Johann Wolfgang von Goethe
Faust

PARTE II

ATTO Quarto

La parte anteriore della montagna

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La parte anteriore della montagna

 

 

Strepito di tamburi, e suoni di musica guerriera che vengono dal basso. — La tenda dell'imperatore è spiegata.

L'Imperatore, il Generale in capo, Lanzi.

 

Il Generale in capo. La risoluzione mi sembra assai prudentemente presa, cioè di avere ristretto tutto l'esercito in questa valle; spero che una simile scelta ci porterà fortuna.

L'Imperatore. Ciò che dovrà succedere, lo vedremo fra poco. Eppure questa specie di fuga, questa ritirata mi addolora.

Il Generale in capo. Guarda, o mio principe, alla nostra destra. Un terreno come questo mi sembra prestarsi egregiamente al nostro piano di guerra: alture poco ripide, senza essere però troppo accessibili, vantaggiose ai nostri, pericolose per il nemico; noi, mezzo nascosti sopra un piano ondulato, dove la cavalleria non ardirà avventurarsi.

L'Imperatore. Non ho che a lodarmi d'ogni cosa; qui braccia e petti potranno cimentarsi.

Il Generale in capo. nell'aperta pianura vedi tu la falange nemica animata al combattimento? Le picche scintillano alla luce del sole, attraverso i vapori del mattino. Vedi muoversi i neri flutti di quel potente quadrato! Migliaja e migliaja d'uomini si struggono qui per desiderio di fatti grandi e generosi. Riconosci da ciò quale sarà la forza dell'esercito; io confido in esso per disperdere la forza dei nemici.

L'Imperatore. È la prima volta che io godo un simile colpo d'occhio; un tale esercito vale il doppio del suo numero.

Il Generale in capo. Non ho nulla da dire della sinistra; valorosi eroi difendono la rocca massiccia. Quel picco di granito, luccicante d'armi protegge il passaggio importante della stretta. , io lo prevedo, verranno imprevidenti a rompersi nel sanguinoso conflitto le forze nemiche.

L'Imperatore. Eccoli che si avanzano laggiù, quei falsi alleati che mi chiamavano zio, cugino e fratello e che fatti sempre più arditi nei loro feudi tolsero allo scettro la sua forza, il credito al trono, indi, divisi fra di loro, devastarono l'impero, ed, ora riuniti, si sono sollevati contro di me! La moltitudine ondeggia indecisa, e finisce per andare dove il torrente la trascina.

Il Generale in capo. Uno dei tuoi fidi, mandato ad esplorare, scende a gran passi dalla montagna. Ah! che la sorte gli sia propizia!

Primo Messo. Con destrezza e coraggio usammo le arti nostre e siamo riusciti ad insinuarci qua e , ma ne abbiamo ricavato poco profitto. Molti sono disposti a giurarti omaggio e fedeltà, come già fanno le tue truppe, ma non scorgiamo in tutto ciò che un pretesto per ottenere una tregua e suscitare un fermento interno, e lo scompiglio nel popolo.

L'Imperatore. Il principio dell'egoismo non è né la riconoscenza né la simpatia, né il dovere, né l'onore, ma bensì la conservazione di se stessi. Eh! non pensate forse, quando la misura è colma, che l'incendio del vicino può consumarvi?

Il Generale in capo. Ecco il secondo messo; egli scende a lenti passi, stanco e spossato; egli trema da capo a piedi.

Secondo Messo. Dapprima abbiamo scoperto con vivo contento un gran parapiglia. Repentinamente, inaspettato si avanza un nuovo imperatore. Sui sentieri che percorre la moltitudine si slancia dalla pianura; tutti seguono i menzogneri stendardi che sventolano: proprio come le pecore.

L'Imperatore. Un imperatore rivale si avanza per mio vantaggio; ora, per la prima volta, io sento che sono imperatore. Mi sono messo l'assisa del soldato, ed eccomene rivestito per grandi disegni. In ogni festa, in mezzo alla pompa ed allo splendore, una cosa sola mancava a me: il pericolo. Voi tutti mi avete consigliato i giuochi cavallereschi; il mio cuore batteva, non sognavo che tornei, e, se non m'aveste sviato dalla guerra, un'aureola di gloria cingerebbe già la mia fronte. Dall'istante in cui mi vidi laggiù nell'impero del fuoco, ho sentito nel mio petto il marchio dell'indipendenza; l'elemento mi assalse con tutti i suoi orrori; non era che un'illusione, ma un'illusione sublime. Ho sognato confusamente vittoria e fama. Io riprendo ciò che ho indegnamente trascurato. (Gli Araldi partono per recarsi a provocare il pseudo Imperatore.)

(Faust coperto di un'armatura, colla buffa calata, e seco i tre Campioni equipaggiati e vestiti come fu detto.)

Faust. Noi ci avanziamo senza tema di essere biasimati; anche all'infuori della necessità, l'antiveggenza porta i suoi frutti. Tu lo sai, il popolo delle montagne medita incessantemente, decifrando le note della natura e del granito. Gli spiriti, da lungo tempo ritirati dalla pianura, sono più che mai infervorati delle montagne. Essi agiscono in silenzio nel labirinto degli abissi, fra le esalazioni dei ricchi vapori metallici; analizzando senza tregua, esaminando, combinando, tutti i loro sforzi tendono a scoprire qualche cosa di nuovo. Colla mano leggiera delle potenze sovranaturali, essi dispongono di forme trasparenti e poscia nel cristallo, tenendosi in silenzio, contemplano gli avvenimenti di un mondo superiore.

L'Imperatore. Ascolto e voglio crederti; ma dimmi, bravo uomo, come entra qui tutto ciò?

Faust. Il Negromante di Norcia, il Sabino, è tuo fedele e rispettoso servo. Un giorno, un'orribile disgrazia lo minacciava; le fascine crepitavano già; la fiamma levava in alto le sue lingue voraci, lo zolfo e la pece si mischiavano alla legna ammonticchiata intorno a lui; né uomo, né Dio, né diavolo, potevano salvarlo; e tu, sire, spezzasti quelle ardenti catene. — II fatto accadde a Roma. Ora egli che ti è infinitamente riconoscente e che osserva senza posa i tuoi passi con ansietà; egli che da quell'ora dimenticò se stesso; per interrogare per te solo le stelle e gli abissi, ci ha incaricati della missione di assisterti al più presto mercé le forze della montagna che sono imponenti. Colà la natura agisce con una libertàesuberante che la stupidità dei sagrestani taccia le sue opere di stregonerie.

L'Imperatore. Nei giorni di gala, quando salutiamo gli ospiti che, allegri, vengono a dividere la nostra gioja, gli è per noi un piacere vedere ognuno affrettarsi, spingersi, rendere stretto il vasto spazio delle nostre sale; ma, prima di ogni cosa, benvenuto riesce l'uomo di cuore, che spontaneo, viene ad assisterci sul mattino del giorno gravido di avvenimenti, e quando la bilancia del destino è sospesa su in alto. Ciò nonostante ritirate in quest'ora solenne la vostra mano dall'impaziente giavellotto; onorate l'istante in cui migliaia di uomini si avanzano per me o contro di me. L'uomo. sta tutto in se stesso. Chi vuole il trono e la corona sia personalmente degno di un tanto onore, e respingiamo colla nostra propria mano nell'impero dei morti il fantasma che si è alzato contro di noi, che si chiama imperatore, signore dei nostri Stati, duce del nostro esercito, feudatario dei nostri distinti vassalli.

Faust. Per quanto glorioso possa essere il compiere la grande impresa, tu hai però torto di esporre così il tuo capo. La criniera ed il cimiero non coprono essi l'elmo? Esso ripara la testa che accende il nostro valore. Senza capo che cosa potrebbero compiere le membra? Esso si addormenta e tutte si accasciano tosto; egli è ferito, tutte ne soffrono; tutte rinvigoriscono se egli si rialza sano e salvo. Il braccio sa usare con destrezza del suo diritto energico, egli alza lo scudo per proteggere il cranio; la spada consapevole del suo dovere svia ben presto il colpo, e risponde ai colpi. Il piede entra a parte della loro fortuna, e si posa arditamente sulla nuca del nemico atterrato.

L'Imperatore. Tale è il mio furore; così vorrei trattarlo e farmi uno sgabello della sua testa superba.

Gli Araldi (si ritirano). Laggiù abbiamo trovato scarse onoranze e poco credito. Risposero con beffe e motteggi alle nostre energiche e vive insinuazioni. Il vostro imperatore, dicevano, ha cessato di esistere! Egli non è più che una vana eco laggiù nella valle! Se facciamo ancora motto di lui, è solo per dire come al principio d'un racconto: — C'era una volta...

Faust. Il tutto è disposto come piacque ai migliori che, fermi e fedeli stanno al tuo fianco. Eppure il nemico si avvicina, i tuoi aspettano con impazienza; ordina l'attacco, il momento è propizio.

L'Imperatore. Io mi spoglio qui del comando. (Al generale in capo.) Principe, tutto sta nelle tue mani.

Il Generale in capo. L'ala destra si avanzi adunque! L'ala sinistra del nemico che cerca ora di inerpicarsi sull'altura, deve cedere, prima di aver mosso l'ultimo passo alla provata fedeltà della nostra valorosa gioventù.

Faust. Permetti dunque che questo giovane eroe entri immediatamente nelle tue file, e sia aggregato ai tuoi battaglioni e vi porti il nerbo del suo robusto braccio. (Accenna a destra.)

Raufebold (si avanza). Chi mi guarda in faccia lasci la speranza del ritorno, o si prepari ad avere le mascelle spaccate! Chi mi volge le spalle sentirà tosto il collo, la sua testa ed il suo ciuffo cadergli giù per la nuca! E se, vedendo come io mi adopro, i tuoi guerrieri colpiranno colla spada e colla mazza come faccio io, il nemico cadrà, uomo sopra uomo, sommerso nei flutti del proprio sangue. (Esce.)

Il Generale in capo. La falange del centro segua da vicino, ed affronti prudentemente il nemico, ma con tutta la sua forza. Un poco a destra, laggiù, guardate! l'inasprito valore dei nostri soldati sventa tutti i piani del nemico.

Faust (additando l'uomo di mezzo). E questo segua pure i tuoi ordini!

Habebald (si avanza). Al valore delle legioni imperiali deve unirsi la sete del bottino. Ecco lo scopo che io propongo a tutti: la ricca tenda del pseudo-imperatore. Egli non starà lungo tempo nel suo trono vacillante, se mi metto alla testa della falange.

Eilebeute (vivandiera, facendogli vezzi). Sebbene io non sia maritata con lui, io lo preferisco a tutti i fantaccini. Ecco i frutti che si maturano per noi! La donna è terribile quando prende, senza pietà quando ruba.

Alla vittoria, dunque! e tutto è per bene. (Escono.)

Il Generale in capo. La loro destra, come si poteva prevedere, si precipita furiosamente sulla nostra sinistra. I nostri si opporranno corpo a corpo al suo disperato tentativo di prendere d'assalto lo stretto passaggio della gola.

Faust (indicando a sinistra). Io ti consiglio, o signore, di por mente a costui. Non è male che i prodi siano afforzati.

Haltefest(si avanza). Non vi prendete pensiero dell'ala sinistra! dove io sono il possesso è assicurato; la fermezza non fa difetto al vegliardo. Non vi è folgore che possa strapparmi quanto tengo nella mia mano. (Esce.)

Mefistofele (scendendo dalle alture della montagna). Ora voi vedete come in fondo ad ogni gola gli armati si accalcano, occupando gli stretti sentieri! Coi loro elmi, armature, spade e scudi, essi formarono un muro dietro di noi aspettando il segnale per combattere. (Con voce bassa agli iniziati.) Da dove proviene ciò non me lo chiedete. In fede mia non ho perduto il mio tempo; ho saccheggiato tutte le sale d'armi dei dintorni. Essi stavano ritti, a cavallo; si sarebbe creduto ch'essi erano sempre i signori della terra. Un tempo cavalieri, re, imperatori ed ora gusci vuoti di gamberi, dentro ai quali più di uno spettro si è cacciato risuscitando così il medio evo. Qualunque siano i diavoletti che vi si sono cacciati dentro, per questa volta essi non mancheranno di fare il loro dovere. (Forte.) Ascoltate come si irritano e s'urtano producendo un rumore metallico! Sui tuoi stendardi sventolano bandiere lacere e cenciose che sospiravano un soffio d'aria pura. Pensate esservi qui un popolo antico ben preparato, e che prenderebbe volontieri parte al moderno combattimento. (Bande clamorose ed assordanti dall'alto; gran confusione e disordine nell'esercito nemico.)

Faust. L'orizzonte si è coperto; solo qua e splende una luce rossastra e che presagisce grandi cose. Le rocce, il bosco, l'atmosfera, il cielo intiero, tutto si confonde.

Mefistofele. L'ala destra si mantiene salda e ferma, ma io scorgo nella mischia, sorpassando tutti, Hans Raufebold, il gigante spedito, vivamente occupato a picchiare secondo il piacer suo.

L'Imperatore. Sulle prime non ho veduto che un sol braccio ad alzarsi; ora ne vedo già una dozzina che battagliano. Ciò non è naturale.

Faust. Non hai tu mai udito parlare di quelle strisce di nuvole che vagano sulle coste di Sicilia? appariscono delle visioni strane, erranti nella pura atmosfera, portate verso gli spazi intermedi, riflesse in vapori strani; città che vanno e vengono, giardini che salgono e discendono, secondo che l'imagine è frastagliata dall'etere.

L'Imperatore. Eppure, ciò mi diventa sospetto! Vedo le picche lampeggiare, vedo sulle armi scintillanti della nostra falange danzare vivissime fiamme. Tutto ciò mi sembra un po' troppo strano e fantastico.

Faust. T'inganni, o signore; quelle sono vestigia di enti ideali perdute, un riflesso dei Dioscuri scongiurati da tutti i navigatori. Essi radunano qui le loro ultime forze.

L'Imperatore. Ma dimmi; a chi siamo noi debitori se la natura si colma di prodigi?

Mefistofele. A chi dunque se non a quel sublime Signore che porta il tuo destino nel suo petto? Le violenti minacce dei tuoi nemici lo hanno commosso. Per sua bontà ti vuol salvo a qualunque costo.

L'Imperatore. Essi si rallegravano nel condurmi attorno con grande pompa. Allora io aveva assai credito e volli farne l'esperimento; senza pensarvi molto sopra deliberai di dare un po' di brio alla mia barba grigia. Una simile novità mandò a male una certa festa del clero, ed in verità, non mi sono conciliato la loro simpatia. Come è mai possibile che ora, dopo tanti anni io ne sia favorito in guisa così segnalata?

Faust. Un generoso benefizio porta i suoi frutti con usura. Volgi il tuo sguardo in alto! Mi pare che un augurio debba scendere di lassù. Guarda, ciò si spiega immediatamente.

L'Imperatore. Un'aquila vola nelle regioni celesti ed un grifone la insegue con accanimento.

Faust. Pondera bene tutto! l'enimma mi sembra propizio. Il grifone è un animale favoloso; come può egli aver l'audacia di misurarsi con un'aquila vera?

L'Imperatore. Ora essi si osservano descrivendo circoli spaziosi. Repentinamente si scagliano l'uno sull'altro per lacerarsi il petto ed il collo.

Faust. Osserva come quel tristo grifone, battuto, rabbuffato, non trova scampo; colla sua coda di leone riabbassata, si slancia nella foresta che corona la vetta della montagna e scompare!

L'Imperatore. Che l'enimma si compia così, io l'accetto con grande maraviglia.

Mefistofele (volgendosi a destra). I nostri nemici cedono ai nostri colpi moltiplicati, e, pur combattendo all'impazzata si precipitano verso la destra, portando così la confusione nell'ala sinistra del loro corpo principale. La testa compatta della nostra falange si porta a destra, e simile alla folgore piomba sul lato debole. Ed ora come un'onda commossa dalla tempesta, le due eguali potenze s'agitano con rabbia nel doppio combattimento. Non si vide mai nulla di più bello. Abbiamo vinto la battaglia.

L'Imperatore (rivolto a sinistra parla a Faust). Guarda! Io sento inquietudine su questo punto: la nostra posizione è pericolosa. Non vedo rotolare i massi, il nemico occupa i picchi inferiori, e quelli superiori sono già abbandonati. Ecco, il nemico in massa si avvicina sempre più; forse egli ha preso d'assalto lo stretto. Quale esito a questo sacrilego tentativo! Le vostre astuzie non hanno prodotto nulla di buono. (Pausa.)

Mefistofele. Ecco, i miei due corvi arrivano; quale notizia possono essi recarmi? Temo assai che tutto vada male per noi.

L'Imperatore. Che cosa vogliono questi funesti uccelli? sfuggiti dall'ardente mischia, essi vengono verso di noi portati dalle loro ali nere.

Mefistofele (ai due corvi). Venite vicino al mio orecchio. Colui che voi proteggete non è perduto grazie al vostro saggio consiglio.

Faust (all'Imperatore). Avrai già inteso parlare dei volatili che dal fondo di lontane contrade vengono a deporre qui le uova e a pascere dentro i nidi i loro pulcini. Lo stesso accade qui, colla grave differenza però che la fermata dei volatili è indizio di pace, mentre in guerra ci vogliono dei corvi per corrieri.

Mefistofele. Tutto ciò mi annoja. Guardate quale difficile posizione i nostri eroi sono andati a prendere sopra quella roccia dirupata! Le alture vicine sono invase, e se i nemici forzassero il passo, ci troveremmo in cattive acque.

L'Imperatore. Eccomi dunque corbellato da voi! voi mi avete preso nelle vostre reti; io tremo dall'istante in cui vi fui preso.

Mefistofele. Coraggio! il caso non è ancora disperato. Pazienza ed astuzia ti leveranno da questi ultimi impacci! Di consueto è verso la fine che le cose si complicano. Ho qui i miei instancabili messaggeri; dammi i tuoi ordini affinchè io possa trasmetterli a loro.

Il Generale in capo (sopravvenuto in quel mentre). La tua alleanza con costoro non ha fatto finora che tribolarmi. La fantasmagoria non genera un bene duraturo. In quanto a me, non so in qual modo cangiare le sorti del combattimento. Essi l'hanno cominciato, ed ora lo finiscano; io depongo il bastone del comando.

L'Imperatore. Conservalo per gl'istanti migliori che la fortuna ci può portare. Questo orrido compare mi fa abbrividire lui e la sua famigliarità coi corvi. (A Mefistofele.) Non posso affidarti il bastone del comando; non mi sembri uomo che possa convenire. Comanda però e procura di salvarci! Avvenga ciò che può! (Si ritira nella tenda col Generale in capo.)

Mefistofele. Che il suo bastone di legno lo ajuti! in quanto a noi, egli ci avrebbe portato un ben mediocre soccorso. Vidi sulla sua cima qualche cosa di simile ad una croce.

Faust. Che fare?

Mefistofele. Tutto è già fatto. — Su, miei neri cugini, siate pronti a servirci! al gran lago della montagna! Salutate a nome mio le Ondine, domandate loro l'apparenza dei loro flutti. Esperte in ogni specie d'artifizi femminili difficili a conoscersi, esse sanno separare l'apparenza dalla realtà, ad un punto tale che tutti sono tratti in inganno. (Pausa.)

Faust. I nostri messaggieri hanno dovuto fare in tutta regola la loro corte alle ninfe delle acque; perché laggiù i flutti cominciano già a scorrere.

Qua e , sul granito arido e nudo, si riversò una massa d'acqua abbondante e viva. La vittoria del nemico è andata in fumo.

Mefistofele. Ecco una strana accoglienza: i più intrepidi all'assalto se la danno a gambe.

Faust. Già il ruscello si congiunge ai ruscelli, e le acque ingrossate si slanciano dalle fessure della roccia. Vedi ora quel torrente sul quale ondeggia l'arcobaleno; dapprima esso si ripiega sullo spianato della roccia, gorgoglia e spumeggia da ogni parte, e si getta gradatamente nella valle. A che pro una valorosa, un'eroica resistenza? La possente onda si slancia per sommergerli; io stesso sono spaventato da questo spaventevole scompiglio.

Mefistofele. In quanto a me, non vedo questo rovinìo d'acque; gli occhi umani soli possono essere ingannati in simile modo, e la strana avventura mi diverte assai. Queste acque rovinano giù in masse trasparenti. Gli imbecilli credono di annegarsi mentre respirano liberamente sulla terra ferma e corrono nel modo più ridicolo con gesti da nuotatori. Ora poi la confusione regna in ogni luogo. (I corvi sono ritornati.) Io parlerò del vostro operato al re nostro signore, ed ora se volete fare un colpo da maestro, volate premurosamente verso l'ardente fornace dove il popolo pigmeo batte senza posa il metallo e la pietra finché se ne levino vivissime scintille. Chiedete loro con belle e dolci parole, un fuoco che splenda, scintilli e fiammeggi un fuoco tale che a stento si possa immaginare. Lampi di calore in lontananza, stelle cadenti guizzanti colla rapidità dello sguardo, ciò si vede in ogni notte d'estate; ma folgori tra i secchi cespugli, ma stelle guizzanti sul suolo umido, è quanto non si può trovare così facilmente. Suvvia, senza insistere troppo, pregate dapprima e poscia comandate. (I corvi partono e quanto fu detto succede appuntino.)

Avvolgere il nemico di profonde tenebre, rendergli incerto ogni passo, circondarlo di fuochi fatui, abbagliarlo con un repentino splendore, tutto questo è magnifico; ma ci occorre ancora un rumore assordante che getti lo spavento.

Faust. Le armature vuote, uscite dal sepolcro delle sale, si sentono rivivere all'aria aperta. È lungo tempo che in alto havvi uno scricchiolìo, un fracasso, un frastuono prodigioso, discordante.

Mefistofele. A meraviglia! Non c'è più mezzo di trattenerli; già quelle schiere cavalleresche fanno echeggiare l'aria come al buon tempo antico. Bracciali e cosciali, a modo dei Guelfi e dei Ghibellini, rinnovano con gagliardia l'eterna querela. Saldi nei sentimenti ereditari, essi si mostrano irreconciliabili. Il baccano echeggia già da lontano. Insomma, in tutte le grandi feste dell'inferno, è l'odio dei partiti che porta il più bel contingente di orrori. Il fracasso rincalza spaventevole e ad un tempo penetrante, acuto, indiavolato, e getta lo spavento nella vallata.

(Tumulto militare nell'orchestra, che poi si cangia in allegre guerresche sinfonie.)

 



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