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PARTE II ATTO TERZO Corte interna del Castello cinta di ricchi e fantastici edifici, secondo il gusto del medio evo |
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La Corifea. Pazze e balorde, vere femminucce! zimbelli dei capricci della felicità e della sventura, che non sapete sopportare l'una e l'altra con impassibilità! Bisogna sempre che ve ne sia una che si opponga all'altra; voi non siete mai dello stesso parere; la gioja ed il dolore possono soli farvi ridere e piangere sullo stesso tono. Silenzio! e si aspetti sommesse ciò che la magnanima sovrana delibererà per sé e per noi!
Elena. Dove sei tu dunque, o pitonessa? qualunque sia il nome col quale sei designata, esci dal seno delle volte di questo cupo castello! Sei tu forse andata ad annunziare il mio arrivo al misterioso signore di questi luoghi, ed a prepararmi una buona accoglienza? Allora io te ne ringrazio, e ti prego di condurmi senza indugio al suo cospetto; io sospiro il termine dei miei errori, e non desidero vivamente altro che un po' di riposo!
La Corifea. Tu lo cerchi invano, intorno a te, o regina, lo schifoso fantasma è scomparso; forse egli è rimasto nella nube in seno alla quale noi siamo qui venute, non so come, celeri come lampo e senza pur muovere un passo. Forse egli erra, smarrito nel labirinto di questo meraviglioso castello tanto vario e molteplice nella sua armonia, cercandone il signore perché si disponga a renderti gli omaggi dovuti ai principi. Ma guardate lassù, nelle gallerie, sui balconi, sotto i porticati, s'agita tutta affaccendata, una schiera numerosa di paggi! tutto ci dà l'indizio di un ricevimento nobile ed ospitale.
Il Coro. L'animo mio si rallegra. Oh! guardate con quanta grazia, e come con passi lenti e cadenzati, il giovane e dolce drappello conduce il ben ordinato corteggio! Come e per ordine di chi questo popolo reale di adolescenti è egli così ben disposto? Non so cosa io ammiri maggiormente, se i loro movimenti dignitosi, od i loro capelli inanellati intorno alla loro splendida fronte, o le rosee gote sparse di lanugine e come pesche morbide e vellutate. Vi morderei dentro volontieri, ma non so decidermi; perché in simile caso, la bocca si riempie, cosa orribile a dirsi, di cenere. Ma questi bei giovinetti si avanzano; che cosa portano essi? I gradini per il trono, i tappeti, il cuscino, gli arazzi e gli addobbi per la tenda; la quale si spiega formando ghirlande sul capo della nostra regina; perché Elena a ciò invitata si è già seduta sul real seggio. Salite lassù gradatamente; disponetevi con solennità! Oh benedetta, benedetta, per la terza volta sia benedetta una così dignitosa accoglienza! (Quanto va cantando il coro, si compie appuntino.)
(Faust, dopo che i giovinetti e gli scudieri ebbero sfilato, mostrasi all'alto della scala, sfarzosamente vestito del cavalieresco abito di corte del medio evo, e discende lentamente e con maestosa dignità.)
La Corifea (osservando con attenzione). Se gli dei, come usano spesso di fare, non diedero in prestito per pochi giorni a quest'uomo la forma degna di ammirazione, l'aria sublime e l'amabile aspetto, tutto quanto sarà da lui intrapreso gli deve riuscire, sia nella guerra cogli uomini, sia nelle lievi lotte amorose colle belle donne. Lo trovo veramente superiore a molti altri che i miei occhi mi fecero vedere assai pregevoli. Con passo lento e solenne che t'inspira la venerazione, io lo vedo avanzarsi, il principe. Volgiti a lui, o regina!
Faust (s'inoltra, avendo da fianco un uomo in catene). Invece di salutarti riverente qual si converrebbe, invece di dirti solennemente: benvenuta, io ti traggo dinanzi, carico di catene, questo servo indegno che mancando al suo dovere, m'impediva di compiere il mio. — Gettati ai piedi di quest'augusta donna, e a lei confessa la tua colpa. Eccoti, o nobile principessa, l'uomo dall'occhio di lince incaricato di vigilare dall'alto della torre; egli deve percorrere con occhio vigilante lo spazio del cielo e la distesa della terra, spiando qua e là quanto si riveli o si muova dai colli vicini e nella valle che protegge la nostra rocca. Appare talvolta un branco di agnelli, tal altro una legione di armati; noi proteggiamo gli uni, e piombiamo sugli altri. Oggi, o fatale trascuranza! tu vieni, ed egli non ti annunzia, e l'accoglienza di un sì glorioso ospite ne soffre, accoglienza che fra di noi deve essere solenne e sacra fra tutte. Egli ha temerariamente posto la sua vita in pericolo, e dovrebbe già essere immerso nel proprio sangue; ma tu sola devi punire o far grazia secondo il tuo beneplacito.
Elena. Per quanto grande sia la dignità da te conferitami, dignità di giudice, di sovrana, e quando anche fosse solo tuo desiderio di mettermi alla prova, adempio al primo dovere del giudice, che è quello di sentire l'accusato. Parla adunque!
Il Custode della torre, Linceo. Lascia che io m'inginocchi, — ch'io ti contempli, — lasciami morire, lasciami vivere, — perché oramai sono tutto, anima e corpo, di questa donna, scesa dai cieli. Io aspettavo la luce mattinale; spiavo all'oriente lo spuntare dell'alba, quando repentinamente io vidi, o miracolo! Vidi il sole spuntare dal mezzodì. Mi volsi tosto da quella parte per contemplare lei, invece delle valli e delle montagne, invece degli spazi della terra e del cielo. Ho, è vero, gli occhi di lince in agguato sulla cima di una pianta; ma in quell'ora mi convenne lottare per uscire da una profonda visione. Come poteva io dunque riconoscermi? piattaforma, torre, porta chiusa, e vaganti vapori, si dileguano e solo questa dea mi sta dinanzi. L'occhio ed il cuore rapiti in lei, io aspirava il suo dolce splendore; questa sfolgorante bellezza abbagliava completamente me povero infelice! Dimenticai così i doveri del guardiano, il corno, ed i miei giuramenti. Or va, minaccia pure di annientarmi; la bellezza doma ogni impeto di collera.
Elena. Il male da me cagionato, non lo potrei punire. Misera me! Qual fatale destino mi perseguita, io porto ovunque lo scompiglio in seno agli uomini, di guisa che essi non tengono più conto alcuno di se stessi, né di nulla! Per via di rapimenti, di seduzioni, di combattimenti, i semidei, gli eroi, gli dei, sì anche i demoni, mi hanno fuorviata qua e là nelle tenebre. Unica e semplice forma posi a soqquadro il mondo, sotto duplice aspetto, feci peggio ancora; ora, sotto una triplice e quadrupla sembianza, reco danni su danni. Ch'egli s'allontani, e sia libero; l'obbrobio non deve pesare sul capo dell'uomo allucinato dagli dei!
Faust. Io vedo con meraviglia, o regina! qui il vincitore insieme col vinto; vedo l'arco che ha lanciata la freccia e ferito l'uomo; i dardi si seguono e mi colpiscono, li odo fischiare tutto all'ingiro nel castello e nello spazio. Che sono io? Tu ribelli i miei vassalli e rendi le mie mura impotenti; io temo già che il mio esercito obbedisca alla donna trionfante ed invincibile. Che cosa mi resta a fare, se non di rimettere nelle tue mani il mio destino e tutti i beni che io credevo di possedere? Lascia che io mi prostri ai tuoi piedi, libero e fedele voglio riconoscerti come sovrana, tu che al solo mostrarti sapesti farti signora del trono e del paese.
Linceo (di ritorno con in mano un cofano, seguito da uomini che recano dei presenti). Tu mi vedi di ritorno, o regina! Il ricco va mendicando uno sguardo; egli ti contempla, e tosto si sente povero come un mendicante, e ricco come un principe.
Che cosa ero io prima? che cosa sono io ora? Che si ha da volere? Che cosa bisogna fare? il lampo dello sguardo si ammorza vicino al tuo trono.
Noi siamo venuti dall'Oriente, ed i paesi dell'Occidente furono sottomessi. Tra un lungo corteggio di popoli il primo non sapeva nulla dell'ultimo. Il primo cadde, il secondo restò in piedi, il terzo rimase colla lancia in resta. Ognuno ne aveva cento dietro di sé; e migliaja caddero inosservati.
Scagliandoci, precipitandoci sul nemico noi eravamo sempre vincitori. Là ove io comandava oggi, un altro saccheggiava e rubava il domani.
La rassegna del bottino era presto fatta: l'uno s'impadroniva della più bella donna, l'altro del toro più saldo sulle zampe, e chi si trascinava dietro tutti i cavalli.
In quanto a me, molto mi dilettava di oggetti rari e preziosi, e ciò che un altro poteva possedere era un nulla per me.
Andavo in cerca di tesori; guidato da' miei sguardi penetranti, vedeva chiaro in tutte le tasche, tutti i forzieri erano trasparenti per me. Ebbi quindi dei mucchi d'oro, e specialmente molte pietre preziose; ma lo smeraldo solo è degno di verdeggiare sul tuo seno. Ora poi, fra le tue orecchie e la tua bocca, tremola la goccia cristallina del fondo dei mari. I rubini restano confusi, lo splendore delle tue guance li vince.
Così, io depongo dinanzi a te i più grandi tesori, e metto ai tuoi piedi il bottino di tanti sanguinosi combattimenti.
Per quanto numerosi siano i forzieri che io trascino dietro di me, io ne possiedo ben altri; permetti che segua i tuoi passi ed io colmerò con essi i sotterranei della tua reggia.
Appena tu ponesti il piede sui gradini del trono, l'intelligenza, la ricchezza e la forza s'inchinarono dinanzi alla più grande bellezza.
Questi tesori che io teneva prima sotto chiave, ora io li abbandono: essi ti appartengono. Io li credeva preziosi, rari e veraci, ed ora m'accorgo che essi sono un nulla.
Quanto io possedeva è andato in fumo; è un'erba falciata, avvizzita. Oh! tu sola, con uno sguardo sereno, puoi rendere a tutto ciò l'antico pregio!
Faust. Porta presto via quella roba arditamente conquistata; portala via senza biasimo, ma pur senza compenso. Ella possiede già tutto quanto havvi di prezioso in questo castello; dargliene una parte sarebbe superfluo ed inutile. Va, ammucchia con simmetria tesoro su tesoro! Fanne concepire una sublime immagine di splendore inaudito; scintillino le volte come il puro firmamento! Disponi un paradiso di di vita inanimata! stendi dinanzi a lei tappeti tempestati di fiori! il suolo offra ai suoi piedi una molle superficie! il suo sguardo s'immerga nei vivi splendori dai quali i soli dei non sono acciecati!
Linceo. Quanto mi comanda il padrone è ben poca cosa; il servo lo compie in un batter di ciglio. Colei che dispone dei nostri beni e del nostro sangue è codesta superba bellezza. Già tutto l'esercito è domato; le lance ed i giavellotti arrugginiscono; vicino alla forma sublime, il sole stesso diventa smorto e freddo; in confronto colla ricchezza di quel volto, ogni ricchezza del mondo è un nulla. (Esce.)
Elena (a Faust). Vorrei parlarti; vieni, sali qui vicino a me! Questo posto vuoto reclama il padrone e m'assicura il mio.
Faust. Lascia prima, o donna sublime, lascia che io m'inginocchi, e degnati di accettare i miei fedeli omaggi; lascia che io baci la mano che m'innalza al tuo fianco. Dividi con me la reggenza del tuo regno infinito; ed abbiti così in un sol uomo l'adoratore, il servo ed il guardiano.
Elena. Non vedo e non odo che prodigi. La meraviglia s'impadronisce dell'animo mio, le domande s'incalzano, ma, anzi tutto, rispondi a questa: perché la parola di quell'uomo mi sembrò ella sì strana e sì dolce? il suono si sposava al suono e appena una parola colpivami l'orecchio che un'altra veniva ad accarezzarlo.
Faust. Se l'idioma dei nostri popoli ti riesce già tanto gradito, oh allora il loro canto ti sedurrà certamente, e rapirà il tuo orecchio e l'animo tuo con diletto mille volte più grande.
Per convincertene meglio facciamo l'esperimento; il dialogo attira e provoca simili cadenze.
Elena. Quel grato favellar come far mio?
Faust. Farai pago il desio, — se a mezzo il core
S'informi l'armonia; quando nel petto
Si desta arcano un sentimento, un moto;
Allor la mente a rintracciar si guida...
Elena. Chi le gioje, i piacer con noi divida.
Faust. Passato ed avvenir! Tutto, un istante
Comprenda, questo che in parlar mi fugge...
Elena. E d'estasi beata il cor ne strugge!
Faust. Tesoro, gioja n'è il presente, e certa
Felicitade; ma la man qual fia
Che m'assecuri un tanto ben?
Elena. La mia.
Il Coro. Chi ardirebbe biasimare la nostra principessa di mostrarsi gentile col padrone del castello? perché confessate che siamo prigioniere come lo siamo già state pur troppo spesso dopo la fatale caduta di Troja e le nostre vaganti avventure. Le donne avvezze all'amore degli uomini accettano senza scegliere; ma esse hanno un buon discernimento, e, come ai biondi pastorelli, così ai fauni bruni e dai capelli cresputi, secondo l'occasione che si presenta, esse concedono senza riserva alcuna un uguale diritto sulle loro membra palpitanti.
Uniti assieme, essi si avvicinano sempre più; appoggiati l'uno sull'altro, spalla contro spalla, ginocchio contro ginocchio, colla mano nella mano, essi si cullano nel molle splendore del trono. La loro maestà non invola agli occhi della folla la dimostrazione ardita delle loro intime gioje.
Elena. Mi sento sì lungi, eppure mi sento sì vicina, e dico con tutta l'anima mia: Sì, io sono veramente qui.
Faust. Io respiro appena, la mia voce trema ed è titubante: è un sogno: il giorno e il luogo sono scomparsi!
Elena. Mi sembra di aver vissuto e di rivivere, immedesimata con te, fedele a chi prima non conobbi.
Faust. Non cercare di analizzare questo destino unico al mondo: l'esistenza consiste nel vedere, non fosse che per un istante.
La Forcide (entra a passi precipitati). Voi compitate nell'alfabeto dell'amore, sfiorate i sentimenti e vi perdete in queste fanciullaggini; ma non è questa l'ora. Non sentite l'avvicinarsi di un uragano? non udite voi lo squillar delle trombe? la vostra rovina si avanza. Ecco Menelao che arriva in mezzo ad un'immensa turba di popolo; preparatevi a sostenere un fiero assalto! Circondato da uno stuolo di vincitori, mutilato come lo fu Deifobo, tu pagherai ben caro questo corteggio di donne! Tutta questa folle genìa si vedrà penzoloni e la scure sarà pronta sull'altare per la sua padrona.
Faust. Temeraria! questa schifosa m'interrompe. Anche nel pericolo il villano impeto mi dispiace. Per quanto bello sia il messaggiere, s'egli ti porta notizia di sciagure esso si mostra brutto allo sguardo; e tu, sciagurata ti senti solo felice quando porti tristi messaggi.
Ma questa volta non riuscirai. Riempi l'aria dei tuoi vani stridori! Qui non vi è pericolo, e lo stesso pericolo non sarebbe che una vana minaccia. (Segnali, esplosioni dalle torri; squillo di trombe e romor di timballi; musica militare; vedesi passare un imponente esercito.)
Faust. No, tu vedrai immediatamente radunata la falange invincibile degli eroi; colui solo merita il favore delle donne che sa proteggerle gagliardamente. (Ai capi che uscendo dagli squadroni, vanno appressandosi.) Voi, ai quali la forza, la fermezza ed il valore rendono la vittoria sicura, voi, fiore giovanile del nord, voi simpatico nerbo dell'oriente, coperti di ferro, d'armi scintillanti, voi siete militi che riduceste in polvere imperi sopra imperi! Eccoli, si avanzano, la terra trema; passano, e la terra continua a tremare.
Tocchiamo appena le spiagge di Pilo, ed il vecchio Nestore già non è più. Tutte queste misere alleanze di re furono spezzate dall'indomito nostro esercito. Respingete tosto Menelao da queste mura, e scacciatelo verso il mare! Ch'egli vada errando e saccheggiando da vero corsaro! Tale fu sempre il suo gusto ed il suo destino.
La regina di Sparta mi comanda di salutarvi duchi; sia ella sovrana della valle e della montagna; a noi la gloria e la letizia del regno!
Tu, o Germano, va a difendere fortificandole, le baje di Corinto; a te, o Goto, io affido la salvezza dell'Acaja dalle cento voragini. Che l'esercito dei Franchi si diriga verso Elide; Messene sia affidata ai Sassoni; il Normanno purghi i mari ed investa l'Argolide!
Ciascuno avrà così il proprio regno, e potrà volgere al di fuori le sue forze ed i suoi fulmini. Ciò nonostante Sparta vi dominerà tutti, Sparta, l'antica città della regina.
Ella sarà felice di vedervi godere gli uni e gli altri quel paese nel quale nessun bene fa difetto. Venite a cercare fiduciosi ai suoi piedi l'investitura, il diritto e la luce! (Faust discende; ed i capi lo circondano per ricevere i suoi ordini, e udirne i consigli e le istruzioni.)
Il Coro. Chi pretende possedere la più bella deve anzi tutto tenersi prudentemente armato; la cortesia di costui gli valse il più dolce tesoro della terra, ma egli non può godere in pace la sua conquista; gli adulatori gliela contendono colle lusinghe, i rapitori colla violenza; ch'egli diffidi degli uni e degli altri.
Così noi cantiamo al nostro principe, e lo stimiamo assai più di tutti, lui che seppe circondarsi di alleati così imponenti che i potentati stessi aspettano rispettosamente i suoi cenni, e li eseguiscono fedelmente con loro gran vantaggio. Essi possiedono la riconoscenza del principe e ne dividono la gloria.
E poi chi ardirebbe di rapirgliela? essa gli appartiene, noi la riconosciamo; la riconosciamo doppiamente a colui che seppe circondarsi con essa, all'interno da spessi bastioni, ed all'esterno con un potente esercito.
Faust. I beni che abbiamo loro assegnati — a ciascuno una ricca provincia, — sono grandi e magnifici. Partano dunque, e noi restiamo al centro dei nostri Stati.
Ed essi ti proteggano a gara, o penisola che le onde accarezzano da ogni parte, attaccata da una leggiera catena di colline agli ultimi rami granitici dell'Europa. Questo paese, primo fra tutti sia eternamente fortunato per ogni razza; il dominio di esso era nelle mani della mia regina che qui ebbe i natali. Tra i canneti dell'Europa, ella uscì luminosa dall'uovo di Leda, abbagliando la sua nobile madre ed i suoi fratelli. Codesto paese, rivolto verso te sola, ti offre i suoi più preziosi doni. Ah! preferisci la patria alle contrade che ti appartengono.
Fa che un raggio di sole illumini appena la vetta aguzza del monte, fa che un filo d'erba spunti sulla roccia, e vedrai la ghiotta capra inerpicarsi in cerca di quel magro nutrimento.
La sorgente zampilla, i ruscelli divallano frangendosi in cascate. I burroni, i declivi ed i prati verdeggiano già, e lungo la pianura interrotta da cento colline puoi vedere sparsi qua e là i greggi coperti di morbidissima lana.
L'uno discosto dall'altro, circospetti e con passo lento e misurato, i cornuti tori vanno sull'orlo dei burroni; là è preparato un asilo per tutti, la roccia presenta mille recessi in forma di caverne.
Il dio Pane protegge quelle località e le Ninfe della vita abitano gli spazii freschi e luminosi dei chiomati crepacci; elevandosi verso le sublimi regioni, ogni albero contro altri alberi stende ed innalza i suoi rami.
O antiche foreste! La quercia s'innalza potentemente ed il ramo nodoso s'intreccia capricciosamente con altro ramo: e l'acero svelto e leggiero, pieno di un dolce succo, levasi in alto superbo scherzando coi venti.
E nell'ombra silenziosa scorre maternamente un tiepido latte preparato per il bambino e per l'augello. I frutti non sono lungi, cibo saporito della pianura, e dai tronchi incavati stilla il miele.
Qui il benessere è ereditario; ciascuno è immortale al suo posto; essi sono felici e pieni di vita!
Così s'incammina, sotto questo cielo sempre puro, l'amabile fanciullezza verso la forza virile.
Da ogni parte s'alza una voce che chiede con maraviglia; sono dei o sono uomini costoro?
Apollo aveva preso in prestito la sua forma dai pastori, ed il più bello di essi gli rassomigliava; perché ove la natura si agita in tutta la sua purezza, tutti i mondi s'incatenano. (Va a sedersi vicino ad Elena.) Così la ventura ci ha riuniti; sia dimenticato il passato; oh! ravvisa in te la figlia della divinità, tu appartieni al mondo primitivo. No, tu non sarai prigioniera fra le mura. Vi è ancora per noi un beato soggiorno, un'Arcadia eternamente giovane si trova vicina a Sparta. Attratta verso questo suolo avventurato, ti ricovererai nelle braccia del più sereno e tranquillo destino. Ivi diventano troni i fronzuti boschetti; e come in Arcadia saremo felici e liberi!