Gian Pietro Lucini
Scritti critici

DI UN NUOVO POETA

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DI UN NUOVO POETA

Il nuovo poeta si chiama Guido Verona. Imparate questo nome. Egli si è infinto nella prefazione d'essere uno scultore, e come scheggiati di una statua percossa al pubblico i Frammenti di un Poema.

Ma si è giudicato male nella similitudine; egli non è artista, è spugna; l'opera sua non è poema, ma impronta di carta asciugante, passata e non mai rinnovata pei mille calepini della poesia patria; i quali, del loro inchiostro umido, l'hanno macchiata a rovescio colle loro parole.

È spugna: un corpo molto permeabile ed assai assorbente. Ha per migliore proprietà d'imbeversi senza distinzione e di qualunque liquido che le sia posto a contatto; dall'inchiostro al sangue.

Spesso riaggruma insieme detriti e frusti di mensa e di tavola anatomica. Il pizzicagnolo l'adopera di preferenza per strofinaccio del suo banco; quando, a ripulirlo dalle bricciole di salsamentaria lasciate dallo spaccio cotidiano, pulisce il legno e la pietra coll'aceto nemico delle mosche, soffregando.

La spugna, questa volta, conglomera i resti tagliuzzati della nazional prosodia.

Da Enzo e Manfredi, da Ciullo dal Camo, all'ultimo Lucio d'Ambra, la spugna, non mai risciacquata per la doverosa antisepsi, spremuta ora, lascia colare una specie di sanie indefinibile, difficilmente analizzabile. Vi dirò che quest'umore, raccolto nelle bacinelle operative, si occhiuleggia di moerri verdi a mo' di una coda di pavone, o fervido schiumeggia di una leggiera bava violacea ed argentina, indizio di un certo idealismo romantico fermentato. La spugna gorgheggia.

Mistero della materia! Un vecchio colascione le presta la sua voce roca e scordata. Sono degli sciolti: delle canzoni petrarchesche: delle quartine d'annunziane: dei sonetti d'andatura classica, per quanto bolsa: ed anche, oh meraviglia! dei tentativi di verso libero. Ma questo, perché è libero a punto e ribelle ed è logico ed è fatto per dire, non per ripetere è il piú disgraziato e male vi accompagna coi colleghi.

Vi sono delle bionde e delle brune; degli amori ed assai descrizioni; dei baci e delle corbellerie. Vi è tutto un secolo di lirica, per queste poche 217 pagine, compreso l'indice; donde alcune volte sareste ingannati ad applaudire, se non pensaste alla carta bibula ed alla spugna. In compenso non vi trovate errori di grammatica e di sintassi, non mende di versificazione, ma una qualche eleganza ed una certa grazia. Il merito sta in ciò: la spugna fu strofinaccio al banco di un salsamentario di prima classe, donde i detriti non mentono il valore della merce perfetta da cui si disgregarono una volta.

E ci basti per il Poema della lontananza, prima parte del volume. Ma gli succede un Canto civile. Il versaiuolo pretende di oscurare la fama dell'instabile cantore della Basvilliana.

Infandum jubes, regina, renovare dolorem:

sul metro alato, bruciando le nubi dell'empireo flagrante d'Elicona, l'epica del Maggio 1898 rimbomba. È qui necessario essere un molto delicato misuratore di parole per non tradire il concetto del signor Guido Verona23 poeta-autore.

Per l'orribili giornate di quella primavera, che ricordono re Bomba ed i Croati e tutte le sofferenze e tutte le vendette astute e gesuitiche e tanti lutti e tante lagrime di vedove e di madri, il Verona vide la plebe,

con le sue donne macilente e i figli

precoci nel delitto, uscir briaca

per le strade, imprecando una vendetta.

Erano cento

erano mille!...

E vide i:

giovani perversi,

ubriachi di vino e tormentati

di una sete di sangue.

E vide una

pietra lanciata da una mano inconscia,

contro la forza della patria legge.

E udí:

qualche tinnio d'armatura e qualche

nitrito di cavallo.

Mentre, ahimè! sciagura e blasfema e delitto, qualcuno, (chi in verità?) concionava:

Urla, e domani

non avrai sofferenza:

oh, tribuno sbracato e imaginario, a concionare!

Nell'arche dei patrizii

Sono tesori per comprarti il pane,

(che è forse vero, se non fosse apocrifo). Poi vi conferma, per filosofia che:

Una legge vital vuole che l'uno
accenda il forno e l'altro mangi il pane;

per quanto non mi paia una legge molto equa e niente democratica.

Di questo passo trascorre per il sei, il sette, l'otto ed il nove di Maggio. Peripateticamente avrà campo di sobillare qua e al giudice,

che il popol ami, venerando il trono

d'incrudelire su quelli,

che del sangue versato han la coscienza
lorda ed abbietta.

Per cui la responsabilità è assai pericolosa e tende ad una minaccia dubbia, secondo il punto di vista dal quale si considerano le cose.

Peripateticamente avrà, nella foga del coraggio lievitato in paura, un nobile incitamento alle cariche dei cavalleggeri, davanti alla casa Saporiti, teatro di caccie al monello, sui tetti:

Avanti!

perché altro non sia piú sciagurato(?)

avanti, o belli moschettieri avanti!

Cosí raccoglie delle menzogne:

Giunge alle porte il popol del contado,
con salde falci e ronche ed archebugi,(!!)
per assalir la preda di Milano

cosí, non dice il vero, seguendo le gazzette pagate, quando racconta che li studenti pavesi:

vengon, recando sotto i foschi ammanti,
armi da fuoco ed armi da ferita;

cosí insozza e percuote la donna milanese, quando, per sedurre i soldati, la fa, con una irritata imaginazione di satiro, sciogliere i lacci del corsetto e nude mostrar le poppe con lusinga oscena.

In fine, «snidati dai covi gli ultimi atleti del delitto civile», posa la sua trepida pancia, ripara il suo cervellaccio astioso e frollo nel silenzio della città, perché la città è morta e grida: «Deh! respira bella Milano!» plaudendo alla sfilata dei prigionieri, «come ladri torvi nel loro aspetto», lungo le vie, circondati da lancie e da fucili, verso le carceri e le galere, per la gloria delle libertà civili e del conquisto assodati. Vi è un corteggio allegorico di Astuzia, Lucro, Odio e Viltà, che fanno seguito incatenati.

Applaudiamo, amici. Cosí si fa la Storia e si scrivono i poemi. A farla a posta la spugna ha voluto imbeversi nei rigagnoli nauseosi, che distillano dalle corti intime delle questure; carta bibula, ha assorbito il rapporto dei poliziotti. A farla a posta, ha ritratto la sua originalità dalle menzogne dei confidenti e dalle infamie dei processi marziali. Che la paura, spugna, abbia a calmarsi: non tremi gelatinosa la pancia: l'alba di regno amoreggia coi galeotti di ieri; governo e sovversivi, per le placide conquiste delle leggi economiche (dicono), si sono sposati, morganaticamente, infecondi.

Noi, che dall'opera cerchiaro presumere l'autore, potremmo, dietro vaghi indizii, foggiarci una Maschera ed un Tipo; costruire, come Cuvier, dai resti fossili di un animale, tutto intero lo scheletro e descriverlo. L'autore? Potrebbe anche essere un bel giovane, già ufficiale e autorizzato, per le gioje pubbliche delle rassegne, a rivestirsi da ufficiale di cavalleria complementare, luccicante e stringato. Comunemente porta giacchette d'ultimo taglio londinese ed una gardenia all'occhiello.

A sciupare l'ozio della sua calma esistenza, tra un sonetto ad un Radetzky nostrano ed un inno a Fanny, allegra e di grido, visita Flora cavalla di razza e ne presiede all'abbraccio con Palikaro, stallone di fama.

Quindi si accosta al baccarat dei Clubs che si rispettano, e, nelle sere di ricevimento, intesse allegri idillii extralegali, ma senza conseguenza, mentre uccella, sentimentale, ad un ricco matrimonio.

Passerà per i bars, dove si avvelenano lo stomaco ed il cervello, sparlando e bevendo gli spiriti inglesi bene misturati; passerà per la Società dei ben pensanti, a gettare il suo grido vendicativo ed a porre in istato di accusa, chiedendone il capo, i pochi ribelli che lo beffano; passerà, dopo il flirt colla dama, le occhiate alla signorina, prima di andare a letto, per la nota stradicciuola, dove un usciuolo cortese si apre a tutti.

O forse erro, e sarà questa Maschera un galantuomo; io calunniatore gratuito e letterario. Pure conosciamo delle canaglie che valgono di piú, perciò stiamo con quelle. Sopra a tutto, vorremo gridare che il Canto civile è la piú grande epopea del XX secolo: ma il secolo ha solo due anni e promette molto.

[In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 557, 14-15 luglio 1902.]





23 Guido Verona, I Frammenti di un Poema. Canto civile, Remo Sandron.



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