Gian Pietro Lucini
Scritti critici

GUIDO GOZZANO

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GUIDO GOZZANO

Custodia ai Colloqui43 di Guido Gozzano, una bella pagina, inscritta dall'arte severa e passionatamente classica di Leonardo Bistolfi; due figure umane, ambigue ed immantate di pieghe prolisse, dentro cui nascondono le forme, si dànno, sulla soglia di un monumento, mausoleo o tempio, un bacio che non ha fine. È quello dell'addio? L'altro del rivederci? La pagina suggestiva altro vi fa supporre che dentro il volume non troverete.

Questo, invece, vi vien porto con un boniment-fervorino ammannito da uno dei soliti sguatteri preposti allo scansare abituale della fatica, e, per traccia, alle possibili variazioni del critico provinciale; e, , vi potrete leggere: «che, dopo qualche tempo, il poeta piemontese, fu scoperto dai cenacoli letterari di Roma, che qualche giornale cominciò a parlarne».

Fatto che può essere stato vero, ma che io chiamo americano (sapete, da Amerigo Vespucci, colui che non scoperse l'America ma la descrisse) fatto, che aveva già trovato il suo Colombo fors'anche in me, per quanto orso di prima categoria e solitario, non bell'animale gajetto e lustro di società, giornalmente in esposizione nei cenacoli letterari di Roma.

Codesto orso, a proposito de La via del Rifugio, si era sentito obbligato a doversi esprimere mentre gli altri piú ciarlieri e socievoli abitatori della ménagerie non sapevano dove orientarsi, da un numero de «La Giovane Italia» (allora rivista mensile e non ancora blasonata dalla scala a pijuoli del Notari — «per costruire» o «per arrivarci»?) del febbraio 1909, tra il resto, cosí: «Guido Gozzano riempie, colla sua nota personale, un vuoto che deplorava nella orchestra della giovane nostra poesia: egli vi resisterà od io mi inganno.

Quanto Charles Guérin, Francis Jammes, Stuart Merrill espressero ed esprimono, per tre voci diverse ma intonate ad uno stesso registro, egli solo dice tra noi colla sua breve Via del Rifugio».

Ma, proprio adesso, in sulla soglia d'entrata dei Colloqui, dove quelle due figure non dimettono il bacio, sostato dopo di essere uscito dalla casa, cui sono preposte, mi si fanno color di fuoco le mie parole: «egli vi resisterà od io mi inganno»: e la seconda parte del dilemma mi cade sulla penna imprudente ed avventata, quasi con un fendente d'accetta me la volesse spaccare.

Ho nella assai difficile professione di profeta? Non ho calcolato bene alcuni elementi in ombra, ma che avrebbero dovuto soverchiare sulla luce dell'opera del Gozzano? Hanno errato tutti gli altri con me? Oggi, si incomincia a parlare di un caso Gozzano, come di un fenomeno Benelli. Intendiamoci subito; il secondo val meno del primo, che che ne applaudino le platee promiscue: ma, infine, noi tutti che abbiamo cooperato a plasmare per il pubblico questo nuovo giovine poeta abbiam rizzato ara troppo sollecita ad una falsa divinità?

Fama usurpata? No, fama... estemporanea; l'unanimità del suffragio lusinghiero determinò, che questo giovanotto poteva venir accolto in ogni luogo, perché tutti intuirono come il primo fiore poteva pur essere l'ultimo frutto; il quale aveva davanti a sé la troppa completa maturanza, la santa putredine, non la possibilità di un seme per altra pianta piú bella e migliore.

Guido Gozzano, prima di essere eleggibile al parlamento letterario, era asceso, senza postulazioni, al laticlavio. La maggior ditta editrice l'accolse subito dopo La Via del Rifugio per questi Colloqui che la ripetono; la grinzosa, e sempre ingrognata coi giovani, «Nuova Antologia» gli ha richiesto Felicita; «Le Lettura», che è l'anticamera della «Nuova Antologia» ed il salotto d'onore del «Corriere della Sera», fece illustrare le sue pagine sul testo di Cocotte; e la gente per bene si commosse.

Il critico avveduto e non superficiale ha sorriso, perché il crescer del virgulto Gozzano stabiliva:

I. Che, la bellezza dell'asino — quella di cui rosea-melata-bionda pompeggiano il volto e la persona delle giovani uscite di pubertà e fresche per eccesso di lodevole giovanezza — è come il giardino d'Adone,

nasce, fiorisce e muore
e non ritorna piú:

ciò che desidera farvi sapere non ignori il poeta stesso, quando vuol rimanere

….. l'amico
che vi fu caro, un poco mentecatto

ed

il fanciullo..... tenero e antico;

già che vuol celato

al Popolo, alle Corti,
l'onta suprema della decadenza

suggellando il silenzio alla bocca della giovane sua Musa, di cui, pur troppo, accorge l'assai primaticcia età sinodale.

II. Che, di tanto in tanto è necessario allevare, nella arcigna e severa repubblica delle lettere, un successo da salotto, per dimostrare, che anche la piacevolezza ironica dei letterati non è mai a corto di espedienti, quando faccia risultare, in opposizione di quello, le vere virtú, rimaste tanti anni nel silenzio e nel deserto, e perciò formidabili alli adattamenti sociali delle doti richieste vagellanti e in corso per il paese delle convenzionalità, fenomeno che meravigliò lo stesso cantor de La Via del Rifugio; e egli non tardò a confessarmelo.

Perché io amo Guido Gozzano: e se oggi gli sono aspro — e l'ho fatto avvertire molto tempo fa — dipende dall'essersi egli troppo compiaciuto del gustoso e pericoloso incenso critico. Come meglio la sua fragranza ancora da dilettante profumava prima! Sentite la sua innocente spavalderia, s'egli mi risponde alle lodi tributategli pel suo primo saggio: «Grazie, caro e buon amico, grazie infinite! — Ella grave, non d'anni, ma di esperienza, sa di quanto conforto sia l'elogio per la vanità giovanile (ho 22 anni). Ma forse non sa che, di tutti li elogi, di tutte le critiche anche su fogli massimi, piú caro di tutto mi è il consentimento privato, spontaneo di qualche lontana anima fraterna. — Ed alla lettera di Lei s'aggiunge il compiacimento di vedermi segnalato da un artista che sapeva eletto e nobilissimo, ma credevo — mi perdoni! — un po' sdegnoso, corrosivo e mordace».

(Lettera di Guido Gozzano, 19 dicembre 1908).

che doppio era per lui il complimento aumentato dall'obbligo di piacermi ancora; compito oneroso. «Ciò mi confonde e mi inquieta anche di piú. Vedremo, col tempo, se la vostra benevolenza non s'ingannò o non mi illude la mia speranza». (Lettera di Guido Gozzano, 11 febbraio 1909). Cosí, alla prova dei Colloqui c'ingannammo tutti e due ed a me piú che all'altro dispiace. — Vorrà egli, domani, egli che apprezza e sente dignitosamente la sua sincerità, smentire con altro apparato la sua sincerità, smentire con altro artifizio il suo essere?

Sia la mia vita piccola e borghese;
c'è in me la stoffa del borghese onesto?

Certo, una posa lo sorregge qui e lo spinge a mettersi in bacheca; ma è inocua, spesso simpatica; la posa del buon giovane di buona famiglia, cortese, intelligente e un po' strambo, la performance dell'ottimo partito per ereditiere; — badate, a prenderlo in superficie.

III. Perché tutti, in fondo, non avevano di che temere da questo poeta retrospettivo, diminuito de Musset ripollato ottant'anni dopo, con anacronismo delizioso ai vecchioni che sentivano di ringiovanire al suo contatto — un ventenne che sente coll'animo di un nonno! — e de' perversi, che godono di strofinarsi contro il velluto di pesca e la seta lucida di mela appiola delle disinvolte bellezze dell'asino. Onde, quando si accorsero codesti esimi professori di critica in loro pubertà, anarchici per bisogno di arrivismo, nella loro giovanezza, già decrepiti conservatori, perché arrivati «che il giovane poeta piemontese era stato accolto dalla critica altrui con premurosa ed abbondante ostilità al suo secondo volume e non ne trovavano la ragione nell'opera stessa del Gozzano — il quale aveva dato di sé speranze maggiori —» imputarono il difetto alle pretese massime che i suoi Aristarchi avrebbero voluto assolvesse per accontentarli. E come gli si rigirano attorno bei soriani col dorso e la coda inarcata, facendo le fusa, storcendosi, vezzegiandosi, mendicando carezze con le capatine ed i brevi volteggi. — Badate, Gozzano! Son dei felini, non importa se domestici; vi hanno complimentato prima ed assai e vi tirarono giú di strada; non fidatevene piú. Se un poeta deve rimanere tale, deve pur saper mutare accento; il mondo è vasto alle nostre curiose scoperte; ciò che avete veduto è la Città - di - Poco prima; vi attende la Metropoli - dell'Oggi; avete l'obbligo di darci la descrizione del viaggio e la carta geografica della Regione - del - Domani; se no, no.

In questo momento, Guido Gozzano mi appare specificatamente un diminuito, Alfred de Musset, tolto giú dalla cornice, da un ritratto, dipinto con molta superficiale disinvoltura; chapeau à la Bolivar, basques vertbouteille, pantalon de nankin à sous pieds, bottines vernies, chansons à la lord Byron, declamate con molto pathos nei salotti del Faubourg e chez Very, o nei cabinets particuliers del Café de Paris, davanti le ultime marchese e le piú recenti ed in voga cocottes, cavalle al turf erotico di costo, di sangue e di sciocchezze. Povere, piccole Ninon, e piú ritinte Lepanto rosseggianti, che il poeta ama far soffrire:

….. Che mai t'ho fatto,
o Guido, per farmi cosí!

sorridente demi-mondaine, che lo aveva interrogato quattrenne dal cancello di una villa prossima alla sua

Piccolino, che fai solo soletto?

per sentirsi rispondere:

Sto giuocando al Diluvio Universale!

Non all'incondizionato diluvio universale di Ibsen; quello che non avrebbe neppur risparmiato l'arca di Noè, ma ad un pasticcio di rena e d'acqua sul vialetto borghese.

Povera non dimenticata venditrice di carezze,

Tra le gioie defunte, i disinganni,
dopo vent'anni,

quando il bimbo invecchiato, perché pur credendo a tutto non crede piú a cosa alcuna, tornava a desiderarla:

Vieni! Che importa se non sei piú quella
che mi baciò quattrenne? Oggi, t'agogno,
o vestita di tempo! Oggi, ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella
come tutte le donne del mio sogno.

E non vogliate destarlo, però che egli incontra e gli

piace l'agile fantesca,

l'afferra e la vuole:

Ella l'irride, si dibatte, implora
invoca il nome della sua padrona:
Ah che vergogna! Povera Signora!
Ah, povera Signora; e s'abbandona;

sostituitalesi al sodoamore d'ancella! — E non vogliate destarlo; perché s'incontra e non suade alle tenerezze della signorina Felicita schivando al bivio, la felicità; perché il Very ed il Café de Paris sono lo Stoker della Galleria milanese e l'Aragno del Corso romano; perché il Faubourg si riduce ad essere il cenacolo chiuso e postillato dal protocollo aristocratico e letterario, secreto come un gabinetto anatomico; e, qualche volta le ragunate, tra li specchi verde-Nilo e li ori stinti, le tappezzerie verd'azzurre e le garze électricques a fasciar il lampadario, nel boudoir della bas-bleu d'alto conto e conio, assunta alla catedra pontificale, nel quarto d'era della sua maggior generosità, nel minuto psicologico della sua piú schiumante larghezza. Vero è, che, seguendo codesti rapporti, io mi allontano sempre piú dal Lorenzaccio, per accostarmi con grande velocità al famoso Gamiani composto a quattro mani e due sessi — le altre due erano della Sand — in una bufera scatologica di erotismo in faccia a cui come santissimi appajonmi perché superbamente pornografici i Ragionamenti di Messer Pietro Aretino, come superba la filosofia nihilista del Sade, e moralista l'Anti Justine del primo dei naturalisti francesi Restif de la Bretonne. Per ciò torniamo nei salotti dove l'eloquio è purgato, ma il pensiero peccatore. — Ricordate con me Sant'Agostino: «Et nimis peccavi cogitatione»: se lo confessa lui, che volete di piú?

Angoscia di aerei disinganni? Per tutto questo, che è cosí poco, essere già stanchi? Il bel poeta ironico, che, se non ha l'insolenza geniale, e deviata, perfettamente futurista di Aldo Palazzeschi, e non possiede la miniera inesauribile delle imagini suggestive e novissime di Corrado Govoni, può pretendere alla misura, alla facilità, all'ordine ed alla schiettezza, si trova già finito coi Colloqui?

Pochi giochi di sillaba e di rima,
questo rimane dell'età fugace?
È tutta qui la giovinezza prima?
Meglio tacere e dileguare in pace?

Per cosí poco, cosí presto, per l'atroce burla di smentirci colla critica alta e bassa?

Tara fondamentale e borghese, tara nevrastenica, dove un culmine del governo e dell'imperio durò per sette secoli coll'aristocrazia feudale, non cent'anni quietamente dispotizzò la borghesia. Aver fretta, correre col delirio dell'aeroplano e dell'automobile, riacquistar tempo sull'epoca: si termina col tornar indietro e a farsi sopravanzare dal sedentario; cosí l'arte, cosí la politica neo-romantica, cosí noi tutti.

Per ciò, se continuo per Guido Gozzano la similitudine col de Musset, ecco, che questi mi si fa prototipo del genere. Indice una frase che Madame Barine ne racconta:

«Si abbigliava il mimmo Alfredo in gala: dopo la bella veste nuova, egli sapeva che dovevano calzargli le scarpettine nuovissime. Tremando d'impazienza, si pose a gridare: «Dé-pé-chez-vous-donc! Mes souliers neufs vont être vieux!». Affrettatevi tutti! La fine del mondo è imminente: non piú fede, non piú speranza, non piú carità; abbiamo li amori colle serve e colle cocottes; le prime ci regalano, le seconde si pagano!

Ed io, che mi ero messo a sorridere a questo piccolo Don Giovanni grazioso, torinese, su cui li abiti si attillano e la grazia d'arte si appostilla con un gioiello, se portato dalli altri, di pessimo gusto!? Io, che aveva gustata la sua lenta e trillante psicologia in versi, che rispondevano delle sue emozioni secrete ed intime; aveva odorato a lungo il suo profumo di verginità sensitiva ed acuta? Io, che mi era un poco inebriato alla sua profonda, ma ingenua lussuria! Tutta una sensualità insisteva nell'arte sua casta e calida; egli aveva avidamente chinate le labra a bevere, a suggere l'amore amaro e dolce, vi si sentiva inebriato per poco, fortificato un istante, quindi depresso, disgustato.

Per ciò mi ero fatto indulgente verso il Cherubino poeta, che si nascondeva nei falpalà delle gonne dell'amica di nonna Speranza per riposarvi. Indulgente, s'egli avrebbe potuto dormicchiare inerte tra i fantasmi del passato o fuggire in traccia di chimere deliziose ed ingannatrici, perché sperava si avrebbe dovuto sempre ritrovare, con in cuore una nuova delicatezza, con nei versi una gentile nuova audacia, sulla bocca un'altra parola inedita e sua. E l'avrei seguito volentieri per le allee dei suoi nuovissimi martelliani, pei portichetti binati dei suoi endecasillabi in quartina; e l'avrei visto ed udito tanto volentieri gestire, parlare; uomo, seriamente, additare ad una méta, dirigersi ad una conquista! Ed ho amato l'embrione di un letterato e di un poeta, che sperava non potesse mai divenire né una cariatide d'academia, né un'importanza da salotto; che non si sarebbe esposto al pubblico mai come una colonna di virtú civica, di ragione economica, di benemerenze sociali, di moralità costituzionali; l'ho proteso nell'imaginazione e nel desiderio, ristauratore di una nuova coscienza poetica, smascheratore di artifici e di baute carnevalesche, debellatore sereno di menzogne e di ipocrisie: e mi sono atrocemente ingannato?...

Rifondere Musset e Byron, bissessuare una poesia mostruosa siderale e terribile? Perché aneli al culto cainita ed al dandysmo e ce ne imponga il rito? Ho torto: come Guido Gozzano, che si applica, con la melancolia une legère couche de fard sombre sur les joues. Ahimè, il lenocinio cosmetico lo perde; io sto ad ammirare con ira, affetto ed insieme curiosità li sforzi di un artista inconsciamente perverso contro di sé, che, per scrupolo di coscienza, sta deturpandosi le sue migliori virtú, col ripeterne li accenti.

[In «La Ragione», 14 luglio 1911.]





43 Colloqui, Fratelli Treves, 1911.



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