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Quattr'anni sono, dopo una lunga conversazione epistolare, nella quale, giovanilmente baldanzosi, a proposito di alcuni miei versi allora pubblicati, davamo fondo a tutta la letteratura moderna, critici improvvisati ed interessati, proclamando l'eccellenza dell'ultima formola artistica da noi professata a Roma, ebbi la ventura di conoscere di persona Ugo Ojetti.
Grato e simpatico ricordo: ora risuscito col pensiero le nostre peripatetiche per l'Urbe, i colloquii e le improvvise effusioni davanti ai monumenti ed all'estetica viva e mutevole delle vie frequenti e gaie sotto il buon sole invernale del Lazio.
Cosí, di quel tempo, avendo porto all'Ojetti un mio manoscritto perché me ne dicesse alcun che, d'un tratto, meravigliandomi impreparato, quello mi venne reso con un cenno di lieve critica anfigorica: «Vi rimando il manoscritto. L'ho letto quasi tutto stanotte. Ora sarebbe impossibile. In ogni modo a me sembra fantasticamente anzi elefantasticamente originale, ma nordicamente confuso. Non si vede dove tendiate, né quel che intendiate».
Donde venni a comprendere che, Ugo Ojetti lasciato da parte le quisquilie eleganti e le raffinatezze eccessive del pensiero e della forma, svoltava il sentiero dell'arte orgogliosa ma incompresa per far suo cammino, con ingegno vivo ed attitudine pronta, sulle strade battute e piane del compiacente arrivare, scrivendo al pubblico facile e grosso. Per questo, s'io non ebbi mai il coraggio di tale rinuncia, forse piú testardo e meno duttile, guardai l'amico a salire sui larghi gradini del giornalismo elegante e proficuo e gli diedi lode della buona impresa.
Viaggiò pel «Corriere della Sera». L'America vittoriosa è la raccolta dei suoi articoli, che, di là dall'Atlantico, inviava, quando li Stati Uniti accorsi a liberare Cuba, facevano credere all'Europa in un divampare subitaneo di imperialismo, tra le pratiche industriali dello Zio Sam.
Poi l'Albania dettaglia le sue impressioni cui le montagne ed i fiumiciattoli, una volta mitologici, gli suscitano alla vista nella palude di questo tempo che stagna: e, quivi, nel paese delli Arnauti, sotto le quercie ambiziose del bosco sacro di Dodona, passeggiando per l'Acherusia ed i Campi Elisi di fu classicismo, foriero di letteratura ed insospettato suffragatore di conquiste coloniali (l'Albania ora ci morde al cuore come un lembo d'Italia in ischiavitú e per amor di parentela) svolge dei timidi rapporti, quanto miserabili, tra li inquieti predoni attuali raffigurandoli alli eroi di Omero, ai succinti cavalieri di Scanderberg ed ai Palikari di Alí Tepelen pascià di Giannina.
Frattanto venivano pubblicati Il Vecchio, per dove la vita bambina del nipote sorge fiorente ed assorbe la vecchiaia del Nonno; L'onesta viltà una collana di tre novelle, lievemente simboliche, ultima eco delle intenzioni trapassate dell'Ojetti; Il gioco dell'amore, critica dell'amare, sorriso indulgente di uomo ritornato da Citera, benigna inframettenza d'ironia sopra il gesto semplice, che i nostri isterismi, la nostra coltura, la nostra morbosità complicano sotto il lievito della passione emulatrice di una decadenza alessandrina ed insuperata.
E perché la buona ed intransigente estetica non doveva rimanere inutile, dopo Alla scoperta dei letterati, opera di divulgazione, superficiale e corrente, adatta assai per le mezze colture e quindi premiata dalle solite commissioni, L'Arte mondiale a Venezia; nella quale non iscopre nessun grande artista nostrano, raggiunge a dimostrare che li stranieri fanno meglio di noi, fa dilagare la corrente di una universalità pittorica e plastica, sopra il genio particolare delle razze, alluvione improvvisa di cui, da poco, i nostri artisti imparano a scansarsi con ottimi risultati.
Tutto ciò ebbe seguito e voga; piacque; raccolse un pubblico di dubii intenditori; seppe farsi rispettare dalle Case editrici, e lo condusse ad essere cercato: ottima virtú sua porsi arrivato tra i molti arrivisti; profonda conoscenza del suo tempo, per cui non invano, egli voleva lavorare: d'Ugo Ojetti ora non si vorranno piú citare le commedie ardite e coraggiose del primo entusiasmo, cadute, quando dei critici malevoli bighellonavano scherzosamente intorno ai suoi panciotti strani e stravaganti: d'Ugo Ojetti si dirà: ecco un elegante prosatore, un letterato sorto dal giornalismo ad interessarci alquanto ed a farci piacere.
E però nelle Vie del Peccato18, egli è meno giornalista e piú uomo di lettere; si riscatta felicemente. Cappiello, un illustratore parigino, minia la copertina di una eccessiva e spumante demi-mondaine, specchietto a richiamo per li occhi, sollecito di promesse. Cappiello, col suo schizzo, sintetizza l'opera.
Dolci vie del peccato; piane, aperte, infiorate; lievi chine, tra mezzo alla facilità della vita. Peccato, l'amore, qualunque amore, il permesso ed il condannato, l'adulterio e la fornicazione, quello che si compera e quello che si dona; tutti li amori.
Jules Bois direbbe «Un brelan de femmes mauvaises»; io mi accontento di sgranarvi i chicchi di questo rosario di femminilità. Vi sono delle americane complesse, che non credono alla semplicità dell'amore di un artista italiano e che lo trascurano per la paura di apparire impreparate allo scetticismo latino: vi sono delle donnine oneste, che peccano per vendetta al sospetto assurdo maritale e che si fanno un amante per non mentire alla calunnia.
Vi sono dei cuoricini di donna, in cui la psicologia tormenta l'amore e che terminano per amare, semplicemente, senza psicologia. Vi sono dei mariti pietosi di vigliaccheria, come molti, e delli amanti spavaldi di edonismo fisico.
Troviamo delle dame che imitano in tutto (ne conosco) vestite e no, atti ed abbigliamenti di cocottes in voga, ex amante dei mariti e che terminano, dopo alcune crisi, per divenire delle cocottes autentiche; tale giova, ad esempio, l'arte della mimica. Leggiamo una profonda confidenza femminile «Le vie del peccato sono tante, ma novantanove volte su cento si pecca d'amore, non per amore. Ecco la verità vera».
E delle provinciali si provano ad emulare le mondane bacate che vengono in villa; e delle crestaine preferiscono il vecchio commendatore ricco al giovane profumiere del canto: ed una cortigiana fa la sua Boule de Suif con assai grazia, quando raggiunge, con una recente infedeltà, il numero perfetto delli uomini che l'hanno avuta, numero in disputa, per una scommessa tra l'ultimo amante ed un ex di passaggio.
Ascoltiamo delle gravi banalità recitate dai signori lucenti dei Clubs: sapremo come assai volte le dame si concedono invidiose delle cameriere, e chi conosce la molla secreta s'accosta prima ai baci servili per averne i comitali. Oh, sotto le cortine delle camere, le confessioni. Delle di fresco sposate, cinicamente, espongono alle amiche zitelle le disillusioni della prima notte ed il proposito di cercar altrove diversivo alla noia di un troppo metodico abbraccio: e, tra i drappi del letto, un babbeo marito a rifiutarsi alle chieste carezze della moglie, prestigio futuro di ugola canora, per consacrarla e non sciuparla all'arte; mentre, la moglie, decide li allegri adulteri, una volta, ed in breve, artista acclamata alle ribalte liriche. E che direte se si ritrovano delle lupe insaziate, isteriche Messaline, nel fragile corpo di bionde sentimentali? Compiaciutesi di tale perversità nascosta, dei giovani vi fondono la loro virilità rivali ad un concorso di lussuria, proclamato dallo stallone marito, indifferente del promiscuo consumare, ed ancora dei giovani riparano, coll'astinenza della campagna, le forze sprecate nelli abbracci troppo esigenti e non mai allentati.
Vi dirò che l'istoria di una lucertola bicaudata, uscita a gennaio, amuleto di fortuna, fra il fischiar del rovajo, è la migliore e la piú saporita. Io amo assai le favole per cui trapassino, agendo eroicamente, li animali, essendo assai stanco di notare delle cronache in cui si putrefanno vivi li uomini, aspettando.
Ojetti racconta lesto e bene; l'arguzia è pronta e non preparata da lunga mano, spontanea. Boulevardier internazionale, sa molte cose ed assai indiscrezioni.
Io non vorrei pregarlo a sostituire ai nomi fittizii dei suoi personaggi quelli veri, coi quali, comunemente, si chiamano in società; non sono cosí crudele per le mille donnine che dovrebbero arrossirne: tanto le novelle sembrano ridotte dalla realtà, tanto non sformano la vita comune.
Egli indica, non approfonda; dà lo spunto; qualche volta la sensibilità sfugge di proposito, non per secchezza di cuore, per stanco abbandono: con due tratti impersona un carattere, tutto il resto ed il superfluo lascia al lettore.
Spesso, leggendo, mi venne sulle labbra un nome: Guy de Maupassant. L'abbiamo trovato il novelliere principe, acuto, presto, conciso; il novelliere che attende la nostra letteratura giovane dopo le mirabili prose del Verga e del Capuana?
Novella; quadro di genere, psicologia di un gesto dell'esistenza, specializzazione di un attimo di vita: episodio reso da un'arte sottile e speciale: grafito da appendersi nei piccoli salotti moderni, non affresco meraviglioso e turbante di genio a rispecchiare tutta una civiltà, tutta un'epoca: novella; gingillo di un romanzo filosofico e d'avventure, fiore profumato e singolo in una tazza di porcellana chinese, esposta sopra un tavolino laccato liberty.
Guy de Maupassant, ancora, mi insiste sulle labra: ed è certo il miglior elogio per l'Ojetti, se riguardo alla disinvoltura del suo stile; al pimento della sua pornografia; che non si scopre ma che sottolinea; alla sua bonarietà di uomo famigliare col caso d'amore; alla sua grazia, colla quale sfugge l'eccesso pure accennandolo. Ma perché nelle Vie del Peccato tutti sono felici o quasi? Vi è qualche cosa che l'Ojetti non ha sperimentato: il dolore grande: perciò lo fugge letterariamente e non lo rende. Or sia giocondo Ojetti e sempre e ci ripeta prossimamente altre vie del peccato, come queste, piane, aperte, infiorate in mezzo alla facilità della vita. Vi sono delle rupi scheggiate all'orizzonte; un fiume romba lontano allo svolto: dei nuvoli densi si raccolgono all'occidente: una bufera s'apparecchia: e bene, tutto ciò è assai remoto, forse ipotetico. Gaudeamus igitur! e giovani e vecchi. Sulle vie del peccato vi sono molte rose e non ne accorgiamo le spine; il domani è una espressione che rappresenta nulla di concreto e di possibile: vi sono delle rose e vi sono delle donne offerte. Tutto il resto non ci preoccupa; vi sono delle lagrime e vi sono dei baci. Spesso i baci si fondono in lagrime, ma dopo. Assicuriamoci il bacio. Le Vie del Peccato sono troppo felici, mi fanno sospettare, amaramente, che in futuro dovranno renderci assai angoscie e molto sangue.
[In «L'Italia del Popolo», a. II, n. 496, 13-14 maggio 1902.]