Gian Pietro Lucini
Scritti critici

DAUDET FIGLIO

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DAUDET FIGLIO

Léon Daudet è il felice successore di un nome e di una ditta letteraria celebre.

Come tale, poi che l'opera del padre lo ha già prodotto alla conoscenza del pubblico senza fatica e senza preventivo tirocinio, sfrutta il nome e la ditta, nel modo migliore per il successo del giorno, nel modo peggiore per il rispetto dovuto all'arte ed alla sua patria.

Fu assai cauto nell'incominciare: Germe et Poussières, Hoerès; produsse alacremente e commercialmente, dopo, inviandoci, quasi ogni anno, due volumi di romanzi.

Si diede alla critica sociale delle attualità e nei Morticoles sfigurò medici e scienza medica in modo superlativo, attratto dalle panzane del Brunetière, il quale voleva fallita la scienza; e nei Kamtchatka, cosí, per udito e per contradizione sistematica, irruppe contro ai simbolisti, senza sapere che siano, che vogliano e quale lo scopo e l'efficacia dell'arte loro, che dicono i critici nuova ed impensata, mentre è antica, come antico il bisogno umano di un piacere intellettuale per la bellezza.

Ai Morticoles preferisco I Dottori in medicina del nostro buon amico Del Balzo, il quale senza preconcetti sferza alcune pratiche mediche antiquate ed antiumane, ma non la medicina: ai Kamtchatka prepongo qualunque libercolo simbolista fiero, sereno e sincero.

Ora è la volta delli Ebrei: Le Pays des Parlementeurs11, Chauvinisme, antiparlamentarismo, dedizione completa alla stola ed alla spada; inginocchiamento alla tradizione franca della cavalleria e del legittimismo; turibulate al lievito patriotardo della revanche; sdegni contro la sovranità repubblicana, ire contro la difesa repubblicana; pazzie alla Guérin, quando nella eroi-comica difesa del miserabile forte Chabrol, convocava i macellaretti dell'«Halles» alla riscossa e faceva sdilinquire il «Faubourg Saint-Honoré» di passione, mentre entusiasmava di risa Zola ed Anatole France e invogliava alla compassione lo psichiatra; squassar di tricolore; rinnegare l'89 ed il '93; mettere a capo di tutto il Governo francese una enorme banca ebraica la quale è il burattinaio di tutti gli omiciattoli della politica: questo è il perché del racconto.

Racconto e fiaba. Padre del Regime un Barone tedesco (ciò è indispensabile) Warmeschwein, giudeo, banchiere (che si rivolga a Rothschild?). Egli dirige, muove, combina alleanze internazionali, spande come religione l'anticlericalismo, protegge la framassoneria, eccita il collettivismo e l'empietà; di sotto mano la miseria, sfrutta la fame, spreme la Francia. Senato, Camera, Presidenza non sono che un suo riflesso: ed egli è re democratico. Ridicole scene ci appresta Warmeschwein, da quando, in segno di omaggio, si fa spazzolare i pantaloni dalle speranze della democrazia, futuri e passati ministri, sin dove si presenta, vinto dalla logica del buon diritto bianco, alla sbarra di un tribunale, composto da un prete, da un capitano e da un pamphlétaire, a render conto della sua nefasta azione sociale.

Cosí vien bandito, rinnovellando l'esito degli Ebrei, in ispolverino giallo, colore della razza, a compire il suo destino di senza patria, di eterno Aasvero.

Ridicoli i nomi degli eroi secondarii, valletti del Re Letamaio (Turlupin, Tornecolle, Cucubre, Sapajand, Noir-Pelat) gonfi di significato rabelaisiano e bastanti, da soli, ad indicare ampiamente il loro ufficio nell'azione. Donde tolgono qualunque verosimiglianza ed efficacia al gesto di ciascuno.

Ridicole le controversie, le scene suscitate; immonda la paura di tutti questi signori davanti ad una sollevazione di popolo incosciente e sobillato; ridicolo, in fine, questa specie di farsa medioevale, che non è racconto di vera vita in un vero paese moderno, né prosopopea di Ebrei, né esposizione di maschere, le quali abbiano una similitudine colle persone vere.

Di contro a questi genii e genietti del maleficio collettivo, un giornalista, Albefrene (leggete Drumont); un soldato, Rouvre, pallida copia di Boulanger dal cavallo nero, il rappresentante della tradizione militare (ponete al posto di Rouvre un nome di qualunque ufficiale superiore anti-dreyfusardo); ed un prete, l'abate Typhaine, il quale può essere un qualsiasi astuto gesuita, allevato sotto le grazie del secondo impero da Suor Partecipatis e dal Rodin del Süe.

Costoro rappresentano la buona causa.

È inutile dirvi che l'autore, seguendo i voti del suo cuore, è un ottimista e fa giungere a buon fine ed a trionfo i ben pensanti. «Fra tanto, un comitato di patrioti decise che la città venga purificata... e, tra le acclamazioni la croce vendicante rientrò in Parigi».

Povero racconto, favola e farsa, né meno lo stile lo innerba e gli grazie.

Piatto e furbo, ma disgraziato.

S'io voglio leggere qualche cosa del genere, mi volgerò piú tosto alla Gyp, la quale mi fa ridere, od al veggente ed eccessivo Bloy; s'io vorrò detergermi il cervello di questi fumi cimmerii, riprenderò Zola, La Verité en marche; Tailhade, France, s'io vorrò compassionare, questo Paese di Parlamentatori (Sblatteratori).

Léon Daudet rende un cattivo servizio al proprio paese, che non è come lo dimostra, e, calunniando la repubblica, raccatta da terra il cencio bianco e ricamato a fior d'alisi, sporco tra il rigagnolo del Parco dei Cervi di Borbonica memoria. Accoppia al cencio sporco due altri colori stinti e fuggiaschi a Sedan ed a Metz e già prima insanguinati dal 2 dicembre; quindi li squassa in processione.

Ma senza questa decrepita orifiamma, la nuova bandiera repubblicana francese si è rimessa a nuovo, brilla di colori freschi, è portata da mani solide e preste, la virtú delle quali seppero i giovinottini del garofano bianco, nella giornata d'Auteuil; ora s'innalza sul Panthéon, proteggendo la gloria.

Léon Daudet, per smania di denigrazione, ha bruttato se stesso e si è umiliato a far da stracciajuolo vagante frugando coll'uncino, sull'asfalto di Parigi, lordure per riporsele in casa ad ammorbare.

Il bianco sporco, per quanto d'attualità in qualche luogo, lo si destini al bucato popolare, passi alle cartiere sfatto e macerato, si trasformi senza rammarico e senza pietà.

Del resto a che meravigliarsi?

Il volume è dedicato a «Edouard Drumont prophète en son Pays»; ciò vi basti.

[In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 377, 11-12 gennaio 1902.]





11 Léon Daudet, Le Pays des Parlementeurs, Flammarion, Paris.



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