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Perché una Sfinge si rileva, a pena abbozzata, sopra una tela d'un simbolico e giovane pittore (anche il simbolismo giunge in qualche modo ad essere funzione di romanzo per li autori d'un naturalismo psicologico presto a morire); perché questa Sfinge erta, minacciosa d'un viso dubio e feminile, irritante e malvagio, sta impassibile a rimirare dall'alto d'una scheggiata vetta, la strage delli uomini da torno e li illusi che camminano ancora, sperando, tra il sangue a lei; perché il quadro accennato ingombra una parete dello studio di un comediografo, Giorgio Montani, e si accende al sole del meriggio o smunta nei vesperi, Giorgio Montani raffigura in lei la vita umana, la fuggevole sostanza feminile, anche l'amore, quindi la felicità. Come raggiungerla, come possederla se, jeraticamente severa, tormentosa, bizzarra, nessuno accoglie e tutti invita? Possedere significa essere sicuro della sincerità della persona che si concede; possedere è l'essere perfettamente nella ataraxia di una esistenza che non teme né sospetta mutamenti e bufere. La donna può essere sincera, e per di piú sincera nell'amore? Se l'amore non è sincerità, come lo si può concepire? Se tale sicurezza è la felicità e ci manca, come saremo felici? Nell'inganno forse: ed il risveglio? Questi i dubii erotici, la filosofia e le speculazioni meditative di Giorgio davanti alla Sfinge.
Egli ama una vedova, giovane, bella; ma non la comprende: Fulvia. Con lei passeggia le deliziose ore dell'abbandono e dell'oblio in carrozzella per Roma; ed i baci sulle mani dell'amata, ed i baci sulla bocca! Perché Giorgio la guarda spesso nelli occhi? Che vuol leggere nella pupilla? Le palpebre calano sull'occhi, velano un lampo, nascondono un pensiero, che può essere una rivelazione. Marmorea, la donna impone forse che la si spezzi per concedere il secreto della nobile fattura, e, spezzata,... del marmo.
Fulvia dice colla sua voce calda di donna passionale: «Io sarò, come lo sono, un tuo capriccio, un episodio nella tua vita d'amore. Io pure, forse, mi son data a te per provare che cosa fosse un amore fuori del matrimonio, per sapere che fosse un amante, che non si può, per le convenzioni, dichiarare apertamente in faccia al mondo. Non per questo ti amo meno. Godiamoci quest'ora di ebrezza». Giorgio risponde con un desiderio: «Io vorrei essere Faust e fermare il minuto fuggevole: ho paura della felicità di un istante; ho paura del poi dopo il bacio ed il riso».
Poi l'Autore si rammenta di alcune figure paurose che, come li stregoni di un tempo, amareggiano qualunque miele, ed intorbidano qualunque acqua di pura sorgente. Ed ecco un Dottor Buttironi. Prevenzione, antipatia, odio, gelosia, molte passioni ignobili si combattono nella mente e nel cuore di Giorgio: chi è Buttironi? Perché la famigliarità con lui? Perché la sua assiduità nella casa dell'amata? Un giorno solo egli era stato felice, quando aveva creduto completamente nella sincerità di Fulvia; e non aveva fermato l'ora!? Giorgio si esalta, la Sfinge lo tormenta, la consanguineità con un suicida lo persuade: egli si ucciderà col disgusto di non essersi ucciso prima.
Nell'ultimo incontro con Fulvia cosí si accomiata da lei: «Io ti amerò usque, non disse ma sottintese, ad mortem».
Filosofia: Poi che ognuno è infelice e durante la sua esistenza incontra rare oasi di quiete e di pace, in quell'oasi stesse, nella prima anzi per avventura trovata, male assicurandosi alla fede che sempre appare un inganno, sopprimersi. Un nihilismo.
Appunto: Dissero di questi giorni, e tra gli altri il Graf sulla «Nuova Antologia», che la formola simbolistica letteraria, riflettendo uno stato scettico e pessimista, tende alla negazione. Io rivolgo tale accusa a proposito di questo volume naturalistico, alla formola in generale del naturalismo. La critica (e d'essa esplicazione letteraria il naturalismo) tutto distruggendo, con un apriorismo pseudo scientifico di analisi, venne di necessità ad ammettere in modo incondizionato la negazione d'ogni cosa e di se stesso nel peggiore dei mondi possibili. La sintesi (e da qui la novissima forma del simbolismo) assurgendo dal singolo alla universalità, ci ridona invece la fede negli uomini e la sicura nozione del mondo astante.
Una pregiudiziale: Per fortuna ormai si sente il bisogno di un'opera d'arte che non ci dia un particolare erotico, ma piú tosto una trattazione complessa dell'amore nelle sue relazioni sociali. L'affetto per la creatura come un egoismo, fa perdere la nozione all'uomo del proprio valore nei rapporti col mondo: quindi, perché dal singolo non si potrà riescire al complesso, dall'uno al tutto? Se l'amore è spinta universale, perché frustrarne lo scopo, volendolo tributare ad una donna che nulla sa di questo enorme sacrificio e di questo dono imperiale? E concludendo che la felicità, quale la ricercano li assetati di carne e spirito feminile, mi sembra chimera inafferrabile, amo dichiarare ancora una volta che al contrario esiste felicità nel soffrire e nell'essere disconosciuto, lottando a pro del bene per li umili, e che le lagrime ed i pianti rasciugati allevano tali fiori che intessono la migliore delle corone di potenza, quale uomo mai possa desiderare.
[In «Domenica letteraria», a. II, n. LVIII, 7 febbraio 1897.]