Gian Pietro Lucini
Scritti critici

LA GYP

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LA GYP

La Gyp è una conservatrice ad oltranza. Ha ragione: ogni signora, passata l'età sinodale stabilita dal concilio di Trento, lo deve essere per sé ed anche per la classe a cui appartiene. Noi vediamo quindi le vecchie attrici e le vecchie cortigiane, qualche volta i vecchi bei giovani, intrattenere le grazie sfiorenti del loro corpo con dei cosmetici chimici e dell'acque riparatrici; noi osserviamo, che ogni baracca governativa, od ogni classe inutile allo specifico ufficio della vita sociale s'industria a riparare le falle e le soluzioni di continuità inevitabili, le quali si manifestano in ogni organismo parassitario e decidono della fatale ed esiziale evoluzione verso la sua soppressione.

La Gyp allora, che non fu precettrice di nessuna Delfina, e glie ne duole, ma che da Madama Genlis, spesso, raccatta le veneri della frase, non si lamenti se ebbe ad udire susurrarsi contro, che, per quanto i suoi tre franchi e cinquanta, rivestiti di gaje e suggestive copertine, non siano cari, in gioventú, essa aveva venduto se stessa il suo pelo, a piú buon mercato, che non ora la sua penna. Perché, schieratasi amazzone armata, a guardiana rispettosa della tradizione franca, che non è il francese, si posa a difendere, dopo un passaggiero entusiasmo di boulangismo, ed il trono, e l'esercito, e le corporazioni religiose, e la tiara.

Fa bene: ciascuna decaduta, ha il diritto di proclamare le alte sue origini: ciascuna vecchia bella donna ha la necessità, dopo di aver molto amato, di aiutar gli altri a volersi bene e di ricorrere, dopo il bacio, al confessionale.

La Gyp, in questi ultimi tempi, avendo scorso, allegra e petulante, per l'istorie di caccia e d'alcova e criticato sorridente i suoi pari, venne fraintesa. Nella letteratura, in cui occupa un posto non indifferente sia perché lo meriti veramente, sia perché ne ebbe fortuna, ora rimane come una bambina irascibile e divertente. I critici non la prendono mai sul serio, né lei, né l'opera sua, ma ne hanno piacere.

Cosí, quando un Quesnay de Beaurepaire, procuratore della Repubblica, era giornalmente turlupinato da un amabile ingannatore, che lo faceva correre in Belgio ed in Isvizzera, all'incontro dell'ignoto depositario de' documenti provanti il tradimento di Dreyfus; quando, Willette e Caran d'Ache, crudeli, sfoggiavano le loro caricature di Dame velate, speronate e catrafatte e di Gonze e di Du Patis incapucciati di cuffie; ebbe la ventura, la Gyp, di farsi rapire, per ischerzo una notte, allettata dall'esca dello scoprire, da alcuni burloni della politica e di passare ventiquattr'ore, al buio, in una cantina suburbana, credendo d'essere sequestrata, alla vigilia di una rivoluzione.

Ma non per questo, la Gyp, marchesa di... cessa d'essere un'ottima letterata.

Non come Lavedan; niente a fatto come Anatole France, rimanendo in quel genere, si piace di una sua ironia, dentro ai romanzi dialogati. Ma Enrico Lavedan, se, ai superficiali, appare non temibile e senza conseguenza, è troppo humorista convinto per non nascondere il moralista (il moralista è sempre un distruttore) sotto la sua elegante bonomia di boulevardier; ed il France, impeccabile classico, forbito e brillante, che sa tutta l'umanità delle lettere e del cuore, si mostra troppo nell'universitario professore Bergeret, per non incutere un certo e salutare timore, avvicinandosi alquanto al libertarismo sentimentale.

La Gyp sfugge questa compagnia che le la sua prosa salace e fa male; perciò, si sforza quanto può di passare altrove le sue giornate e frequenta i salotti azzurri col piacere di trovarvisi. Se ne dirà male, è molto compiacente e remissiva e scuserà e perdonerà perché ha molto amato.

Non per nulla è una cattolica-cristiana.

Foggia per ciò uno stile particolare e personale.

Come i padri della Chiesa, non avrà orrore della frase grassa e come un de' Liguori del Manuale Confessariorum od un Richeri del De universa morale theologia, si attarderà, un poco, ai casi riservati, dettagliandoli, come conviene con le labra unte di pornografia; la pornografia servendole non come mezzo, ma come fine.

Sacerdotale abitudine, del resto; ed io non biasimo; in Francia, attualmente, pregio non discutibile delli scrittori cattolici. Barbey d'Aurevilly, nelle Diaboliques, è empio, libertino e profondo conoscitore della carne, per la gloria di dio; Hello, un mistico provenzale, che precede di vent'anni la teoria di rinuncia del Tolstoi, non fugge dalle parole del sesso e della vita animale funzionante; Huysmans, per quanto in vena di conversione, nel bas è un demoniaco alla ricerca delli orrori lussuriosi di Gilles de Rais, il maresciallo sadico, donde venne la leggenda del Barbe-Bleu; l'eccessivo, l'inquieto, il plebeamente feroce Bloy, contro l'impostura del papa moderno, e, nello stesso tempo, cattolico intransigente ed osservante, è piú che cinico, è sboccato, scatolografo; ed ognuno conosce, credo, qualcuno tra i moltissimi romanzi del Sâr Péladan, per sapere di quanto pimento afrodisiaco condisca le sue narrazioni e come volontieri si comporti tra le androgine e le poliandre, lodando ad ogni passo la provvidenza divina e la Kama Rupa cabalistica, confondendosi nei meandri dell'occultismo e dell'esorcismo romano.

Non è dunque una novità, ma è gustosa la forma della Gyp: saprà in oltre opportunamente variarne il sapore, alla magniloquenza della Pleïade e del Grand Siècle; aggiunge romanticherie alla Madame de Staël e spolvera argot della Butte Chaumont, in segno di modernità.

Scrive, insomma, e le faccio elogio, come il Visconte di Courpière, che vorremmo conoscere un altro giorno; e come lui, in quanto lo prende per modello ed eroe; in quanto è del suo mondo; vale a dire, in quanto è un uomo di molta religione per tradizione; patriota come il generale Gonze ed Esterhazy; sostenitore dei principi, vivendo un terzo della giornata nelle scuderie tra i grooms ed al bar, l'altro terzo tra le dame bianche, da cui si fa mantenere, l'ultimo terzo, nei Cafés-chantants, tra le cocottes di vaglia, alle quali non paga le operazioni dell'alcova, necessario per finire della giornata di un gentiluomo distinto.

Non diversamente poteva scrivere: ed i suoi bambini Jacquette e Zouzon, se innocenti, non diversamente parlano.

Perché, ad ultima prova della sua fecondità, la Gyp mise al mondo queste recenti creature14 e, cosí giovani da tanta madre, eroi. Non me ne lagno. Gyp conserva se stessa ed il resto; in noi conserva l'ilarità, primissimo elemento di una buona salute. La ringrazio.

Non desidero che sia un elegante e gustoso per prendere congedo, auguro lunga vita alla autrice anche per egoismo. Del resto ella non invecchia mai, ed ha tale belletto professionale sulle gote e cosí squisito inganno da apparire giovane, perfettamente, comunque.

Intendiamoci; da quanto ho detto sopra, sarà giovane nello stile, fresca nelle arguzie, birichina nelle lotte salaci; surannée nel concetto e nelle idee, inlievitata d'odio antisemita, sconvolta di patriottardismo, isterica di revanche e di tutte le altre bubbole bene accolte dal ben pensante Saint-Honoré.

Oh, non per nulla la Gyp, tout court è marchesa spiantata di qualche luogo, sul quale, i merli del castello avito, ora, si usano per termini a definire i confini dei piccoli proprietarii succeduti (oh l'89); o forse, meglio, sopportano, sulla torre di mezzo, l'orifiamma nuovissima di un droghiere parigino arricchito, o d'una ereditiera ebrea, maritata ad uno dei mille discesi dalle crociate.

Vedete dunque la Gyp astiosa. Jacquette et Zouzon, il suo ultimo romanzo, steso in forma dialogata, squilla ancora e sempre l'hallali alla caccia della bestia grossa Le Juif, l'Ebreo. E Jacquette e Zouzon, due nobili discendenti di marchesi, maschio e femina, per quanto bambini, fanno le mirabili prove del loro patriottismo patriottardo. Non si vedono in azione, ma si imaginano bandiere tricolori sventolanti ad ogni volger di pagina; non si odono ma si risente l'eco da lontano delle canzoni di Béranger, buona memoria, ad ogni fine di capitolo. L'invocazione d'un qualunque imperatore, piccolo o grande, cavalcando un bianco o nero cavallo, precedendo la Guardia ed i Granatieri, è evidente. Oh Boulanger!

In compenso i nobili ragazzi si battono, usciti dalla scuola, coi figli delli ebrei; giuocano nei giardini pubblici di Parigi all'émeute, gridano: «Vive Déroulède! Vive Guérin! Vive Drumont!» e conspuez tutto il mondo.

Perciò non si alleano coi gesuiti, i quali sono prudenti e remissivi e guardano all'avvenire, componendo matrimoni tra bacati baroni d'Alsazia tedesca, giudei, ed ultimi rampolli nobiliari francesi; onde, il maschio scompone le fila e l'intrigo d'una di queste nozze, progetto accarezzato da un padre de Cotoyan, suo zio, e vince, per quanto non istruito dai bons pères, l'astuzia lojolesca.

Per la Gyp questi son dei titoli di gloria: non lesiniamole le intenzioni e passiamo oltre.

Vedremo allora delle curiose definizioni. Li Ebrei-cattolici dell'ultima ora, sono sempre Ebrei, per quanto battezzati.

Vi sono i cattolici-cattolici, ed in questa categoria stanno li Ebrei neo cattolici, e vi sono i cattolici-Cristiani; cioè il popolo franco.

Come si vede, la Gyp fa questione di razza. Per essere piú semplice, avrebbe dovuto dire: ci sono i Semiti e li Arii; li Arii, che, improprii a construire dei dogmi monoteisti, accolsero le religioni dai Semiti, i quali hanno la specialità dell'invenzione dei culti gnostici, ed ora fanno benissimo a massacrare li Ebrei, dai quali ebbero l'impostura del cattolicismo. Ma forse, la Gyp la pensa diversamente; ed in pectore sospira: fanno benissimo a massacrare coloro che mi hanno rubato il feudo; non accorgendosi che, se i suoi antichi non fossero stati fannulloni, dissipatori, bagascioni e feroci, oggi, allora, sarebbe marchesa di... a tutto suo vantaggio.

C'è dell'altro: il grosso Enrico, un figlio di Ebrei (i quali si chiamano anche, molto aristocraticamente da Zouzon, Allonf -ben-Allonf, come gli insegnò un cacciatore d'Africa, ordinanza di suo padre, maggiore; Allonf-ben, Allonf, porco figlio di porco) battuto, a torto, dai cattolici-Cristiani reclama: «Giustizia!». Ciò fa pensare a Dreyfus: e Zouzon risponde: «Giustizia!». E gli mette sul viso i due pugni ben stretti: «Giustizia! Buona per i senza braccia».

Ed ancora: «E bene che è un gesuita? Non si sa propriamente (Zouzon evade) ma qualche cosa come un Massone. Un massone di un altro genere, sapete,... in un'altra categoria di affari». E ciò è gustoso.

In fine: volete sapere che cosa è il Campidoglio per Zouzon, l'eroe, e per la Gyp: «Mais c'est que' qu' chose qu' a été défendu par des oies»; risponde Jacquette, la sorellina. Ed il buon patriotta Zouzon: «C'est que' qui chose qu' a été défendu par le Zouaves...». Ed il nonno: «A la baionette?...» — «Parfait' ment».

Oh; confondere Campidoglio con Vaticano!

Io ricordo li Antiboini del papa, e li zuavi di Charette; Roma del 1849; Ancona, Monti e Tognetti; l'assassinio di Giuditta Arquati Tavani; Aspromonte; Mentana; tradimento di Pio IX; tradimento di Luigi Napoleone; tradimenti di Rattazzi, per non salire piú in su; carneficine. Altro che volontari Belgi ed Antiboini!

Se fosse stato un maschio, questa Gyp, vecchia cortigiana di preti e di soldati, ma pure ottima scrittrice, non le dareste, in regalo, sull'una e l'altra guancia lo schiaffo meritorio e redibitorio?

Femina, Gyp, è inconcludente, non ha storia ed esprime un episodio trascurabile; è una pettegola che diverte; che diverte, purché non sia eccessiva. Oh, questi Ebrei, questi Massoni e questo Campidoglio difeso dagli zuavi pontifici!...

[In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 442, 18-19 marzo 1902.]





14 Gyp, Jacquette et Zouzon, Flammarion, Paris 1902.



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