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Nel Libro, a noi sedentari ed inquieti, la nostra azione; il pensiero che si conforma in linee tipografiche continua la nostra vita. Il pensatore silenzioso, dopo aver composto e lambiccato la sua sensazione alla luce di una fiamma familiare e notturna, esce cosí armato, al sole del giorno, in faccia a tutti, partecipando al lavoro comune, in quella proporzione ch'egli crede di assumersi. Il libro, espansione34 totale delle lettere, si raffigura, con queste, in una mobile sequenza, per corrispondenze, per eccitazioni, per analogia, per diretto e puro disegno; onde delle creature vive erompino a dichiararsi, confermando la finzione con una realtà. Ed un solitario e tacito concerto mentale si disviluppa dal leggere, perché, qualche volta, è completare, sempre interpretare: sognare preziosamente, sopra di una sinfonia una dolce aspettazione desiderata, perché è un riconoscere parte di se stesso, prima ignorata, dietro le indicazioni del poeta, se insiste sopra di un suo dolore, di una sua gioia, di una sua malinconia. «La natura35 fa il poeta ed il lettore dei poeti». Il libro è la nostra creatura e ci completa; lontana da noi continua a vivere di una vera vita speciale, propria, qualche volta sorprendente per lo stesso autore che non ne ha calcolato le recondite virtú, i vizi nascosti. Porta, per il mondo, l'amore intenso del padre e la sua benedetta partecipazione; ritornerà a lui, sformata, piú bella, gloriosa, ferita a morte, resa inutile? Missione ardita, cammino pericoloso; le intenzioni di chi l'ha prodotta saranno deluse, commentate, comprese, negate, semplicemente? Ed il libro si cerca lettori, infiamma al suo contatto, al suo paragone altre esistenze; è un lievito turbante; è generoso di gioie e di dolori; spaventa, eccita altre opere nuove; vive, in somma, e conforta a vivere; magnifica la vita anche se protegga ed amministri un nihilismo: contrariamente, farà spasimare i pessimisti verso l'illusione delle felicità. «Per l'autore36 la migliore ventura sarà, quando, vecchio, potrà dire che tutto quanto era in lui di idea e di sentimenti creatori, chiaro, forte, edificante, resiste ancora nella sua opera; e, che s'egli sarà cenere grigia, il fuoco del libro, conservato dentro le pagine bianche e nere, crepiterà perenne, propagato in ogni luogo. — Ora, considerando che ciascuna azione dell'uomo, non solamente il libro, è in qualche maniera la causa d'altre azioni, d'altre decisioni, d'altri pensieri e che tutto quanto si opera, si riannoda indissolubilmente a ciò che si potrà fare, è facile comprendere, come l'immortalità stia nel movimento. Quanto, una volta, è posto in moto, si ricompone nella catena totale dell'essere completo, del tutto: cosí un insetto, nell'ambra, si fossilizza imprigionato, ma eterno».
Il libro si vendica sopra l'abitualità di sensazioni pigre, oggi, per noi, inefficaci: forse, consacra ancora un silenzio intorno a noi, un deserto intorno alle nostre opere, per cui si valgono i consuetudinari per deriderci meglio. Ma sempre vibra di uno spirito soddisfatto: anche incontro al malinteso. Personificato, è la mano armata dell'autore, da cui si separa, e giunge al segno: piú tosto non accennerà a benigne accoglienze, ma chiederà d'essere accolto bene; proiezione di un'anima singola, sarà il fatto superbo, che, tra li accessori umani, svolgendo una dopo l'altra le sue pagine, dirà giudizi non imparziali ma sereni e sinceri, ed attenderà il futuro senza tema di smuntare. Perché «colui37 male si avvisa che da se stesso vorrà proclamarsi il suo proprio contemporaneo, disertando ed usurpando, con eguale impudenza, e dal passato e sull'avvenire, quando già l'uno precipitò, e l'altro tarda, ed ambo si frammischiano, perplessamente, come volessero mascherarne la divisione»; tutto sta nella continuazione; nessun atto è contemporaneo ad un altro, incominciasse e terminasse matematicamente nell'istesso istante; perciò nulla è identico, per quanto ogni cosa sia equivalente.
Irrompere, d'un tratto, inaspettatamente, con violenza, nel mar morto delle lettere, sul quale dominava sovrano il luogo comune, la pastoja imparaticcia, la forma usuale, infiorata di quelle stantie variazioni, cui la retorica aveva accumulato ad ingombro dei cervelli buoni ed a delizia delle menti incapaci di pensare originalmente, era un richiamarsi alle attenzioni malevoli di tutti, alla disapprovazione di quelli che, per mestiere, volevano faticar meno e farsi valere di piú. Era determinare la fine delle viete formole prosastiche; incominciare lo smantellamento del castelletto piacevole e ben architettato della prosodia. Pareva tanto semplice che si dovesse continuare come prima; che un pensiero poetico si dovesse manifestare cosí e cosí, una descrizione venir concepita in questo modo, un dialogo in quest'altro, una trattazione filosofica conservare questo ordine e questa disposizione. — La retorica è una procedura, il miglior mezzo per esprimersi tra i mediocrissimi. Una conclusionale, un testamento, un atto di vendita hanno le loro parole di rito, eterne, immobili e fossili: le quali nel corpo vivo della lingua significano altre cose. Non importa: cosí si perpetua la mancanza di elasticità mentale e si consacra un errore. La procedura è essenziale nei Tribunali, nel Protocollo, come il rituale in Chiesa: la retorica nella letteratura. Proclamare l'opposto; dire che tutti questi intrighi non avevano piú nessuna ragione di sussistere, era sovvertire l'ordine pubblico, sopra tutto, irritare l'accidia.
Questa beatitudine borghese delle sieste lunghe ed edificate dai comodi riposi illanguiditi durante il post-prandium di difficile digestione e confortate dalle cangianti scene della farsa pimentata o dalla mimica dozzinale dei Circhi equestri, dove si svolgono le contorsioni delli antichi bardassa armeni, i simulacri del duello e della lotta, i volteggi delle cavallerizze, i portenti delli psylli, incantatori di serpenti e le meraviglie dei facitori di mostri; questo egoismo affumicato nel profumo della sigaretta e dell'avana, odorosi di belzuino, non ci perdonò, né ci perdona, di volerlo obbligare ad un lavoro ch'egli schiva, di cui forse non è capace e che non gli dà realmente piacere. Avendo le papille ossificate, dure alle sensazioni delicate, i nervi intontiti dai narcotici, la sensibilità male educata e grossa, non capisce il perché dei nostri studi e de' loro risultati, sdegna di volerne gustare, con noi, le preziosità e le verginità. L'insistere a spiegare, a ritrovare motivi nuovi, forme genuine, andature inusate di periodi, rappresentazioni speciali di fenomeni antichi e sussistenti, è pei grossolani una inconcepibile fatica, una pena dolorosa.
I lettori, in generale, rifuggono dall'applicare l'intelligenza e la riflessione, quando lo sforzo obbligato, dal libro alla mente loro, è superiore al piacere che ne ritrarrebbero dopo averlo ben compreso. Il libro nostro, per loro, non vale la pena di essere letto e studiato (lo maneggiano insoddisfatti e curiosi insieme, come un profano di musica palpeggia uno strumento a lui sconosciuto, che gli resta inutile ed inerte tra le mani) perché non sono capaci di conversare colle nostre pagine. L'Originalità è una virtú condannata come un peccato; Poe dimostra che lo scrittore originale non giunge mai alla popolarità, non essendo mai compreso dalla folla, perché i due termini, letterato e massa, sono idiosincratici, vicendevolmente. Noi fummo direttamente in contradizione palese col gusto del pubblico; ci accusò, una volta dopo l'altra, senza badare alla contradizione, di jeratismo, di bizantinismo, di rivoltolatori di parole, come soleva dir Bismark ai giornalisti, wörterbrauer, di gente squilibrata, disutile, o peggio, di mistificatori. Avvalorati dal nome del Cancelliere di Ferro, tutti li altri piccoli segretari della comodità borghese, si curvavano a compitare, sudando, sulle nostre pagine, come stessero combinando li intrichi dei rebus o dei logogrifi, per estrarne una possibile soluzione; pencolavano, indecisi esegetici, sul dubio delle frasi mentre erano chiarissime, ed avrebbero risposto bene a conoscenza di storia, a sveglia e rispondente comparazione analogica, a piú sottile sensibilità esercitata. Dimenticavano troppo spesso di commentare lo scritto coll'azione diretta della vita dell'autore e commettevano l'antico errore di considerare il volume un qualche cosa di separato e di indipendente, una categoria a sé, senza legami con quanto lo circonda, con chi lo ha composto. Non pareva vero che si dovesse gettar tempo per applicarsi a bazzecole di tale fatta, quando avevamo la lingua comune del pizzicagnolo, della guardia di città, del prefetto, del facchino del porto, del curato di campagna, del becero, della trecca, delle quinte e della caserma; quando la letteratura a machina ed a stampa contemporanea ci dava tutti li esempi facili di tutti i generi. Pochissimi ammettevano che era obbligo nostro produrre qualche cosa di piú solido e di piú prezioso, e che la nostra ripugnanza ad ammettere i faciloni, i prodotti inferiori, le operette dei superficiali, dei frettolosi, delli incompetenti era un doveroso rispetto verso noi stessi, ed una manifesta riverenza verso l'arte, serbata alla sua nobile integrità.
Ci trattarono in massa da orafi, da aggeminatori pazienti, ma inconcludenti, da dilettanti di corbellerie; pensarono che li prendevamo a gabbo colli enigmi di fumo, le vacuità di nuvole; manifestarono il dubio che noi li sciorinavamo loro davanti, non sapendo che significassero realmente, tanto per stupirli e farli spasimare nella ricerca del significato. Ripetono che noi porgiamo loro delli effimeri giardini d'Adone, fiori già appassiti, stesi sopra un letto di carbone e frutti amari, dentro cui il nocciolo resiste ferrigno ed aspro, pericoloso ai denti che lo mordono; che, in fine, la burla diventa fastidiosa e bisogna smettere. Insinuano, che, anche noi, come li Auguri, non abbiamo fede nelle nostre complicate manipolazioni rituali e che, sotto via ridiamo, ben chiusi nelle sacristie, della facilità colla quale si inganna il gregge dei fedeli goccioloni. Per sopra piú, dopo di averci misurato colla loro incoltura38, vogliono far supporre che nomi ed attributi, curiosità stilistiche, personalità ortografiche vengono da noi impiegate, press'a poco come usa il gazzettiere del vocabolario, nel bujo, a tastoni, senza essere persuasi, né compresi della loro efficacia e della loro bellezza, orecchianti di cattivo gusto. A noi, che domandiamo confidenza ed attenzione, rispondono col mostrarci le fabriche che fumano, il treno che parte, la machina impaziente che non può aspettare, la cambiale che scade, la moglie che vuole un abito nuovo, la figlia che si esercita al piano forte per richiamare il fidanzato, l'amante incostante e che li smemora e che costa loro un patrimonio in cene succolenti e gioielli all'ultima moda. Noi dobbiamo convenire che essi hanno moltissime ragioni per non aver tempo disponibile da dedicarci; e noi torniamo a produrre quanto essi non comprendono.
[Da Il Verso Libero, ed. di «Poesia», s.d. ma 1908.]