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Prima, il Cavagnari scrisse Le vittime della terra e la Sperai ardente ad ogni nobile idealità ci diede Le tre donne. Quindi, allorché i contadini del Mantovano nel '95 nel '96 incominciavano le rivendicazioni proletarie del lavoratore del suolo, gridando la boje! e, vicino a Milano, a Corbetta, a Sedriano, lungo il canal Villoresi e le sponde del Ticino, ragione di polizia spampanava a torno favole di sommosse e di rovine anarchiche, anch'io mi provai, col Gian Pietro da Core, in una sintesi sul movimento agrario.
Per quanto è lunga la istoria d'Italia, dai Gracchi all'assassinio di Berra, la questione del latifondo sarà la maggiore, risolta la quale, la patria potrà certificare d'aver fatto vera libertà e vero progresso economico. Per questo, da noi la letteratura ad interessarsi vivamente del secolare dibattito, mentre in Francia quasi muta accoglie invece, scernendo coll'arte i fatti suscitati dai rapporti tra capitali d'industrie manifatturiere e lavoro d'operai di officine. Ora, a rispondenza ed a rendersi di una sanguinosa attualità, preannunciando quasi le dolorose conseguenze del ferrarese, G. B. Bianchi ci porge il Primo Maggio5. Questo è un romanzo schiettamente socialista.
A proposito ho aggiunto a romanzo, l'aggettivo socialista, perché, se romanzo implica in sé ragione d'arte, socialista complette la volontà di propaganda.
Come e quanto i due termini si conciliano? Propaganda richiede ragionamento piano, esauriente, pedestre, spesso documentato da cifre, sempre didattico; non può quindi avere le grazie, la duttilità, la spigliatezza di una prosa artistica. Deve anzitutto convincere e rivolgersi alla mente. Romanzo, inteso modernamente, è suggestione, è sintesi. Dalla scienza accoglie i primi principii, dalla vita accoglie tutto: proteiforme, passionale, dramatico, si sprofonda nei labirinti della psicologia e vola coll'imaginazione.
Per quanto molt'acqua letteraria sia passata sotto i ponti della storia d'arte, da Victor Hugo a noi, ancora accetto, come la migliore delle definizioni del romanzo, la sua che, a prefazione dei Rayons et les Ombres, enucleava in un breve periodo: «Quando la pittura del passato discende ai dettagli della scienza, quando la pittura della vita discende alle finezze dell'analisi, il dramma diventa romanzo.
Il romanzo non è altro che il dramma sviluppato oltre le proporzioni del teatro, sia per magistero di pensiero, sia per orgasmo di cuore».
Il Bianchi, che volle un romanzo per la propaganda e che si distese oltre modo alle concioni dei meetings, ai ragionamenti d'economia politica, alle conclusioni a favore del socialismo militante ed alle tattiche, ora, opportuniste parlamentari fece, antieteticamente, una doppia confusione: l'arte, di cui volle dirsi ed appare qua e là cultore, non ne può che soffrire. Cosí il protagonista, dottor d'Este, presentatoci sulle prime, come un esteta a perorare intorno al Wagner ed a difendere, nello stesso tempo, la tradizione della vecchia musica italiana; che si rivela, poi, socialista convinto, con larghezza di idee e di propositi, agitatore e tribuno di contadini debitamente scioperanti, buon parlatore nelle innocenti dimostrazioni rusticane; che ci appare, come egli stesso nota monologando, in istati d'animo contradditorii, che è scettico e disincantato; che è passabilmente ambizioso e che segna nel suo altruismo una gloria egoistica; nervoso, alle volte impaziente, soggiogando alla logica le mobilità del sentire; è misero equivoco e dubitoso davanti all'amore che sente e che suscita in Gisella.
Né questa ambiguità, risultato di lotte interne e morali, ci è spiegata; è qui tutto ora il romanzo, se il Bianchi lo avesse voluto; perché tutto qui era il dramma. Quindi, quale è la sua azione definitiva e concludente, riguardo all'opera socialista? Costui che predica pace, leghe ed evoluzione, rassegnazione e speranza, come un personaggio manzoniano; nell'ora del pericolo, comprende lo scoppio fatale della violenza dell'una e dell'altra parte, in chi vuole acquistare, in chi vuol difendere? Tribuno incompleto, non accorge la fatalità dell'azione viva; e l'autore si perde, nella sommossa, a raccontare un fatto banale di cronaca, un povero incendio ed una inutile repressione. È vero che il socialismo d'oggi giorno non ammette piú la soluzione catastrofica, la quale sarà sempre la conseguenza delle determinanti ingiustizie politiche e sociali; né scomparirà mai dalla storia perché l'uomo non cambierà mai il suo carattere umano; ma l'artista avrebbe potuto trarne delle pagine gloriose e rosse d'impeto giovanile; non delle considerazioni sconfortanti.
Qui era ufficio dell'arte, nella vita, nel secolare dibattito per la conquista del suolo, nella esposizione passionata delle miserie rusticane in raffronto della ricchezza di chi rappresenta la classe degli sfruttatori.
Il dottor d'Este non si destreggia piú tosto come un arrivista, ultimo modello, colla facile aureola di un martire a buon mercato (una prigionia preventiva) che l'illumina poco e che gli porge il destro d'essere ammirato e difeso anche dai conservatori? Non rivoltosi, non rivoluzionari, dicono i nuovi socialisti; l'arte non si accontenta di queste sottigliezze casistiche; vuole del coraggio e dell'impeto, fossero pure disgraziati e imprevidenti.
E la marchesina Gisella come ci è meglio spiegata? Questa ama in lui l'apostolo della nuova idea e per lui tutto l'avvicendarsi ed il muovere a conquista del proletariato, ed è semplicemente il giovine buono e bello, vale a dire un uomo come mille altri, verso cui è spinta da simpatia?
Il caso è allora comune, e il significato simbolico di Primo Maggio magnifica troppo l'azione, non altro regalando che un nuovo titolo ad una avventura erotica letterariamente vecchia, fin da quando Richardson compose la sua Pamela.
In fine, giova al presupposto della propaganda il carattere, uno dei migliori del volume ed il piú evidente, quello del vecchio marchese di Rosaspina?
Egli si fa amare per la aristocratica fermezza del suo ostare alle autorità e tempera la ragione atavica della nobiltà con una innata rettitudine di cuore.
Il gesto migliore di tutto il Primo Maggio è suo; nell'annuncio funebre freddo, straziato col quale rende noto la fuga della figliola verso il libero amore e verso la libertà, ai suoi nobili amici, quasi quella gli fosse morta fisicamente.
Arte grande e propaganda, qualunque essa sia, deliberatamente voluta, non possono accordarsi.
Arte grande e vera da se stessa propaganda, senza obbligo di ragionamento e di spiegazioni quando commuove per un'ingiustizia, quando si dirige verso un ideale.
Dal fatto del romanzo essa deve emanare e risplendere senz'altri corollarii. Le didascalie non si possono ormai piú digerire né meno nei poemi dell'Arici; ed ogni romanzo per essere socialista s'accontenti di essere sociale.
Buon stile e buone imagini sorreggono il volume qua e là; ottima la macchietta dell'artefice enciclopedico Doremi; ben sentita la natura e l'agro Reggiano e Parmense; squisite descrizioni; tutti questi elementi potrebbero fare un ottimo libro, ma perché chiamarvi vicino la scienza pesante di Marx?
Si dica del mondo e della vita, soggettivamente; la conclusione sarà sempre una rivolta, un sacrificio od una ironia. E questa è arte.
Gente di campagna, assai rozza ed antipatica, raccontata con una eccezionale e mal destra sincerità. Quando si hanno già di quelle epopee che si chiamano La Terre e di quelli affreschi grandiosi che sono Les Paysans, in cui è tutta l'indole avara, barbara, cupida, feroce ed astuta dei contadini, non ancora evolti alla coscienza di nobili lavoratori del suolo, di produttori sereni e calmi del pane, a che tormentare una povera letteratura, che non è piú arte, per ridire le georgiche e spesso stercorarie sequenze di questi bruti?
Non ci interessano casi di un ubriacone innamorato di Virgilio, poeta dei campi, che, ogni due o tre pagine ci sfoggia nel latino, come hanno fatto il suo tempo li amori rusticani en plein air delle trapassate Terre vergini e novelle verghiane. Questo verismo non ha piú ragione di essere; perché si può bestemiare e parlare del sesso egregiamente e senza acconciarsi, or mai, alla bestemia specifica ed alla descrizione dell'atto fisico ed urtante.
Per tentare questo genere di letteratura, che piaccia al gusto faisandé di estetica dell'intendimento moderno, al meno al mio (se non fa eccezione) conviene essere squisiti stilisti come il D'Annunzio, osservatori fini come il Verga, abbandonare il vecchio compasso della retorica cosí detta realista e foggiarci delle descrizioni, materiarci dei caratteri di universalità, far palpitare la terra ed umanarla, divinità pagana, essere dei panteisti e dei ribelli come Camillo Lemonnier e Giorgio Eekhoud.
Pure l'episodio della pallida Maria e la sua morte, nel sogno di un amore, profumano di assai miti e lagrimose viole alcune pagine. Qui alquanto declamatorio, ma delicato, lo stile ci fa riposare della fatica e della noia di un umorismo che sollecita a fior di pelle, ma non incidendo caratteri, scivolando, freccia spuntata del lungo uso e maldestra.
L'autore mi appare quindi molto inesperto ed assai giovane: e per quanto egli abbia voluto fare da sé la sua Gente6 ha tutti i difetti della scuola, ora assai piú evidenti, da che questa non tiene il suffragio dell'interesse e della attualità.
Noi sappiamo da quindici anni quanto ci ha voluto dire, né ce lo racconta in modo da farcelo ascoltare senza impazienza, benevolmente.
[In «L'Italia del Popolo», a. X, n. 123, 30 aprile-1 maggio 1901.]