Gian Pietro Lucini
Scritti critici

DA PANZINI A BOITO

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DA PANZINI A BOITO

Una omelia, tra laica e chiesastica, l'indispensabile Negri ammannisce quest'anno ai lettori della Strenna a favore del Pio Istituto dei Rachitici: cosí, dopo i convenevoli d'uso per la morte del chiaro Panzeri, raccomanda, morale d'ogni predica di qualsiasi religione, abbondante elemosina. Quindi subito si tace, e fa bene.

Non trovo necessario di fermarmi piú a lungo intorno al sofista moderno, che sa conciliar libero pensiero ed opportuna adulazione al clero, degno forcaiolismo e periodo suonante al Senato: passo oltre.

Panzini è l'autore del testo: egregiamente, questa volta, si abbandonò il solito mezzuccio del centone o della antologia, abborracciati e raccolti dai diversi autori in voga, e la monografia sopra Pietro Panzeri, che precede, e le novelle Lepida et Tristia12 che seguono, sono della stessa penna scorrente e fresca di lui, per me, non nuova conoscenza nelle lettere nostre dopo i suoi Ingenui ed alcune critiche sul Carducci.

Stile sopratutto nazionale ed accurato, buona dicitura ed un manzoniano humorismo innerbano i racconti. I quali, dalla fiaba al bozzetto di genere, si rivolgono ad idealità morali od a quadretti e prosopopee di contemporanei.

Il Panzini non è uno stanco od uno esacerbato; dalla vita non chiede quanto essa non può dare, da questa prosa di vita; si accontenta del poco: non è uno sconfortato, ma non dimentica, di tanto in tanto, la critica. Della scuola dell'autore del Demetrio Pianelli, non è mai eccessivo e tempera, del resto, l'ottimismo con buon sale determinista; onde ogni cosa vale non per se stessa, ma per i suoi rapporti. Non ci dirà cose nuove ed imprevedute, ma le dirà bene, ed è già qualche cosa; non rappresenta la letteratura ch'io amo, ma non fa della letteratura commerciale. Vi invito a leggere volontieri Divagazioni in bicicletta, e Sotto la Madonnina del Duomo, nelle quali novelle, se non trovate vivide smaglianze vi è una luce calma e diffusa che non dispiace. Cosí, nella prima, una specie di viaggio sentimentale, l'arguzia dello Sterne, per quanto annacquata, non riesce insipida; nella seconda, un racconto de' casi di un pensionato governativo, reduce, in pace, alla nativa Milano, l'osservazione è buona e non di maniera intorno ai sentimenti di chi, lunga assenza ritrova la città febbrile di commercii, di godimenti, mutata nell'aspetto e nel cuore, una Milano moderna, estesa nelle fabbriche suburbane e di giorno in giorno privata dalle sue caratteristiche speciali, per livrearsi sotto l'internazionalità di tutte le grandi metropoli.

Di Pietro Panzeri l'autore scrive sobrio, con evidenza, commosso. Con piacere alle sue parole, noi aggiungiamo la nostra breve commemorazione.

Fu per noi, nelle passate evenienze della nostra vita, l'aiuto morale ed il salvatore fisico; furono con lui le nostre effusioni di ammalato e quelle intimità, che non possono nascere se non tra chi debole ripara al forte che lo salva. Ultimo, egli ci portò la necroscopia del cadavere paterno e ci legò, colla sua scienza, il perché della morte dell'amato e la ineluttabile nostra ereditarietà: amoroso ancora, venne con noi al capezzale di una diletta inferma, al Padiglione Frizzi, confortò la speranza e vinse la morte.

Bianco inverno gelato a trasparire dai vetri azzurri della stanzetta di marmo del Padiglione!

Il giardino, intorno, signorilmente calmo sotto la neve, aspettava sonnecchiando i fiori della primavera; come l'ammalata, sotto la soffice e candida coltre del letticiuolo, le rose della salute.

Pietro Panzeri fu l'instauratore della ortopedia scientifica in Italia; l'attuatore della meccanica chirurgica e razionale.

Noi dobbiamo a lui l'impianto, a Bologna, dell'Ospedale Rizzoli, ed, a Milano, il mirabile funzionamento dei Rachitici.

Giovanetto, milite per la patria nel 1866, fu milite di poi per la scienza e per l'umanità, durante tutta la sua esistenza: scienziato, aggiunge il suo nome a quello dello Scarpa, del Paletta e del Quaglino.

Non inaridí il suo spirito nella specializzazione dell'arte sua; ma fu còlto di lettere e di politica.

Fu un democratico buono, se non un repubblicano, per quanto un maestro suo, l'amico medico di Garibaldi, il forte ligure Prandina, lo avesse voluto meno costituzionale.

Fu buono, volontario, indefesso lavoratore; morí, e tutti lo desiderano ancora, improvvisamente, per aneurisma al cuore, fulminato.

Giustamente colla Strenna, ora, manda l'Istituto la memoria di colui che lo aveva per tanti anni impersonato, che tutt'ora lo protegge del suo nome, ai molti oblatori e la prosa del Panzini, a rammentarlo, non lo fa né migliore, né peggiore, ma vero e reale.

Altre memorie ed altri rapporti col tempo attuale mi suscita la ristampa del Libro dei Versi e del Re Orso di Arrigo Boito; ristampa, che sembra ai nostri giorni una esumazione.

Memorie di cose avvenute prima della mia nascita o nella mia infanzia: le quali, per la dimestichezza ch'ebbi di poi coll'arte e colla istoria cittadina, mi sembrano contemporanee: memorie della vecchia Milano, della piazza Castello, dei Navigli, del Coperto dei Figini, delle piccole viuzze cadute o cadenti sotto il piccone livellatore; memorie apparenti nella luce rossa e fumigosa della fiaccola, come un lontano incendio, quando, nella fretta del demolire, s'impiegava la notte e l'arco voltaico e la lampada ad incandescenza giacevano ancora nella mente creatrice di Edison allo stato di formole matematiche e chimiche.

L'umanità cammina
Ratta cosí che par sovra una china
Sorge ogni giorno qualche casa bianca
Grave di fregi vieti.
Scuri, zappe, arieti,
Smantellate, abbattete e gaia e franca
Suoni l'ode alla calce e al rettifilo!
Piangan pure i poeti.

(Case nuove, 1866)

Come ci vengono da lontano questi versi! Sanno di acre mestizia; tutto il lievito spremuto dall'Heine e dal nihilismo di Schopenhauer li trascorre. Nel momento epico del risorgimento nostro (1859-1870) sembrava che le intelligenze superiori e poetiche presagissero la stanchezza della razza, la quiescenza alla servitú avvenire, le inutili ribellioni al fatto che popolava l'Italia liberale e liberata di burocrazia savoina, scialaquando la patria ed il pubblico erario.

Erano allora le giornate, di cui la cronaca torbida commentava qualche anno fa la voce paterna, indignata e fremente; poi che in casa fu sempre culto repubblicano. Quando, tra il volo eroico delle vittorie garibaldine, sussurravasi di amori venali del principe a turbare la calma del parco brianteo: quando, le azzurre e bianche Guide ed i verdi Usseri di Piacenza caracollavano tra la folla, caricando, in cospetto ai marmi della Catedrale, ed ascendevano, braveggiando, la scalea; quando Regia e Lobbia ed i fatti dei Guardacaccia di Tombolo e di Stupinigi irritavano la coscienza popolare; quando, i migliori di parte nostra conoscevano la Santa Margherita del Torresani, non d'altro rei, che di franche parole e di libero pensiero.

La rossa scapigliatura letteraria, tra disincantata e veemente, vissuta colle fiammanti camicie volontarie, o tormentata dal pesante nirvana del perché?, tramontava nel cimmerio mare delle nebbie germaniche, per la diuturna critica sopra se stessa, per la malattia del dolore del Mondo (Weltschmerz).

Torva è la Musa. Per l'Italia nostra

Corse levando impetuosi gridi

Una pallida giostra

Di poeti suicidi.

Praga cerca nel buio una bestemmia

Sublime e strana! e in tanto muor sui rami

La sua ricca vendemmia

Di sogni e di ricami.

(A Giovanni Camerana 1865)

E intanto il vulgo intuona per le piazze
La fanfara dell'ire;

Ed urla a noi fra le risate pazze:
«Arte dell'avvenire

(A Emilio Praga 1866)

Oh, arte dell'avvenire già trapassata! Chi vi ricorda Tacchetti della Nobile follia, Tronconi delle Madri per ridere, Praga delle Penombre e della Tavolozza a rivaleggiare col Lazarus di Heine; Le Madri galanti, commedia del Praga e del Boito; «La Farfalla», giornale letterario della avanguardia, che riceveva le liriche del Turati, prima che fosse divenuto pratico uomo di partito a conciliar Carlo Marx e la Costituzione Albertina? Come lontani, come sepolti!

Permane invece lo stato politico identico ed a tratto a tratto sentiamo l'utilità e l'opportunità di un articolo stagliato dal «Gazzettino Rosa», se questo non fosse, presso la magistratura ed al ben pensante, un sozzo libello.

E fatemi vivo per poco il Rovani delle critiche musicali e delle cronache artistiche; portatelo davanti ad un quadro del Segantini o ad ascoltar un'opera di Wagner; stia tra i nostri esteti; come dovrebbe ricredersi dei molti errori suoi, o come pervicace ci dovrebbe schernire!

Tale l'epoca eroica, che si iniziò con febre di entusiasmo ardente e puro e sommosse il senso e l'intelligenza, si crogiuolava al fuoco lento del caminetto, alla fiamma pigra del carbone coke, come una inferma centenaria. Cosí l'amore per le creature subisce il contrapasso della noia, se la diuturnità infastidisce, ed, al sentimento, subentra la critica per la bellezza che sfiorisce, col rammarico d'aver per amore lasciata la facile via della pratica.

Irrequieta e disperata la scapigliatura volse al suicidio o si immise nelle comode strade burocratiche, al soldo del governo. Di , i ribelli del ieri ci guardano compassionando, indicandoci l'ora del prossimo accondiscendere, e, colla loro esperienza, che non è la nostra, ci attendono al facile tornare nella greggie.

E curioso che questi scapigliati, in arte, si abbiano impietrito il cuore per la sufficienza delli universali, mentre bestemiavano per una ideale loro angoscia, e che, cercando una loro libertà di razza, non credono si debba volere una nostra libertà civile. È doloroso, che, dalli stalli professionali, ora instighino ed aiutino la reazione; e che Carlo Dossi, ad esempio, colui della Desinenza in A... si sia fatto per poco segretario particolare del Crispi. Ed è almeno strano, che il poeta non intenda piú il richiamo della via animata e pulsante, come un'enorme arteria, e che sogghigni tra il fumo delli incensi interessati, tra le bizzarrie acrostiche di un libretto d'opera, Falstaff, ed il tornir per tre lustri le crome di una partitura, ripassando i versi del testo, Nerone.

Noi però non li invidiamo. Coscienti ci siamo messi per altro cammino, e non scialaquiamo energie inanzi tempo, né ci arrugginiamo nella speranza lontano, senza aiutarla. Abbiamo sepolto il criticismo sterile, per l'integrazione, e, nel medesimo tempo, siamo agnostici; il taedium vitae è morto nell'ultimo festino col quale ci ha congedati Hartmann; e virilmente il gaudium vitae squilla foriero una sua tromba d'argento, chiamando. Dal Boito del Re Orso13 al Piacere del D'Annunzio quanta strada percorsa! Abbiamo sostituito alla negazione, l'opera; una fede scientifica all'ultima lagrima del romanticismo convulso.

Certo e meglio abbiamo fatto. Ma amiamo ricordarci dell'ira nevrastenica e della decadenza morale di questa lirica, nell'impeto caldo della nostra e nella bestemia saporita ed ardente dei versi moderni; ma amiamo ancora scendere la strofe armoniosa del Boito, per sapere donde siamo venuti e per inorgoglirci del cammino in breve compiuto.

Tale l'evoluzione in ogni cosa e sotto ogni forma, che, impaurendo il misoneismo, ha ragione delle debolezze; tale il futuro, che si fa presente. Dai cofanetti di ricordi leviamo viole appassite e suscitiamo anime di profumi trapassati, colle ciarpe e le sete di un tempo. Scioriniamo queste vecchiezze al sole. Il sole, oh come accarezza le vecchie cere teneramente e come ci ride in faccia e sulla via, rumorosa di opere e di passanti: e come rulla e sibila il carrozzone elettrico, giallo d'oro, meteora, tra la modernità dei palazzi recenti. Non tutto il nuovo è bello e risponde all'arte che vogliamo; e non sempre Mephistopheles ha ragione del sogghigno, negazione, ora che < ... > siede in maestà la coscienza umana constatatrice.

[In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 395, 29-30 gennaio 1902.]





12 Alfredo Panzini, Lepida et Tristia, Strenna a beneficio del Pio Istituto dei Rachitici, Milano 1901-02.



13 Arrigo Boito, Libro dei Versi. Re Orso, Casanova, Torino 1902.



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