erriamo dunque, ma sinceramente, senza cercare la posa, né seguire la moda; senza imporci, sopra a tutto, uno sforzo.