Pietro Gori
Alarico Carli

In marcia.

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In marcia.

 

Le lettere, che, quasi ogni giorno, dal campo, scriveva Alarico al fratello Archimede, rivelano la sua impazienza per il troppo lento marciare, per la sosta (2 giorni) fatta all'Abetone, per tutti gli ostacoli che il Governo frapponeva al conseguimento degli ideali di quella balda gioventù: talchè, spesso, con parole roventi stigmatizzava coloro che con qualche scusa, dall'Abetone tornavano indietro.

Vale la pena di riportare integralmente alquanti brani di queste lettere, perchè essi sono, direi quasi, una fotografia dell'uomo e dei tempi che prelusero la resurrezione d'Italia. In una sua del 18 Aprile sta scritto: «Volate Toscani!.... Cosi Leopoldo ai suoi popoli. — E i suoi popoli guidati da teste di tartaruga, per varcar gli Appennini e giungere a far cento miglia impiegarono 18 giorni, e, adagio, ancora non le abbiamo fatte! Siamo da ieri in qua a Formigine a goderci il beatissimo non far niente toscano, mentre in Lombardia, a pochi passi da noi, si decidono ogni giorno sorti supreme per la patria.» — E più in giù — «Vedi con quanta impazienza io debba stare col mio carattere subitaneo. L'Ill.mo Signor Governo ci ha mandati via da Firenze facendo questo ragionamento: Volete andare? Meglio per noi, ci leveremo d'intorno queste teste calde, e li manderemo all'Abetone, per un mesetto, a vedere se quelle nevi e quell'umido filtrante, fossero capaci di produrci dei sorbetti per sudditi, che allora chiameremmo fedelissimi. Ma il Governo si è ingannato

 


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