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Salute, o Satana,
O Ribellione,
O Forza vindice
Della Ragione!
L'Iddio solare sorgeva di fronte alli Inni Sacri, armato di fiaccola. Era il pino in fiamma, serbato per lui e strappato dal rogo, che aveva, sulle spiagge, illuminato il Tirreno, mentre abbruciava Shelley, cantore di Prometeo: Prometeo di Cadmo, svincolatosi, infrante le catene che lo inferravano sul Caucaso:
Odio di Dei, Prometeo,
arridi ai figli tuoi:
solcati ancor dal fulmine
pur l'avvenir siam noi.
Il poeta doveva rammentare alla umanità contemporanea, priva della menzognera consolazione religiosa, che dentro di noi persiste e freme la divinità: dell'intimo suo la suscitava, per noi, patente e fragrante, oltre i penetrali oscuri, perché splendesse al raggio del sole e fosse amata e adorata nell'atmosfera commossa del secolo.
Lucifero; loico dall'Alighieri in poi; tenace e malinconico positivista, ambizioso di una sua riabilitazione, da Milton a Baudelaire; ribelle sempre. Istaurato dalla volontà di Carducci, sopra la filosofia di Büchner, di Moleschott, di Roberto Ardigò, proponeva ai nostri diritti, la scienza integrale, la patria integrata, Roma.
Qui, non piú le smorfie grottesche e paurose del Mefistofele gotico e nordico; non le stregherie di Marlowe, o di Goethe, le piacevolezze pesanti e ridicole di von Rabbe, le visioni puerili delli incubi medioevali: non le maschere mostruose, scolpite sulle catedrali, le fauci aperte a vomitar ingiurie ed acqua, protese dai pinacoli in sulla piazza e la gente che passa: un'altra volta, si rappresentava la bellezza limpida ed adamantina dell'Inno ad Arimane del Leopardi. Torna a rifulgere la sua concezione filosofica, ipostasi mazdeista di pessimismo, per cui il Male, considerato come ragion di vita, si esaltava Arimane, non in opposizione, ma in potenza del Bene, Principio della Ragione, che eccita sconvolge e perfeziona la Natura per opera e volontà dell'uomo. Il semitico Satana, il boreale Folletto non è piú; sintesi del movimento generale, della potenza intellettiva e creativa umana, ringiovaní la considerazione pessimista «laida possanza che ascoso regni e governi l'affanno comune» in ispirito di luce: a Leopardi lasciò la larva della cattiveria cosciente che lo trasfigurava ancora, per quanto «intelligenza, eterno dispensatore de' mali e signor del movimento»; a Carducci si espose «principio immenso, materia e spirito, ragione e senso».
Il Dimonio delle leggende vorticose e stridule, delle tregende, del Sabba e delle messe nere si era purificato nei lavacri di sangue del '93, riproponeva, all'estetica ed alla poesia, la sua faccia stellare e d'angiolo, ripristinato nelli uffici di precursore, di Lucifero splendido, nudo deliberato, guerriero, messo delle Iddii contro il sopravenuto Jehova, che falsamente li aveva fatto proclamare decaduti e morti, piú vivi, piú dominatori di prima.
Classico, alato ai piedi, come Mercurio, saettatore, come Apollo, ditirambico come Dionysos, non si sperdeva, come nelle Litanies de Satan, a dettagliare le confuse morbosità della psicologia decadente; a lui non erano dedicate le ulceri della carne malata, grumi del sangue, sprizzato dalle ferite della passione, l'invocazione per i peccati e per i desideri, fioriti, multipli e multicolori, come da un magico rosaio di stranezze. Baudelaire, cattolico e credente nell'al di là, temeva il Demonio ed il Dio; non voleva sostituire l'uno all'altro; ambo reggevano la sua morale, in fondo epicurea, perché la certezza del castigo, dopo il peccato, aumentava in lui la amara voluttà di peccare di piú. Carducci plasmava una creatura di bellezza e di forza; panteista, era un altro Dio che veniva ad occupare il seggio lasciato vuoto dalla serie decaduta di tutti li Dei: Satana realizzazione della energia e della materia, Satana, simbolo del ragionamento, il positivista, il naturalista sereno e severo, senza ironia e sorridente, Satana-Pan... «Se egli — il genio — non assimila tutte le circostanze, tutti i metodi, tutte le forme animate ed inanimate, e non le fonde insieme, nel tempo, enucleando, dalle personalità vaghe ed inaccessibili, li aspetti attuali e viventi; s'egli non si terrà saldo alle ancora duttili della vita, non fa del momento presente il punto di trapasso a ciò che sarà, affidandovisi», come voleva Walt Whitman; né questo Lucifero, né il suo poeta avrebbero potuto resistere; ma sarebbero stati travolti nel gorgo della generazione, con un grido, e risepolti in fondo alle gemonie, dove fermentano i germi oscuri, ma non designati personalmente, del divenire. E Satana fu e rimase: italiano. Il predominio e la costanza di questa idea laica e ghibellina costituisce, in massima parte, la genialità del poeta. È per lui una ipertrofia cronica dell'attenzione e della passione, sintomo comune alla pazzia ed al genio, riconosciuti di parentela. Poi che insistere moralmente è l'opera maggiore ed il piú alto grado della insistenza mentale e rappresentata dalla idea tipo, dalla concezione universale di un principio, che projettato fuori dalla volontà dell'operatore, continua a vivere una vita propria distinta, continua la sua funzione rivelatrice, contro i modi trapassati di esistere, contro le viete superstizioni.
Una falange di giovani pensatori trovò nella divina creatura balzata colle ali fulve dell'aquila, nemica alla Rivelazione, la propria attività. Auspicarono a Roma redenta dalla tiara; Roma liberata e rinsaldata al suo perché; Roma per cui Garibaldi cadeva ad Aspromonte ferito da palla savoina; ed i molti giovanetti sui vigneti di Mentana e di Monterotondo, nelle brume argentine e pallide di novembre; Roma, rifiutata conquistata, in fine, in un badalucco allegro di artiglieria, ma non rinnovata. L'equivoco perdura; le dualità ora si accarezzano, ora si mordono; sempre rimangono, in faccia alla nazione, ostili, poteri opposti, confusione voluta di due antietetiche autorità. Cosí l'Italia non ha ancora la coscienza nazionale, perché manca di un'unica legge morale, politica, religiosa, progrediente.
Intanto egli instituiva, indice di sua virilità, uno stato d'animo; persuadere nell'estetica, l'etica. Riconosceva un Demiurgo come lo venerarono i pagani, artista senza scrupoli, puramente occupato nella attuazioni delle forze e delle apparenze colle quali si oggettivavano; sí che il fare ed il distruggere divengono motivi della unicità e delle trasformazioni; Demiurgo, Caso o Legge, per loro stessi efficenti, nella periodicità delle cause, nella immanente ragione continuativa. In tutto, il lievito divino perdurava; anche in Cristo,
che, se volle morire e rinascere
similmente in noi,
fiero del sacrificio consumato,
autentica li Eroi costanti ed umili.
L'Iddio del Mondo riconosciuto da Spinoza, inebriato di divinità, indifferentemente, si sbarazza, con metodo, della sua enorme potenza, della sua pletora: si tramuta, tormentandosi, ridendo o soffrendo, pel contrasto accumulato in se stesso, e, col projettarsi, Pan, nel grandissimo cosmos, che è sempre piú piccolo di lui. Perversità, bontà esterna, modi di vivere, di sentire? Morale, illusione? Tutto si riduce ad essere sincerità; aperto e piano e responsabile operare. Le filosofie pagane ritornano, corroborate dalla scienza, a determinare delle coscienze nuove: contro una teoria cristiana, che divaga sulle stravaganze del verbo, conveniva armare la scienza, che costituisce il tentativo ed il risultato del sapere e della ragione. Donde, con Satana, il poeta interpretava l'universo esteticamente, in una verità piú alta e piú sicura, oltre e contro il Jehova, oltre la menzogna, oltre le debolezze scusate e sollecitate; oltre il ripiego comodo dell'ignoranza, ch'egli condanna e maledice, mezzo infame di governare.
Da allora, la sua dottrina fu completa; da allora cercò di manifestarsi, in una poetica, che, senza ostare alla tradizione letteraria, la innerbasse con un mezzo piú solido e piú denso. — Da allora, il cristianesimo gli apparve, sino dalle origini, fatalmente nemico dell'arte; egli fugge la Chiesa gotica, ma passeggia sul Foro. Il Cristianesimo, che ha il disgusto della vita, tenta di dissimularlo per divenire una necessità sociale, addomesticato nei servigi religiosi e pagati dalli stati moderni; ma, in fondo, l'odio per la bellezza si tramuta in fede; il disprezzo per il benessere fisico e la fierezza morale, nella speranza di un'altra vita, nell'anatema contro le passioni e la voluttà, nel desiderare il nulla e la morte, come una liberazione da questo mondo improprio alla vita dell'anima. — No: all'uomo civile, all'uomo dotato di ricchezze mecaniche, di strumenti perfetti, di cognizioni esatte, non poteva bastare la melopea su due toni, che scande, per il barbaro, la preghiera e lo scongiuro; che serví al sacerdote, debole geronte, depositario di misteri, a spaventare il barbaro fulvo, armato d'azza e bracato, e l'Unno unto di sego e puzzolente di pelli ferine, mal conciate ed umide. L'uomo moderno deve rifiutare i contorcimenti, le evanescenze, i sogni confusi, le morbidità epilettiche, per un presupposto spiegato piú chiaramente e senza li apparati formidabili di una sacra stregoneria: l'anima greca era vissuta in piena bellezza; là, se il delitto era fatale, appariva necessario, come le differenze delli esseri in natura: l'anima romana vi aveva disegnato, a grandi tratti, una gerarchia che rispettava la natura, rispettata dai secoli, per una utilità: bellezze ed utilità erano il pensiero umano, il perché del vivere morale. L'etica per sé, significa non insegnare a vivere, secondo date premesse, non la scienza per essere virtuosi, dottrina da fanatici, perché le virtú non s'impongono, ma nascono in noi, se nascono; l'etica era piú tosto lo studio delle varietà morali umane, delle abitudini e delle bizzarrie, le quali tutte, nessuna esclusa, cooperano alla successione dell'arte, della scienza, dei governi. Cosí, l'uomo saggio antico, l'uomo saggio moderno, osserva e giudica. Di tutto il sistema dell'apriorismo una dote sola si salvava sovrana: la sincerità. In suo nome Carducci diede battaglia.
[Da Giosuè Carducci, Nicola & C., Varese 1911.]