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Allora, riuscito dolorosamente dalla tempesta, per fortuna sua, ferito ma non sconciato, mentre altri coetanei, troppo ammalati del morbo del secolo, si erano lasciati sommergere dai flutti, o vi si erano abbandonati, mal vivi, alla deriva; Carlo Dossi riguarda a torno; ripensa e commemora il suo menegmo Alberto Pisani scomparso; numera ed appostilla quanto si trova vicino, volti d'uomini, aspetti d'animali, presenze di cose, avvicendarsi di gesti e di fenomeni, la cronaca morale del paesaggio cotidiano, la pratica utilitaria condecorata dal titolo di virtú cui la società ne richiede per il comodo della ipocrisia, pel vantaggio dei privilegi, per la facilità di sopportarci a vicenda, in bilancia, sull'odio e la paura reciproca, con urbanità, verso il nostro prossimo.
Sí, egli è salvo; ma tutte le sue illusioni erano naufragate, asfissiandosi nell'acque salse e putride, miste di lagrime, di sangue, nel pantano termale e solfureo della comunione umana, chiamata società. Alla prima tappa, lasciata a pena la mano preveggente e consolatrice della madre e la protezione della malinconia, che lo fa schivo e selvaggio, s'imbatte nell'Amore, e in un altro amore che non fu mai quello per cui Alberto si era sacrificato. Egli lo aveva già chiesto come una necessità di estetica: «Non vi ha poeta senza amore»; e, se non aveva composto versi, aveva pianto delle elegie in prosa. L'amore dozzinale l'avevano cantato tutti, dai petrarchisti ai manzoniani; e tutti avevano dimenticato di dipingerlo doppio, Eros ed Anteros, a mo' de' Greci, ed a loro non erano giunte, per la strada lunghissima del tempo, le parole sane e naturali di Dafni e Cloe, perché intiero potessero rievocarlo. Angiolo di crudeltà, le ali rosse, e non bendato ma reggente, crudele, esasperato, le freccie incoccate alla corda dell'arco, divinità aggressiva e deliberata, di lui, Carlo Dossi, rinnova il vero ritratto, senza pudori. Chi per eccesso di idealismo, si applicò a descrivere non l'Amore ma questo attuale amore, come un padre riformatore di costumi per la sincerità, può come Rops formar col disegno le lussurie, non il piacere, per flagellare il Bastardo nato dal Satiro e dalla Ipocrisia, nuda pandemia, le natiche ricoperte a scherno da una maschera di velluto nero.
Ed eccone i fiori di bragia e di cenere; i fiori che sono in mostra sopra di un cestello di vimini intrecciati e politi e coprono un groviglio verminoso ed avvelenato di ceraste e di aspidi africani: ecco, le bende intessute di seta e d'oro, che fasciano le piaghe purulente; i veli candidi, che vestono una sposa non piú intatta. Le venerabili, sacrosante e formidabili apparenze non lo arrestano col loro parere, che sembra, a tutti una realtà; egli immette le mani deliberate nella millantata lussuosità dell'apparato di grazia, di ricchezza, di verginità. Il dolore gli ha fatto svellere le zone proteggenti e menzognere, considerare l'abito e l'apparecchio come la piú grande menzogna; anzi, le foglie provvidenziali di fico, posticcie sopra le cosí dette vergogne delle statue, reputò ingombrante ruffianesimo, perché alla santità della natura si innestano come un riparo, che meglio richiama a supporre la perversità della cerebrazione, donde il Vizio.
La delicatezza squisitissima, feminea, quasi permalosa della estetica di Carlo Dossi non era disposta a resistere in armonia colla grossolana bestialità di quelle soddisfazioni; non ne sopporta l'atmosfera lutolenta e soffocante; come Baudelaire, al quale per un lato assomiglia, l'autore di Desinenza in A ha bisogno di convalidarsi nella amara ironia della necessità. L'altro aveva pur composto Les Fleurs du Mal, che la sciocchezza comune del secondo impero pretese pornografia, mentre lasciò sfoggiare, per Compiègne, le caccie imperiali alle nude dame di Francia, alla Montijo facili adulterii ed il figurino delle mode accreditate presso una Cora Pearl e Nana. Identica fortuna: il ribrezzo ed il disgusto, in Italia ed in Francia, presero il nome di turpitudine letteraria; cosí, per Carducci, perché tornò a chiamare «barba la barba e non l'onor del mento»; cosí per chi disse: «J'appelle chat un chat!»; cosí, nella pudibonda e presbiterana Inghilterra, contro Swinburne, che veniva dannato come l'introduttore, nella moralissima isola di Regina Vittoria, della scuola spumante della carnalità.
Carlo Dossi, innamorato delle pure e naturali grazie d'amore, trovò la femina; — innamorato della gloria, cui sente aver diritto, s'imbatte nella indifferenza, quando non sia l'astio; — innamorato della vita sana e gagliarda, ha con sé la malattia, coi tormenti della carne, coi dubi angosciosi della mente, colla rivolta dello spirito superiore e vittorioso della fralezza del corpo: — innamorato della bellezza d'arte incontra i truffatori delle arti ben rimunerati e vantati dalla terza Italia ufficiale, mentre li artisti geniali stentano il frusto di pane giornaliero e sono derisi; — innamorato di tutto l'ideale bellissimo e dominatore, lo vede, cosí, in mente; lo sente schiavo, nel mondo. — È egli veramente ammalato e debole? «egli, la cui44 vita intellettuale è uno sforzo, e la materiale uno stento!». Non può? Che gli dice lo specchio, l'arte sua? Riproponiti in una serie di imagini; popola il mondo di te stesso; giudica da queste tue imagini: Hegel gli aveva passato la definizione: «L'humorismo è attitudine speciale dell'intelletto e del carattere, per cui l'artista pone se stesso al posto delle cose». Sostituire il fatto reale, col fatto vero, sino a quando? ridere riconfortarsi nella propria onestà; dileggiare altrui, manifestarsi lieto, non concedere al mondo la trista gioja d'esporgli le proprie sofferenze, che appunto il mondo gl'impone? Certo, quel modo di vivere, secondo le leggi artefatte sulla natura, secondo l'abnorme golosità dei sensi e dei sessi, che trovan pretesto di farsi chiamare piaceri onesti e civili, secondo le prove quotidiane dell'egoismo, che passano per utili e progressivi aumenti sociali, non lo compiace, se ne scansa, lo rifiuta, si mette in grado di non subirne i contatti; e, — quando lo attenta, — lo rimuta, lo foggia come vuole. Desidera che, intorno a lui, lo scenario sia completo, lo incornici bene; doni al suo volto ed al porgere della sua persona: non altrimenti l'anima estremo-orientale dei Nipponici, prima che la civiltà europea l'avesse violentata colle necessità commerciali, politiche ed imperialiste dello «struggle for life», si comportava nell'arte di fabricarsi i propri paesaggi, intonandoli al loro stato morale.
Questo è difendersi; questo è opporre violenza a violenza, volontà testarda a volontà incosciente; quali armi, il ridicolo, la satira, la falsa commiserazione, l'elogio a doppio taglio, come una bipenne, l'incenso affatturato da suffumigi d'ospedale, il ghigno, che sembra sorriso, la risata del disprezzo irrefrenato e convulsa, come una bestemia!
L'arte personalissima di Carlo Dossi ha assunto per carattere specifico, l'humour: l'istrumentista, che intonò, in sordina, l'orchestra delli archi e dei legni, che amò i passaggi bemolizzati, pastosi e caldi di velluto e di ciniglia, la patetica lenta e sognatrice, rialza la gamma alli acuti, assume il crescendo rossiniano, il fragore wagneriano. Dalla psicologia garbata, a tenerezze degradanti e tenue a sfumature iridate, a compatimenti misericordiosi, di Goccie d'inchiostro — che sono meno nere di quanto non appajano a prima vista — alli schizzi, tra la caricatura ed il grottesco, — cosí li usò il Callot, il Goya, il Sattler, dai quali la vita si sforma in una gajezza macabra — dai segni impressionisti di matita — Odilon Redon li prescelse per le pagine martoriate delle sue acqueforti — dal bozzetto chiazzato di ombre e luci, tra il giallo ed il violaceo — cosí procede il Conconi; — erano riuscite le figure di Madama Ciriminaghi e della sua amica, le macchiette avvisatrici della signora Isar e del suo degno figliuolo, il professore Proverbi, quella povera vittima del maestro Ghioldi, i musini bianchi e rosei, come mele appiole de' condiscepoli di L'Altrieri. Ma altra torna ad essere qui l'appostazione; qui, doveva rovesciarsi, tumido e violento, nell'esercizio incondizionato delle sue facoltà intellettuali, il suo modo; fortuna a pochissimi accordata. L'iniziale romanticismo si travolge, in una specie di rammarico, di rancore, contro la vita che deve sofrire e questa accusa di non essere stata per lui perfettissima; se ne ribella: scatta l'humour. — Poco dopo, può dire di se stesso: «Vi è un Dossi buono ed un Dossi cattivo; donde due opere: il romanzo della bontà, il romanzo della malvagità». Poteva dire invece: Vi è un Dossi che vede le cose buone ed un Dossi che avverte e addolora per quelle cattive. Verso le prime, accorre, si compiace, concorda, continua l'armonia; colle seconde si irrita, discorda, interrompe i rapporti. Con quelle, la placida comunione si distende in bellezza, sorride, determina il piacere; per queste spasima, combatte, deforma e l'humorismo ghigna stridulo e beffardo, altro sforzo e migliore, per i caratteri idealisti, con cui tentano di ristabilire l'equilibrio. — Corre, in fatti, ai ripari, si prova a colmare le soluzioni di continuità apertesi nell'ordine e nel ritmo. Le lagrime ne approfondirebbero le ferite sanguinose; il sorriso accoglie una benda leggiera e profumata di balsami sopra le labra aperte e gementi di quella carne intagliata, che piange. Ed, intanto, l'operatore vedesi in uno specchio colle sue smorfie comicamente dolorose; sogghigna e singhiozza, perché l'interruzione del riposo, della compostezza, esteticamente suggestiva. Egli che tenta guarire ed evadere dalla malattia non può: l'humorismo, in eccesso, dà dei risultati identici all'eccesso di amare: odia. Carlo Dossi, che odia il deforme, lo pratica per ragion d'arte e per suggerirvi l'opposto: donde i suoi Saggi di critica nuova, — I Mattoidi al primo concorso pel monumento in Roma a Re Vittorio Emanuele.
L'accomanda al patrocinio dell'amico illustre Cesare Lombroso; gli domanda perché, «nessuno dei critici45 nostri si occupò del contingente enorme, che il cretinismo e la pazzia hanno dato al primo concorso pel monumento al defunto Sovrano». Se ne imbizzarrisce. «Per quanto non appresi mai scienze mediche, nemmeno insegnai in alcuna Università, né, a disposizione de' miei sperimenti psichici, tengo alcun manicomio, salvo quello de' libri; — nel silenzio de' dotti è permesso, presumo, ad un ignorante di avventurar la sua voce, il suo acqua alle corde». Questo strazio della plastica, del disegno, della architettura, questa ingiuria al buon senso, questi «poveri bozzetti46 fuggiti od avviati al manicomio, dinanzi ai quali, chi prende la vita sul tragico, passa facendo atti di sdegno a chi la prende, come si deve, a giuoco»; questo oltraggio alle buone lettere, che accompagna la prova della demenza artistica colla grafomania delle leggende che la vogliono spiegare, non rappresentano il fior fiore dell'ingegno europeo, balzato fuori alla grida di un concorso per onorare colui che chiamano il Padre della Patria? Italia dà questa ricolta d'arte; essa, la madre autentica e pura delle Arti e delle Grazie? Questa è la espressione piú genuina e maggiore della sua potenza creatrice, nel terzo suo risorgimento; con questi aborti, con queste pseudologie, con questi deliri in gesso, con questi incubi segnati a corboncino, a matita, all'acquarello, con tutti i mezzi grafici a disposizione delle due mani, o zampe, dell'uomo? Quale indice di coltura e di buon gusto! «Senonché, l'imperizia della mano, quando è accoppiata alle incongruenze della mente, o ad altri disordini cerebrali, concorre ad accentuare le caratteristiche della pazzia». Carlo Dossi le raccoglie, le enumera, le distende in rassegna, ne riproduce le parole, i disegni, li atteggiamenti, le ripropone chiare alla scienza: «Voi, insigne Lombroso47, qual tema piú eternamente attuale della follia?». Prorompe in uno scoppio di risa echeggianti: erasmiane.
Né si accheta; la sua indagine continua serrata; avviluppa in una rete di riprove capziose, tira il cappio al nodo scorsojo della domanda suggestiva. Ne risulta Ona famiglia de Cilapponi; dove, la catastrofe di una stirpe di nobili lombardi è ridicola, tra l'ignoranza e la cattiveria; e vi regnano: la Marchesa Matriggiani-Andegari, di ottant'anni, cialla, superba e tegnonna, marchesa Travasa in diminuzione, collo sfarzo fesso e slabrato della decadenza; suoi figliuoli, el Cavalier Telesfor, maggior general, ciall, resios e doppi — Don Eleuteri, deputaa, ciall, baloss e che voeur parí foin — el Marches Calocer, ciall, bon e sempi; — e la nidiata implume e piumata dei nipoti vanitosi, bugiardi, sciocchini, falsi e poltroni.
Si svolgono I Bigottoni; dove la satira non è per la religione, ma se la dividono coloro, che, suoi ministri e pinzocchere e praticanti e nonzoletti ortodossi esemplari, vanno giornalmente denigrando, colle loro azioni, ogni e qualunque fede, avvilendone i nomi sacri sulle labra, nomi di scongiuro formidabile, coi quali il sentimento e la passionalità s'ajutano a vivere alla meno peggio. Perché, se il Dossi ammira ed invidia, alcune volte, il sincero fervore ascetico e mistico di razza — vi prego di non confondere misticismo, che è una sintesi razionalista, con ascetismo, che è una iperestesia di sensualità religiosa; — e può entusiasmare per i fervori e la poesia del delirio di Santa Teresa e di Santa Caterina; odia e dirige l'accusa contro i bigotti — Tartufe, le laïc d'Eglise — che ripullulano assolutisti nelle loro convinzioni piú del prete, che cedono e si ripiegano sopra tutti i punti, nella vita, nelle opere, nei bisogni fuorché sul dogma di cui si sostituiscono giannizzeri e pretoriani. Egli scoperse che Tartufe non è l'ipocrita, ma è lui, categoria: scorse, sotto la sua maschera, preannunciando, un Longinotti legislatore, un Meda rappresentante di seminarii, un Cameroni deputato di varazzini salesiani: questi, i Tartufe sinceri; questi, i bigotti reali e maggiori nella comedia sociale; i Tartufe delle banche agricole, delle deputazioni provinciali bergamasche, dei cinematografi istruttivi e comodamente oscuri al palpeggiare; i politici amanti del Giolitti. Anche il Tartufe gentiluomo e gentildonna; Tartufe di cui l'innata fierezza, o l'atavica spilorceria, si trattengono compunte in sulla buja prescienza di un peccato, in sul timore del castigo; sí che cattolici e nobili, o grassi borghesi nobilitati, il che fa lo stesso, stanno in una umiltà che non impedisce l'esercizio de' loro privilegi, per quanto recitino l'Officio pro defunctis e l'altro alla Vergine, rimanendo calmi, tirchi, in albagia, ultimi venuti ralliés ai Savoja nel trapasso della monarchia verso il socialismo, — ultima tirannia — per poter ricondurre a Roma li Scioani del Brembo ad instaurarvi, compiacente Enrico Ferri, il Papa-Re, s'egli darà un bajocco di piú all'ora alli operai evoluti ed organizzati da' parroci democristi e dalle Camere del Lavoro, dimentiche d'ogni patriottica italianità.
Quindi, troveremo ne' suoi inediti Il libro delle bizzarrie, dove sarà condensato il triplo estratto e la quinta essenza dell'arguzia e del pensiero dossiano, riposta nel barattolo color di cielo sudicio, dall'epigrafe «Filosofia». Preziosissima conserva di esperienza, su cui il paradosso regna sovrano: il male ed il bene vi si innestano a vicenda; si fecondano, aprono la cataratta al vaso di Pandora; partoriscono le cose, li uomini e li avvenimenti; si determinano, dalle categorie, i gradini e nulla appare dannoso «né dannosa la malattia48 né la Farmacia e nemmeno la malattia, che fa pregiata la sanità». Leggendo, voi sapete, che, come Erasmo lodò la Follia, egli inneggerà al Colera; che, come von Grabbe, goticamente, rimise in discussione il Demonio con Dio, egli li riporrà di fronte; che, come Hoffmann fu il demiurgo di pupattole mecaniche ed originalissime, e Gustavo Kahn rivide il Puppen-Fée, a delizia dei bambini grandi; egli, memore di Condorcet, per il ridicolo delli uomini politici, scriverà una petizione al Parlamento Nazionale, di un mecanico, colla quale propone a re costituzionale un suo fantoccio contrafatto, a viti d'orologio ed a vita d'automa, che, ricaricato nelle solenne adunanze, faccia, con maggior compitezza, l'ufficio di quest'altro di carne e vivente.
La piacevolezza stampata lo fece richiamare da un procurator generale, che videsi comparir davanti un alto funzionario decoratissimo della Consulta; donde la meraviglia. Che, se Alberto Pisani ha dovuto servire alla Nazione, passando sotto i lavorini monarchici della uniforme diplomatica, ha pur sempre permesso a Carlo Dossi il piacere della ribellione, quando risponde alla costituzionalità in questo modo49: «Il re costituzionale può essere paragonato ad una meretrice, che è, per cosí dire, proprietà di chi lo paga, ossia del ministro al potere. — Cambia il ministro, ed egli cambia di gusti, di idee, di desideri, fossero pure contrari al programma precedente. Liberale-clericale-socialista, volta a volta, anarchico, se occorra, il re costituzionale è sempre passivo, vigliacco sempre». Ma se questi sceglie, dimostra la sua mentalità: ed allora: «Ogni50 sovrano scelse sempre presso di sé consiglieri condegni del suo cuore e del suo ingegno. Trajano ebbe Plinio e Nerone Sejano: Napoleone I, una plejade di illustri: Vittorio Emanuele II, Cavour: Vittorio Emanuele III, Giolitti ed altri ejusdem farinae»; sí che data la terribile necessità di uno Stato, di un Governo, dentro cui la libertà di ciascuno è dimezzata, egli sceglie il meglio amministrato. «Io griderò51 sempre con Napoleone: viva l'Impero!, col Senato di Roma: viva la Repubblica!».
Sfoggia, cosí, una mirabile galleria di contemporanei, verso cui intende la nostra malignità divertita, la malignità sana dell'uomo moralmente costituito, perché rispetta i termini. Vi ammireremo: La Desinenza in A, che illustra il feminismo eterno, Ritratti umani, che riproducono volti di malati, di medici, di seccatori, d'impertinenti e di canaglie... oneste. «Il colore imperante di questi ritratti è la privazione d'ogni colore, cioè il nero — un gran malumore, contro gli individui di quella razza, alla quale, pur io ho il disonore di appartenere. Del che mi si fa grave carico. I signori uomini e, specialmente, le signore donne, si sarebbero oggi, a quanto contano i turiferari del loro amor proprio, cosí insaponati, da non serbare piú traccia del preistorico cannibalismo e vivrebbero in una idilliaca comunanza pecorelle di candido zucchero, con roseo nastro, sui prati di felpa verde... Sarà benissimo, nol contesto; ma, intanto, la storia, anche contemporanea dell'umanità, è tutto un cibreo di delitti impastato col sangue e tale rimane, benché l'assassinio sia chiamato eufonicamente valor militare, conquista il furto, colpo di stato il tradimento, esperienza parlamentare la truffa politica52». — Uditelo a ghignare: gorgogli e scoppi repressi di risa ben modulate sopra le dieresi otative della sobbillazione estetica: «Oh, queste, no, non sono delle canaglie autenticate dal codice penale — il quale, del resto, ha rotto molte maglie alla sua rete, donde riescono i piú malvagi-ben-vestiti —: oh, questi sono solamente que' malvagi-ben-vestiti, di cui sopra, nella libera circolazione della società, nel libero flusso e riflusso delle passioni». Tutti i giorni ne ha incontrato una dozzina; mentre discorrevano, ne schizzò il profilo intenzionale e saporito, caricatura ingrossata a punta secca di Holbein, acquarello disinvolto e libero di Hogarth.
Inoltre, la sua erudizione, che aveva riburattato il grano, il loglio e la segale cornuta del torbido e pregno secentismo, aveva scoverto, ne' piú secreti ripostigli, ne' piú salaci cantucci, l'armamentario delle fattuccherie, delle superstizioni, delli scongiuri, de' recipe farmaceutici, di tutta la congerie ridicola, spaventosa, revulsiva delle pratiche e delle opinioni per cui un Mora illustrò di se stesso La Colonna infame milanese in sulla Piazza della Vetra. Suggerimento manzoniano, diretta osservazione a Carlo Dossi, avevano persuaso un'indagine curiosa ed insistente sulla psiche delle sue macchiette plebee e meneghine, che stanno a fondo mobile delli altri suoi eroi di mista razza. In quelle, scorse corrispondenze ataviche, ritorni di gesti, di credenze, involuzioni di costume, che gli indicavano l'origine spagnolesca inveterata ed incrostata sopra il carattere del popolino; focolari mal spenti di sporadici ed interruttivi contagi presti a fecondare leggende di fantasime, di rumori, a condecorar case, appartamenti, camere, con una fiaba d'intricate avventure tra l'amore, la crudeltà, e di morti che ritornano e si fanno sentire. Quanti elementi per il grottesco, quanti motivi alle risa ed alla commiserazione in tali sciocchezze, cui la plebe si fabrica e dalle quali è suggestionata! Carlo Dossi le saggia colla scienza mirabile della ignoranza fastosa e torbida del seicento: a lui appariva el sur Dianzen benedett del Porta; beffando, in un mistero bigio, appostilla significazioni strane alle cose: ecco, un letto monumentale, per calcare il quale la paura bisogna che gli guardi sotto: ecco, il canto lento e rituale della bàlia che sembra profetizzare in una oscurità, tra il magico ed il contadinesco: ecco, quell'incoscienza astrusa ed astratta per cui domandano oggetti enormi e foggiano maravigliose filosofie i suoi bambini; ne' capricci de' quali, nelli strilli e nel pretendere de' mimmi s'agita un quid di diavolesco, di involontariamente perverso, di subcosciente, che suggerisce una serie di acute riflessioni, per cui si risale all'origine animale dell'uomo, camuffata nella predestinazione fattucchiera. E le prime pagine dell'Altrieri si svolgono tra la leggenda, le paure reali ed imaginarie; e La Casetta di Gigio è costruita dalla pura fantasia che connette un grande sistema filosofico vissuto; e de' periodi dettagliano le ambiguità senza grazia, le malodorose ovatte sudicie, i gesti lubrici, li attorcimenti tentaculari di molti uffici comuni e schivati, di alcune funzioni di spazzini sociali e comunali; il necroforo, la mammana, la poveretta de la giesa, el giovin de macellar, el perrucchée, il cenciajuolo, la minuta straccioneria urbana. — Sí; egli ama il secentismo, le sue parole biscornute e ravvoltolate, i suoi pensieri doppi e confusi, dentro cui si pescano le doppie e antietetiche verità della vita, ama quella sua scienza polverosa e strana, fatta di metafisica e di speculazione, la sua fisica che è ancora un'alchimia, il suo viaggiare che è sempre una scoperta. Ama lo stipite dell'Humorismo nostro secentesco, Giordano «per quelle sue pagine cosí genialmente mal scritte, nelle quali chiama la divinità: anima dell'anima». Sente codesto Bruno ben diverso dalla comune de' suoi contemporanei anticlericali; l'avverte come un autore ineffabilmente barocco, irto di angoli ed involuto di cornici, gonfio di panneggi, profondo ed ingannatore: Bruno, che ha ridotto ad idee ed a pensieri le sue emozioni, le sue impressionabilità squisite, la sua vertigine di novità e di indagini eccezionali; Bruno, che è stipite di un complesso e nascente romanticismo ghibellino, il meno costituito per servire di spunto moderno alla democrazia ed all'ateismo militante.
[Da L'Ora topica di Carlo Dossi. Saggio di critica integrale, Nicola & C., Varese 1911.]