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A richiamo di alcuni periodi di una mia prosa, qui citati l'altro giorno, per racchiudere in breve cerchio il carattere, la figura e l'attitudine letteraria di Alfredo Oriani, s'affollano memorie e mi riescono gesti suoi tra i piú spontanei e consueti, indici d'animo grande e sdegnose espressioni disincantate per ogni cosa, di chi, amareggiato dalli uomini ed in perpetua e fucinante tensione, quasi presago, rimaneva sospeso ed in attesa, sempre, di un fatto enorme, che, con se stesso, avesse potuto rinnovare la faccia del mondo, in simiglianza della sua commossa ideologia.
Dalle quinte colonne della Italietta, per un suo malaugurato e sfortunato Olocausto, e piú irritato per altre sue contradizioni, che, viste in superficie, mi parvero incompatibili colla sua politica, aveva già scritto: La decadenza di un letterato. Quindi, volli saperlo meglio; mi interessai di tutta l'opera; gli venni incontro, porgendogli la mano. Egli accettò il saluto, ma, eccitato a confidenza piú intima e completa, a maggiore abbandono, a care esuberanze, perché con quelle venisse a ristorarsi, dopo tanto deserto ed aridità di labra, alla fresca polla di una amicizia senza sottintesi, leale e giovanile, schivò la corrispondenza.
Gli aveva portato l'omaggio della generazione che lo seguiva, procedendo, intesa a non rimettere piede sull'orme de' suoi predecessori, come non desiderando cancellarne l'impronta; ed egli non badò alla reverenza e le mie pagine mise da canto: forse vicino; ma tacque. Luigi Donati, a lui caro a me fedelissimo, aveva stentato tra noi due cemento d'amicizia; aveva ricomposto, colla sua nobile assiduità, la colla cordiale, trovatone il secreto nelle carte memorabili del nostro umanesimo, poiché di questa si stringono, dalle reciproche stime, affetti piú soavi ed intensi: invano. E mi scriveva: «Vidi e mi trattenni con l'Oriani, il quale tutto sommato, vi tiene in ottimo conto. — All'Oriani ho già scritto piú volte di voi; ma egli è di una tale laconicità epistolare che esclude tutti i motivi letterarii: ma porterò lassú la vostra lettera. Quanto ai libri suoi ora che ne conoscete la bibliografia, potreste procurarveli: lui non ne ha né meno una copia d'ognuno, e ben raramente scrive a chi si occupa di lui. È un solitario altezzoso davvero: non appena uscirà, leggete la Rivolta ideale e vedrete quale abisso lo separa, tanto da coloro che ammirate, quanto da quelli che combattete». — Donati insisteva sulla Rivolta ideale; desiderava ch'io la conoscessi a fondo mentre stava scrivendo Il Verso Libero. A suo parere io dovevo «leggerla ponderatamente: è il polo identico ed opposto del vostro, che non dovete chiudere prima d'aver letto quella per intero».
Rivolta ideale, Verso libero! Sono, in fatti, due concezioni della umanità, del mondo, della comunione umana, delle leggi, delle religioni, in perfetto ed opposto antagonismo; identici, del resto, per carattere letterario, per sincerità, spesso alli autori dannosa, per completo e disinteressato abbandono alla confidenza; la quale sempre nuoce in faccia all'ipocrisia ed al cinismo arrivisti ed arrivati.
Chi si è interessato di Rivolta ideale? Di questa profonda quand'anche unilaterale sintesi di tutti i valori in azione ed in reazione da' quali è possibile l'uomo, monade di uno Stato, e lo Stato, complesso organismo, colonia di quelle monadi, non sempre in ritmo, né in equilibrio, né sane, né produttive? Conservatore anarchico, se Alfredo Oriani determinò lo Stato come una necessità organica, pure non lo impose come organismo superiore all'individuo: i suoi concetti, che va spiegando nel secondo libro del volume, sulla libertà, l'individualità, lo spirito nazionale, le classi, la patria, dovrebbero venire riproposti all'esame ed alla migliore conoscenza; cosa che i facili mitingai delle miste folle tumultuanti non fanno; perché, leggere, studiare e quindi parlare è piú difficile che parlare... semplicemente.
A me, oggi, non è dato riassumerne la conclusione: mi rimane a deplorare, una volta ancora, quanto siano, coloro che detengono e dirigono l'opinione pubblica, da condannarsi, perché non vogliono appressarsi, e non credono deferire il loro tempo e la loro sapienza, per questi stipiti sani e maggiori di coltura, di intellettualità, di nobile fierezza, che insegnano, dall'esempio, a comportarsi da responsabili e da operosi.
Alfredo Oriani passò tutta la sua vita rifiutato e rifiutando: l'ultima sua arme e la prima fu il: No. Egli, che sentivasi inchinato, per attitudini, eloquenza, prestanza, bel porgere ad una delle prime parti in politica, non trovò mezzo di accondiscendere ai partiti. Interrogato a qual posto avrebbe seduto alla Camera, caso mai ve lo si inviasse, rispose: «Al mio!». Non diversamente il Guerrazzi, a cui l'arte e l'impeto nero lo apparentavano, ed, ultimamente non piú, le finalità repubblicane.
Per ciò, sú, a Casola Valsenio, si amareggiava, giorno per giorno, catastroficamente apocalittico: «Vi mando un saluto da quassú», mi scriveva il Donati: «dove mi trovo, dopo un paio di giorni passati dall'apocalittico, catastrofico Oriani. Beato voi, che, almeno, avete la filosofia della giovialità!». — E, se, un giorno tra gli altri, egli gli vuol parlare di matrimonio, di famiglia, di amore: «Oriani, nemicissimo delle donne, non approva le mie nozze, sentenziando che la primavera non si accorda coll'autunno; cadendo, lui idealista, nella contradizione di subordinare l'amore soltanto alla fisiologia».
Amore? Non se ne doveva far cenno con Oriani. Non per nulla aveva incominciato colla patologia di un amore, non per nulla si era fatto il Solitario di Casola, colla feroce insistenza di un drama intimo nella memoria, coll'amarezza delle disillusioni, colla impotenza alla necessaria vendicazione. — Era pur cresciuto in quelli anni, in cui le virtú feminili ed i vizii valevano poco; in cui era stato lecito a Carlo Dossi di scrivere: La Desinenza in A, al grottesco Imbriani: Dio ci salvi dagli Orsenigo; a Paolo Valera: Amori bestiali; a D'Annunzio: Il libro delle vergini; a Cesare Tronconi: Le commedie di Venere. La spina antifeminista gli si era incarnata piú in dentro; vi aveva fatto sanie, aperta una ferita; dalla slabratura non piú rimarginatasi colava sangue e tormento e pus infettivo: la vita stessa non gli venne a conforto; saggiò della donna quanto la femina gli permise; e si disgustò avvelenato. Egli può dunque scrivere in Rivolta ideale capitoli sulle bassure dell'amore moderno, sul feminismo, sul denaro, sulli spostati: ed egli, enumerando la schiera dei derelitti, non vi si sarebbe sottratto.
Che gli poteva importare la nuova fragranza di un libro, che squillava la diana di un ottimismo d'oro, perché passato e vagliato dal dolore, dalla angoscia, dai disinganni, ma vinti, domati, valletti alla intelligenza, disposti, logicamente ed esteticamente, in serie? Come gli sarebbe apparso, nell'invito di credere, di operare di piú, di amare ancora, anche coloro che non sanno, che non possono, che non vogliono, eccitandolo a sentire, non a giudicare? Come gli risuonarono dentro, con quale commozione, con quale partecipata accoglienza le altre pagine di battaglia, di sacrifici, di libertà, di lieta vittoria, di oscure sconfitte, ma, di serena responsabilità del mio Verso Libero: «Da Casola sono ritornato giovedí, dopo di aver parlato con Oriani del vostro libro, sul quale, però, egli non ha voluto pronunziarsi», mi dava nuova il Donati: e, poco dopo, buono e fedele e quasi vergognoso del risultato negativo e della prova andata a male: «Oriani mi scrive stamane che ha ricevuto e letto ieri notte il vostro libro; ma non me ne dà nessun giudizio; egli si mostra, anzi, piú pessimista e triste che mai, fino a raggiungere la sgarberia per voi e per me. Finisce: "Di me non ho nulla a dirti: sto peggio; ma ciò non interessa alcuno, nemmeno te ". — Amiamolo e lasciamolo stare».
Né io lo interrogai piú oltre. Spesso, me lo sono raffigurato, in imagine, come Luigi Donati me lo aveva descritto, quando, nel novembre 1906, in una saletta del Cardello, egli andava copiando il volume autografo di Rivolta ideale41 dettatogli dall'Oriani stesso. «Nel silenzio assoluto del romitorio e della notte, la sua voce vibrante d'orgoglio e tremante di disperazione, aveva accenti e sospiri che mi esaltavano e mi intenerivano: i potenti concetti della sua mente, le piú ardite speculazioni, attivando con imagini pompeggianti anche il mio povero cervello di scrivano, mi procuravano sommi diletti: mi pareva che i maggiori ingegni se ne dovessero, alla loro volta, infiammare irresistibilmente non appena il libro fosse edito; e però, con esultante convinzione intima, osava timidamente un conforto, se udivo la maschia voce quasi spegnersi nel pronunziare le piú sublimi sentenze, o vedeva l'ampia fronte corrugarsi, e, dai belli occhi infissi in una visione di martirio, scender le lagrime furtivamente». Ed uscivano all'aperto, nella frescura della notte, sotto le stelle, sotto il mistero dell'arcano, che invita a domandare: ed essi avevano interrogato; e le stelle avevano sorriso ambiguamente, come sempre e non risposto, mai. Ed il cuore si martoriava crudelmente: schietta, lunga, l'ombra di un cipresso segnava, sullo spazio bianco di luna, la sua linea acuta e convincente: guardava la casa del Cardello come a custodire un cimitero. — Poi, tornavano, l'uno, a dettare, l'altro, a scrivere idee e bellezze, perché Alfredo Oriani potesse piangere, pensare, creare ancora, per sé solo soltanto, egli, erotto di sulla folla, altissimo e disconosciuto, quando non semplicemente ignoto.
Chi sa di lui, delle sue venti opere di varia ed intensa coltura e letteratura; dal romanzo alla storia politica, dalla filosofia al drama? Quanto conoscono di questo suscitatore michelangiolesco e guerrazziano per grandi idee, a grandi sentimenti umanati e personati in simboli? Della sua tragica azione avvolgente, della sua inquisizione profonda che scandaglia li abissi ed i misteri? Della sua formidabile ideologia che colma le lacune, determina l'inconosciuto, in un lampo e la scoperta completa sopra il momento, colla intuizione geniale e sintetica di tutto un sistema, di tutto un mondo nuovo ed armonico, uscito a perfezione, dopo il caos del pessimismo hartmanniano? Interrogatela: fate che la folla vi risponda.
Rare voci vennero a lui: voci di isolati, di dispersi, di dissociati; voci di colleghi, sui quali pur la folla aveva piovuto la sua benevolenza e decretato, a soldoni, il suo suffragio. E, tra li altri, anche Edmondo De Amicis; che si incontrò sulla strada di questa eccezione dell'Oriani, come su quella del Dossi, e non poté che ammirarli entrambi: «Troppo tardi»42; aveva scritto al primo; «ma non ho voluto ringraziarvi che dopo aver letto. Ora, ringraziandovi, posso esprimervi la mia piú viva ammirazione. Lo studio della Gelosia è uno dei piú originali e profondi ch'io mi conosca, e, fra le molte altre cose del Nemico, la narrazione descrittiva e psicologica dell'attentato del teatro di Mosca mi ha lasciato una impressione incancellabile. Vorrei avere il tempo di scrivervi di piú; ma non posso. Voi solo potevate farmi leggere tre volumi in un periodo di tempo in cui m'ero proposto di non leggere nulla, e son ben lieto di aver mancato al mio proposito. Vi mando mille congratulazioni e mille auguri». — De Amicis, Campiglia, Cerva, Biella 6 agosto 94.
Or bene, mi domando spesso, come va che questi che sa capire e giudicare nettamente i suoi colleghi, quando si tratta di fare non sa emularli? — Zitti: non disturbiamo le tombe: Il Cuore blasona, sopra la sua copertina, il trecento-cinquantesimo migliaio: interrogate cento persone, prese in blocco schiumando la intellettualità facilona, rumorosa, pretenziosa, laureata, ben retribuita e professionista d'Italia: quanti hanno letto un libro, un solo libro di Alfredo Oriani? Eh! che dite? — Già: lo so, i paragoni e le inchieste di questa specie sono sempre odiosi, dunque? Su, ad alta voce! — Meglio cosí: il silenzio vi serve di foglie di fico: almeno il pudore, che è una vergogna, il pudore del tacere!
Non istituirò gare e premii tra i defunti, necroforo di spalle tonde indifferenti, patteggiando per l'uno o per l'altro; non richiamerò, a stento lagrime avare ed ipocrite all'angolo dell'occhio insensibile: inviterò i pochissimi giovani baliosi e volonterosi ad appressarsi al gran corpo fulminato, come un Capaneo di superbia nobile e letteraria, e che oggi occupa spazio proporzionato alla sua gigantesca figura in sul suolo della patria. Vi convengano e lo sappiano, prima di rimuoverlo, per funerali compresi e degni: egli, postumo, può ancora istigarli ad azioni volontarie e generose: Luigi Donati, alla nostra frettolosa ma ammirante necrologia, potrà aggiungere l'ispirata commemorazione, riprendendo il motivo, là dove lo ha lasciato nel suo studio, apparso qualche anno fa, sulla rivista «Romagna»: Luigi Donati, un altro inquieto e romagnolo ricercatore di pace, nella lirica. Egli ha pur lottato con se stesso ed ha deciso con una sua filosofia per il mistero; poiché la realtà non seppe compiacerlo, perché forse nulla è piú vero del Sogno... e della Morte che lo annulla.
[In «La Ragione», 27 ottobre 1909.]