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Venezia nella letteratura. Per chi vada a Venezia. Monelli veneziani.
Alla ripiena biblioteca di volumi che parlano si interessano, commentano, magnificano e cantano Venezia, gioiello orientale scintillante sulle sponde dell'Adriatico, si aggiungono ora i Ricordi veneziani di Mario Pratesi, che egli rinnova, corregge ed aumenta dal suo denso libro Di Paese in Paese.
Goethe, Byron, Gautier, Taine e i Goncourt che precedettero e seguirono il nostro concittadino Stendhal milanese nell'amore d'Italia e di Venezia, ci hanno dato la vita veneziana, l'incanto del chiaro di luna sui canali, il riscintillare di gemme speciali e lucentissime dei mosaici di S. Marco, la pompa dei palazzi specchiati dalle acque.
Ippolito Nievo, il poeta soldato, c'introduce nelle Confessioni di un ottuagenario, con una scena tipicamente veneziana della fine del Settecento; il Casanova boccaccievolmente dà Li Amori a Venezia e le monache galanti della laguna, ricorda Schiavoni e galeotte; e nelle loro beghe Gozzi e Goldoni ci distendono una cronaca letteraria di comedie, di epigrammi, di sermoni, di fiabe, in cui, sotto il velo di pseudonimi e delle figure comiche, l'uno e l'altro si portavano alla ribalta in dialetto ed in rime, coi personaggi del tempo, i costumi, le velade, i zendali, caratteri e maschere passeggianti sotto le Procuratie.
Recentissimamente, dopo La camorra, che volle studiare Napoli ai primi anni del regno di Savoia, dopo il sessanta, il Rebell induce una Nichina stramba, lussuosa, procace, tutta d'immaginazione e sfoggia la Venezia aretinesca dei grandi artisti pittori e delle grandi comedianti cortigiane, finché il D'Annunzio nostro, col suo magistero d'orafo cesellatore, dice le malie della città, sposandole all'ambagi psicologiche di un amore d'eccezione sulla laguna e durante li epici funerali di Wagner.
Il Pratesi7 non ci intesse un romanzo nei Ricordi veneziani; non come l'inglese Vernon Lee nel Settecento in Italia si ferma alla Venezia dalle fiabe Gozziane, dei tricorni trinati, dei guardinfanti, delle manieruccie squisite e fragili di damine Rosaure e di cavalieri Florindi, statuette di Sèvres; né come in Venezia dell'esteta John Ruskin dettaglia esclusivamente, per li intellettuali, le meraviglie artistiche dell'isole, i rispecchiamenti delle finestre bifore, l'incanto dell'ombre verdi nell'acque, i ponti sospesi e trinati, sdoppiati nel lento gorgoglio dei rii; ma al romanzo passionale sopperisce colle memorie cui le cose gli suscitano, col personale sentire davanti all'opere d'arte e con una soggettiva sua filosofia, la quale in tutto non accolgo, ma in tutto ammetto come sincera.
Cosí se come guida è qualche cosa di piú di una semplice indicazione, pure è meno esauriente e precisa, ma piú cordiale e piú sentita.
Larga parte vi dà a Paolo Veronese, a Tiziano, a Tintoretto; al Crivelli, al Montagna, al Paris Bordone religiosi ed ingenui quattrocentisti, che nelle sale di Brera ammiriamo.
Quindi intermezza con delle psicologie fini di donne passanti; con dei ragionamenti sui gatti dalla laguna a cui il nostro Raiberti darebbe lode; con delle descrizioni d'interni e di tipi di gondolieri e di portinai; con delle storie su quanto fu: e squilla la magica parola di Repubblica Veneta, tutta compresa nel Leone araldico ed alato.
Quindi suggestivi evoca il Foscolo, anima nuovissima, insofferente di schiavitú ed artista greco ed il Byron, uomo d'oriente, impetuoso e sarcastico, spatriato ed annebbiato a Londra per condannarla, irriderla e volgersi a morire a Missolungi, commilitone del Poerio, combattente tra i palikari per una libertà, cui la Grecia attende ancora completa e fulgente.
Se qua e là indulge l'autore ad una certa declamazione e parla troppo spesso di Dio in cospetto alle meraviglie del suolo, opera di natura, ed ai portenti d'arte, opera d'uomo, la colpa, piú che dello stile, è della sua filosofia ch'io non avrei profuso cosí munificamente. Pure, pochi libri come questo possono venir raccomandati a chi ora, non spaventandosi del caldo e delle zanzare, dei vapori dell'acque stagnanti e delle noie dei mille ciceroni di piazza, vada a Venezia, nel trionfo dell'estate, quando piú che mai pompeggia la strana città sotto il plenilunio e sfolgoreggia d'ori ai meriggi, o nell'ore pomeridiane sonnolente si sdraia lungo le calli, nell'ombre violette, sotto ai gonfaloni della stracciata pitoccheria, sciorinanti dall'una all'altra finestra delle viuzze. Non lo consiglio alli sfaccendati del Lido scutrettolanti nell'abiti chiari di spiaggia, ad ammirare le grazie, piú o meno tizianesche e posticcie, che i collants immolati dei costumi rilevano.
Ma chi, per amore e sottil gusto, peregrina nelle chiesuole a ricercar li intagli delli stalli, le preziosità delli affreschi, armonizzati dalla patina del tempo; chi sosta alle colonnine di marmo delle finestre bifore; chi si compiace pell'ori smorti del mosaico, alla ruggine delle balaustre di ferro battuto, ai plinti dei vecchi pozzi in fondo ai campielli, alle romantiche e ormai troppo letterarie colombe di San Marco, alle flavescenze delle treccie delle moderne Gioconde, passanti, sulli zoccoli alti, ai luminelli dell'acque dentro le stanze chiuse ed ingrigliate ed alle malinconie delle rose sfiorenti, dai bassi muriccioli, sopra al felse delle gondole, cigni neri a scivolare sul moerro ombroso dalli oleandri protesi in sul canale, se l'abbia compagno diserto e discreto.
A costoro, che aspettano di leggere l'oda squisita, che il Fradeletto cantò anni sono alla Scala, in limpida prosa, per sua Venezia, dedico in lettura i Ricordi veneziani, motivi di suggestione da simpatizzare, da fondere e da rinnovare in una passeggiata a Venezia, ora, che la «Quarta Internazionale» gareggia d'estetica e di spettacolo d'arte colla città ospitaliera alle tele ed ai marmi di tutta Europa, nel verde silenzio dei suoi Giardini Pubblici.
Ed anche pei fanciulli eccovi una minuscola Venezia di monelleria; Monelli veneziani8. È l'istoria di due piccoli giornalai che vanno gridando per le calli i fogli della sera e del mattino; la riabilitazione dell'ozio tipico veneziano, obbligato e fatto ragione dalla decadenza economica della città; riabilitazione voluta senza intervento di provvidenza, di beneficenza borghese, e d'altre baie del genere, ma per opera autoctona, direi, plebea.
Il libricino è umile ma coraggioso; suo ufficio rettificare e rendere uomini produttivi e consci della sua umanità «quella ragazzaglia abbandonata che cresce priva di educazione, di pulizia, di cure affettuose, nelle calli e sulle fondamenta dei sestieri popolari di Venezia, come a Chioggia, come nelle altre isole della Laguna, come — pur troppo — un po' da per tutto»; fare di questo anonimo esercito dei cittadini nemici del vizio e della corruzione, di quelli errori e di quelle ingiustizie sociali che rendono ora inevitabili simile infamie; richiamarli dall'inerza che produce ladri e truffatori e assassini, «i quali saranno puniti con severità dalle leggi che sanno colpire ciecamente la colpa, non mai prudentemente prevenirla».
L'autore, il Benassi, lo dedica ai ragazzi. Sono quindi lontane le antologie e i florilegi, le novellette e tutto il resto del buon abate Tarra, del Fornaciari e delle lagrimose e pie dame del biscottone, che si pregiavano di scrivere dei minuscoli raccontini ad uso delle scolaresche elementari. Soffio nuovo di coltura e di idealità oltre la didascalica; questa, la prova delle piccole anime davanti ai problemi sociali, davanti alle miserie comuni della esistenza.
E perché il volumetto è utile e sano, naturalmente il municipio di Venezia, che permette e consiglia certi metodi di insegnamento ripugnanti al buon senso, ed impone, senza il parere delli insegnanti, libri, in lettura, di una troppo evidente sciocchezza; testé, per essere coerente, proibisce i Monelli alle scuole.
Le zucche vuote di Ca' Farsetti che vi hanno odorato dentro? — Li emeriti lettori della «Gazzetta di Venezia» vi trovano il principio della fine di quel modo di educazione, per cui un conte Macola, sgherro, può chiamare canaglia il lavoratore e l'uomo che pensa liberamente? Codesti saccenti ignoranti della terza divisione indovinano, che una volta discorso dell'uomo e del cittadino, invece del dio e del monarca, nelle scuole primarie, i fanciulli, che vi imparano domani saranno assai migliori, quindi assai piú temibili nella lotta per l'acquisto di tutto quanto manca di libertà e di benessere al popolo italiano.
[In «L'Italia del Popolo», a. X, n. 214, 30-31 luglio 1901.]