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II.
Ma lo Stendhal è per metà italiano, nota il d'Ancona sul «Giornale d'Italia» del 17 aprile di quest'anno16; quindi anche in Italia vi furono e vi sono letterati che non lo hanno dimenticato. Lasciando da parte la leggenda, ch'egli, nato da Gagnon, pretendesse uscire dalla famiglia Guadagni fiorentina, fuoruscita nel Delfinato dopo lotte di parte, sappiamo che, solo nella nostra Italia, trovò la sua patria d'elezione. Nei primi anni del secolo XIX, cito l'Halévy, quattro uomini salirono la collina di Fiesole. Goethe, Shelley, Chateaubriand, Byron. E ciascuno di essi esclamò: — Dove vi ha bellezza vi ha gioia. — Dove vi ha bellezza libertà. — Dove vi ha bellezza passione. — Dove vi ha bellezza tristezza. L'Halévy dimentica Stendhal: egli riconobbe l'Italia, dall'alpe di San Bernardo, in sulla via poco prima aperta da Bonaparte per il forte di Bard, e la sentí pulsare sotto al suo piede come l'enorme cuore di una madre. Riverente, entusiasta le si professò indiscusso e appassionato figliuolo.
A seguirlo nel suo passaggio e nella sua permanenza a traverso le nostre città, invero alquanto fiacche e trasandate, sollevatesi a paragone dei confratelli di là delle Alpi, che lo producevano sull'altare della moda e della fama; il Mazzoni lo profila di sfuggita; il Panzacchi compila delle critiche curiose ma artificiali; la Serao lo camuffa languido patito di una bellezza inespugnabile, Matilde Dembowsky; il Martini lo sermoneggia sopra ai suoi casi d'amore, sprecata omelia per un morto filosofo della scuola di Du Tracy, voltairiano per giunta e psicologo di stati d'animo. Giulio Pisa vi spende alquante pagine superficiali, ma di buon gusto; il Barbiera non dice nulla di nuovo e si confonde volontieri; il d'Ancona, invece, come l'occasione si presta, non manca di rammentarlo e bene; l'ottimo Cameroni e l'amico Lumbroso sono dei ferventi e completi stendhaliani.
Molti lettori dell'Italietta conosceranno li articoli che, sul nostro giornale, prima di venir travolto dalla bufera borbonica del '98, il Cameroni scriveva, facendoci conoscere e cercando di interessarci pel nostro concittadino illustre; poiché Stendhal adorò Milano e volle essere Milanese anche nell'epigrafe da lui stesso dettata, onde la si incidesse nel cippo funerale. Si deve alle pervicaci instanze del Cameroni, se, grettamente, li edili trapassati gli dedicarono, nella città, una via fuor di mano abbandonata tra i campi e le officine, normale a via Savona, oltre Porta Genova, chiamandola Stendhal. Ma a quando, ancora domandiamo, una lapide di commemorazione sopra una delle case ch'egli abitò tra noi?
Ed Alberto Lumbroso, infaticabile, mentre con lena, e pazienza attende allo Stendhal e Napoleone, ch'io mi auguro vedere in breve pubblicato, non tralascia pretesto a nominarlo, suscitatore, dell'eco ripetuta, forse di qualche risposta di curiosità; scrive una completa Bibliografia Stendhaliana e lo ricerca nelli inganni del plagio17.
Orbene i milanesi sono in tutt'altro affaccendati: non ascoltano fandonie di lusso, che raccontano avvenimenti di principio di secolo. Se qualcuno in allora, fece onore alla loro città, si accontentano con un buon sorriso, e, dopo li affari della fine settimana, si avviano al Trotter svagandosi collo scommettere sopra ai garetti di problematico valore per cavalli spurii e viziosi.
Noi invece apriremo religiosamente l'opera di Enrico Beyle e saremo commossi ogni qual volta incontreremo il nome di Milano sonoro e pieno di significazioni.
Eccolo, ussero d'avanguardia, non ussero di operetta come lo vorrebbe il Sainte-Beuve, precedere lo squadrone di cosmopoliti, fermarsi esteta davanti alla bellezza ovunque la trovasse e come rispondesse al suo temperamento. Milano lo compiacque in tutto; anche nelle risaje, anche nell'acciotolato aspro delle sue vie. Da Milano, data la prima pagina del suo Journal, quando dopo Marengo, ufficiale dei dragoni repubblicani, la sua prima visita fu al Teatro della Scala. E Milano ricorderà sempre e cisalpina, ed imperiale, e sotto la reazione austriaca.
Ne dettaglia i costumi, le aspirazioni, nel tumultuoso dibattito di due secoli, nelle vittorie, nell'assodarsi delle leggi napoleoniche, nel movimento, che il classicismo dell'arti figurative, languida derivazione di David, ci produceva col soffio brumoso e insieme lucido cui la letteratura nordica svolgeva liricamente. Qui si muove ed agisce questo personaggio, pensa e racconta nei salotti, durante l'oppressione croata, animoso ad accogliere le libertà italiche; qui ama, sottilmente distinguendo tra passione di sensi ed idealità, cercando sul vivo e notomizzando i casi della sua conoscenza dell'animo feminile.
Ed ecco piantarsi alberi di libertà; le ciprie e le parrucche, il guardinfante ed il toupé scomparire; merveilleuses e muscadins passeggiar per la Corsia dei Servi e pel Portico dei Figini. Girandole sulle piazze e fuochi di gioia nel viale di Strada Marina; carrosselli militari, parate lucide, cavalli scalpitanti, assise strane, enormi, dalle polacche dei cavalieri di Dembowsky al succinto abito verde dei veliti lombardi.
Apoteosi imperiali, dalla guerra di Spagna al mare di neve insanguinato della Moscova.
Il Canova delle Grazie e della Paolina Borghese, fonde il colosso Napoleone, Ercole nudo a palleggiare il mondo, oppresso dalla vittoria; Hayez dà il Bacio; l'Arco di Trionfo aspetta di reggere le bighe superbe, fin che li Alleati, di ritorno, impongono alla eufemia gloriosa la subdola carità dell'Arco della Pace.
Qui l'ira dell'Alfieri ed il corruccio del Foscolo; il destreggiar del Monti; il canto di luna del Pindemonte, dopo la satira di Parini; ed il cisalpino a conoscere d'essere italiano, ributtare Beauharnais per Absburgo e congiurare contro l'Austria per Savoia: 1814-1821. Fra tanto il notaio bellanese ricorda la Fuggitiva in molle pianto lombardo e rampogna all'eccidio del Prina: Porta trova, nelle risa della comedia aristofanesca, la sferza ed il pungolo e veste i Croati da Francesi, sveste pinzocchere e preti: la Scala incomincia la mirabile ventura dei balli di Viganò e delle melodie di Pergolesi e Pacini; quindi Rossini, gastronomo, che ricorda l'Abate Galiani, scande, sulle orme immortali, un Figaro da Beaumarchais.
Stendhal ci dirà tutto questo, col suo stile incisivo, aforismatico, sostando alla fisiologia delle vie, ai loro odori, al carattere dei cittadini: Stendhal sarà l'amante di Angiolina Pietragrua-Bonomi, lo spasimante della Dembowsky-Viscontini, il corteggiatore della Nina danzatrice e della nobile Kassera sparlatrice; conoscerà Confalonieri, Pellico, i congiurati del '21, i librai di Santa Margherita, s'indugerà nelle sale di Brera, partirà nel '21 da Milano per denuncia di un rivale sfortunato alla polizia, a cui lo indicava impegolato di liberalismo: e vi tornerà, per poche ore, nel '28, per essere accolto dal Torresani e dallo sfratto dalli stati di S. M. Cattolicissima, avendo, sotto lo pseudonimo di de Stendhal, sparlato delle dame delicate della città in un suo libello Rome, Naples et Florence e scritta una infame opera politica, l'Histoire de la peinture en Italie, stampata nell'anno 1817, coi torchi di Dedot seniore in Parigi, da M.B.A.A., cioè Aubertin. (Torresani a Strassoldo. Atti segreti. Originali.) Del resto, di quel tempo, si sorvegliava anche il Manzoni, intermittente patriota.
Tutto questo ci dirà e ci farà comprendere Stendhal. Non vi pare che molta vita vissuta milanese ricordi? Non vi pare che Milano fu molto taccagna con lui? Non vi pare, che, sotto la scorta delle sue note, un volume di cronistoria cittadina nostra abbia ad uscire fresco, curioso d'indiscrezioni, sapido di buona celia meneghina? Ma sembra ch'io civetti a qualunque possibile e futuro editore per uno Stendhal a Milano e mi tengo le curiosità, e le indiscrezioni racchiuse nel cassetto della memoria, per non irritarvi maggiormente il desiderio e per essere, a forza, egoista di cose belle, originali ed interessanti.
[In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 485, 1-2-3 maggio 1902 e a. XI, n. 486, 3-4 maggio 1902.]