Gian Pietro Lucini
Scritti critici

GEROLAMO ROVETTA

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

GEROLAMO ROVETTA

Doloroso riporto, in sullo scadenzario non inutile, ma crudele della morte, un'altra domanda, l'ultima sua postilla, richiede la banalità, che contrasta col mio affetto ferito, di un necrologio sopra la pagina nominata da Gerolamo Rovetta.

Non importa che per quasi dieci anni, quest'ultimi, non mi fu dato di vederlo e di parlargli a viva voce; ma mi giungevano dell'amico le recenti pubblicazioni coll'eco delle cronache teatrali, la nota bibliografica, coll'applauso o la reticenza del pubblico festajuolo. Bastavano questi motivi per rimettermi breve ora in sua compagnia, per riparlare a me stesso di lui.

Momi lo chiamarono li intimi. Giunse a Milano da Brescia e da Verona intorno al 1880; scrisse le prime novelle per isvago, raccolte e pubblicate dalle gazzette ebdomadarie allora in voga; gli serví, dopo, la letteratura per lavoro serio e per determinato guadagno. Amò dirsi uno dei pochi uomini di lettere italiani, i quali potessero vivere, e non tirchiamente, della loro prosa romantica e dramatica; se lo contesero li editori Baldini, Castoldi e C. sul trust invadente e di ignobile serrata spadroneggiante de' Treves e de' loro prestanomi.

Egli esercitò il suo mestiere e l'arte sua piccola borghese con fervore ed onestà; ed, incontrandolo, il mio Verso Libero, gli ha inchinato il merito: «Un galantuomo che io amo e stimo, Gerolamo Rovetta, veniva in fama, a poco, a poco, con delle sicure qualità di osservazione, di arguzia e di critica: ma in quale stile? Stampato sulle piú grosse riviste parigine come romanziere, come commediografo fortunato recitato in tutti i teatri italiani, pur egli non è letterato» nel senso pretto col quale io intendo ed intende Carlo Dossi la parola. Scrittore, : perché nulla trovò del suo, perché fu l'estrema sinistra del manzonianesimo, come Fogazzaro ne rappresenta l'estrema destra; perché seguí, all'occorrenza la disciplina piú in voga, e seppe giovarsi della réclame, quel tanto che l'eleganza concede, come, della bizzarria, ciò che la haute, che tanto ha frequentato, permette ne' salotti di buona compagnia dei disoccupati occupatissimi di flirt, cavalli, automobili, tennis, ballerine ed adulterii brevi e senza dolore.

Rimase nel ventre delle lettere nostre: il Farina aveva meglio preveduto, abbandonatosi in gioventú alle fiamme porpuree di una Bohème lombarda tra il Tarchetti ed il Fontana: il De Roberto era arrivato troppo presto a credersi di piú che non lo si valutasse, subito rifiutatosi di continuare, tradito dal suo presumersi: il Verga grande e massimo muto: svoltato per un altro cammino piú utile piú conturbato e doloroso il De Amicis; inquieti sospettosi li altri anonimi, che tendevano la pezzuola al vento per mettersi da quella parte verso cui spirava in favore; bottegaja l'arte che si vendeva; invenduta ed aspra e ribelle ed inattuale l'altra ammucchiata nelli scaffali; il Rovetta ci riconduceva ad una formola non recentissima ma piacevole che allietava alla lettura, non imprecando ai sovversivi, non gridando guerra ai ben pasciuti, altalenando in buona armonia sul liberalismo, una volta meno gesuita e meno ebraico del «Corriere della Sera», rimasto per altro, nella buona grazia di quest'ultimo, reputato machina sicura di romanzi e commedie.

Egli fu un remissivo leggermente scettico: se usò, qualche volta, il cinismo della cruda espressione zoliana, lo spolverò di romanticheria sentimentale. Un Romanticismo, infatti, tiene tutt'ora le scene, con questa diarrea di commemorazioni carnascialesche, non saprei se piú impudiche, o meglio sfacciatamente carnevalesche e reddituarie; ma un Romanticismo che porta segno costituzionale, un'oscura e grave lacuna, soppresso, dal giuramento della Giovine Italia mazziniana, l'aggettivo repubblicano, verso cui — tirata ad effetto e pistolotto istrionico — certo non sarebbero scrosciati li applausi dalle mani bianco-inguantate, perché plebeamente rivoluzionario.

Onde, la Patria nella storia e nell'arte condí in brodetto-sguazzetto di rane; e perciò appunto nell'opera del Rovetta e nella società ch'egli usò e descrisse, rimase cosí piccola e cosí meschina da chiedere l'intervento del nostro internazionalismo, per farla piú porpurea e meno anemica, sopra a tutto meno remissiva, e piú legittimamente italiana.

Furono, invece, per Gerolamo Rovetta i molti motivi mondani risaputi, ma ripresentati con una freschezza, sottili stati di animo dei ricchi, notomizzati con giusta proporzione. Rivedemmo antiche figure. Passarono per le sue novelle, pe' suoi racconti, i vecchi servi fedeli ed affezionati, li snobs insolinati incravattati, figurine — e figuripretenziosi di moda, zucche vuote e mannequins per giostre di parata; le sotto eccellenze e le relative eccellenze piene, mezzo forcajole; le damine ambigue in sul decidersi al piacere extra-matrimoniale; le fanciulle nobili un poco spregiudicate, che flirtano e che eccitano, per rifugiarsi nel matrimonio, allumeuses di vane passioni fredde e di vane e complesse speranze maschili.

Predilesse le mezze colpe e le mezze assoluzioni dei correnti adulterii; le svenevolezze delle eleganze; le morbose castità de' desiderii vergini; rinnovò i casi di Fernanda da Sardou; in sulle ultime pagine appostillò, rombante, la macchina dell'automobile; amò veramente d'amore i cagnuoli bassotti e spesso ne disse la lode con garbo raibertiano: il Meo di carne e di tipografia gliene sarà sempre grato.

Apparvero maschere aggraziate, qualche volta diluite. Perseguitarono casi e formole, che a noi troppo esigenti, non lasciano campo alla immaginazione integrativa, perché il lettore, oggi, vuol essere suggerito non guidato a mano: le sue creature sono leiliane e mantegazziane; laccate e dipinte in ogni dettaglio, calme di una ironia comune a fior di pelle; sono come sgraziatamente convenga che sia gente ricca e titolata, che ha tanti svaghi a sua disposizione, che si profuma colla moderna cosmetica, cui il moderno lambicco certosino ed il sentimentalismo di bon ton sanno, senza fatica, distillare. Cosí a noi che abbiamo sempre adorato l'inedito, lo straordinario, il caso difficile, che desideriamo l'alacre antagonismo della mente nel comprendere, che sogliamo lottare colle pagine e collo scrittore maligno che si schernisce e si rimpiatta, per scoprirlo tutto, perfetti egoisti epicurei a cui importa la battaglia pericolosa per aggiungere voluttà maggiore alla vittoria, per assaporarne la gioia piú orgogliosa; abbiamo dissentito da lui, abbiamo spesso desiderato ch'egli dicesse meno e con maggior colore. E, pensando con questo preconcetto, giudichiamo Mater Dolorosa, Lagrime del prossimo, Baraonda quanto meglio uscí dalla sua penna.

Egli ha cosí foraggiato, con misura, dalla Gyp a Lavedan se dialogò L'Idolo; e fu tutto veneto-lombardo-parigino anche nella lingua. A me, talvolta, chiese in aiuto sintassi e gramatica, cui i miei critici benigni, oggi, pare mi negano; e fu in questo modo che il suo abbigliamento rimase english-and-french-fashion, senza molto adontarsi. È per questo che io meglio lo stimo: sfrondò l'eccesso descrittivo sinfonico e colorista; non volle, spesso, dare nell'eroico di retorica; non accettò mai la figurazione simbolica; si tenne alla esposizione dramatica di una serie di gesti e di fatti osservati direttamente con buoni occhiali da miopie di un cristallo alquanto roseo. Todos es segun el color del cristal lo que se mira; non è vero?

Niente dunque impennacchiature e spadoni e mantelli e strascichi e baute; gorgerine di Venezia broccati levantini, tacchi, piume, farsetti di oro liccio, roboni di grosso vermiglio, zibellino dottorale e canonico, lame di Brescia, corsaletti di Milano, venustà della Rinascenza messe di moda, auspice l'Imaginifico, allora ed ora; per il Rovetta rimasero sotto vetro nei musei.

Con comodità, dalla sua poltrona americana di marocchino verde, dal suo studiolo, che fronteggia le torri del Castello Sforzesco, al di delle piante di Foro Bonaparte; dal suo laboratorio di seggettario intellettuale, costellato, sulle pareti, di ritratti e di caricature agili e graziose, di disegni e di schizzi a ricordargli volti e paesaggi amici; nella sua pace laboriosa ed insistente, egli non volle a sé una intensa attenzione di lettori difficili, non si preoccupò per il di piú lasciato al grande ingegno ed al genio; volle ricreare colla sequenza delle sue scene ben presentate.

Semplice e piatto, alcune volte, non ha mai preteso alla grand'arte. Non irritò nessuno; giunse, sempre, in apparenza, serio e lieto ad un tempo; ma non tollerò mai i decadenti, i suoi piú insistenti seccatori, a cui, come buon'anima un altro galantuomo, il Giacosa, lasciò tutte le partaccie in alcune comedie, giudicandoli, dal loro prototipo giuocoliero D'Annunzio, de' farabutti ciarlatani.

E s'ebbe un'altra virtú sincera, quella di non nascondere dietro larve d'imprestito il vuoto del pensiero; evitò la tirata, perché, non emotivo, non si commise mai colla lirica; non si confuse colla filosofia, perché non desiderò meditare; il risultato non fu antipatico, perché lo soccorse l'humorismo erotto dal racconto genuino della realtà vista colli occhi suoi ironici e benevoli.

Non si rinnovò: rimase sempre se stesso con bella costanza; morí, per ciò, senza ostentazione, ma con evidenza, cattolico, convinto cattolico, per quanto non fosse francescano; onde ripeto che fu un galantuomo sincero. In questo tempo di mascherotti varii ed ambulanti sulla fiera letteraria d'Italia, mentre si strafà ad usura, si è reticenti, e si dice troppo, ci si nasconde per terrore di noi e per paura del pubblico, ed anche chi non ha mai incominciato trova il bisogno di rinnovarsi; Gerolamo Rovetta, sia pure per poca incontentabile sensibilità, non ha mai mutato se stesso né si è mentito. Espose il suo carattere e le sue attitudini, lealmente, nella sua opera, senza ingannare nessuno, onesto al punto da sembrare un ingenuo. Si affidò alla popolarità del successo, senza pensare, con piú orgoglio, alla fama tra i posteri. I quali leggeranno i suoi racconti per necessità curiosa di sapere la mente, l'abito, i gesti, le foggia, l'arredo, le piccole passioni carnali ed egoiste di una piccola borghesia plutocrata e titolata in uno scorcio di regno d'Italia, mentre le grandi idealità tacevano nel borbottare della caldaia a vapore delle officine, e la folla delle piccole menzogne ufficiali ne tenevano il posto molto costituzionalmente. Contributo alla cronaca sportiva ed elegante, Gerolamo Rovetta fu giornalista col romanzo, e resocontista mondano col drama: la storia anedottica attingerà da lui preziosi elementi di vita vissuta; qualche suo imitatore troverà modo di foggiarvi sopra altri: Moglie di Molière, Principio di Secolo, Re Burlone, Romanticismo, se la violenza idealista della nostra azione gliene lascierà l'ozio ed il tempo.

[Varazze, il 9 maggio 1910. In «La Ragione», 12 maggio 1910.]


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License